La filosofia digitale

David Sicignano
4 min readDec 16, 2018

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Negli ultimi decenni accanto alle interminabili ricerche sulle questioni filosofiche che da sempre appassionano gli studiosi, è nato un indirizzo filosofico che offre una visione del mondo, del pensiero e di dio completamente nuova. Tale indirizzo è la filosofia digitale che pone alla base costitutiva della realtà, l’unità digitale per eccellenza, ossia il bit. In una realtà costituita da informazioni espresse in bit ne consegue che l’evoluzione della stessa possa essere considerata alla stregua di un processo computazionale. Ed è proprio questa la teoria filosofica del “pancostituzionalismo” di cui fautore fu il fisico statunitense Edward Fredkin. Stando al pancostituzionalismo (corrente della filosofia digitale), la natura della realtà e fondata su un’immaterialità specifica e peculiare, che viene definita informazionale. La realtà non è materiale né spirituale ma informazionale. La portata di tale assunto segna un passaggio fortemente innovativo ben lungi dalle teorie filosofiche del passato. La realtà fenomenica e le manifestazioni fisiche in natura sono forme di calcolo o elaborazione computazionale delle informazioni. Lo stesso divenire è un processo computazionale. Certo se il divenire viene sottoposto alla categoria del mero calcolo, qualcuno potrebbe pensare che attraverso un algoritmo si possa risalire alla totalità della conoscenza che spazia nella temporalità anche futura. Un algoritmo simile a lungo è stato cercato da Leibniz prima e poi da Turing. La conoscenza universale che comprende tutte le possibili variabili del divenire, diverrebbe conoscibile per mezzo di codici e calcoli se solo trovassimo una chiave di lettura, un programma capace di processare ed analizzare i dati costitutivi del reale. Fredkin fornisce un contributo fondamentale alla filosofia digitale, considerando lo stato della natura finita e digitale, in cui tutti i suoi cambiamenti sono conseguenza dei processi informativi. Ciò è possibile secondo Fredkin poiché ogni cosa fisica che si da nella realtà naturale, nella realtà fisica, deve avere una sua rappresentazione digitale che “abita” il suo spazio nella realtà digitale. Comesi può notare, il passaggio ad un nuovo modello di metafisica trova nel pancostituzionalismo solide fondamenta. Tale passaggio vede in Eric Steinhart uno dei suoi principali fautori. Per Steinhart la scienza moderna compie un errore nel porre a fondamento della realtà la materia. La metafisica tradizionale, col passaggio al bit, col passaggio al processo computazionale e con la nuova concezione di <<materia digitale>>, sarà tenuta a confrontarsi con la metafisica digitale. Quest’ultima che pone come fondamento ultimo della realtà uno spazio-tempo computazionale costituito da calcolatori universali che interagiscono tra loro. Lo stesso Steinhart affermerà: “La realtà ultima è una macchina di calcolo massicciamente parallela abbastanza universale da poter consentire la realizzazione di qualsiasi mondo fisicamente possibile“. Tuttavia non siamo in possesso per ora di quel codice sorgente che permetterebbe al genere umano di elaborare o solo conoscere quei computer universali dietro alla realtà, che tanto somigliano ai motori immobili di aristotelica memoria. La metafisica digitale pone la realtà digitale e il suo divenire computazionale in una dimensione di finitezza e dunque deducibile per mezzo di calcoli. Alla luce di ciò ancor di più si avverte l’esigenza di un programma che ci permetta la lettura, l’esecuzione dei dati di cui noi stessi siamo parte costituente e costitutiva. L’intero processo di conoscenza universale ci sfugge nonostante la digitalizzazione dell’atomo. È forse proprio di Dio tale programma? La computazione certo non lo risparmia. Basti pensare all’articolo di Kelly dal titolo eloquente di “ God is the machine”. Kevin Kelly afferma che la realtà fisica è realtà digitale. Tutto è riconducibile e perfettamente esprimibile nell’espressione binaria 0 e 1. Il Dio giudaico nell’ottica di Kelly si palesa senza abbellimenti e si dà nel digitale. Alla domanda veterotestamentaria posta da Mosè “tu chi sei?”, Dio risponde con un imperioso “Sono”. Un sono che oltre alla pura essenza comporta esistenza. Esistenza che si esplica nel digitale. Dio è dunque un bit. Un Bit onnipotente. Schmidhuber invece parlerà di “Grande Programmatore” a cui si deve la scrittura di un programma in grado di lanciare tutti gli universi possibili, ed egli è l’unico a poterli vedere dal suo computer universale che lavora in termini quantici. L’uomo nello scenario presentato finora è espressione informazionale. È un’entità composto da bit e in quanto tale ogni sua manifestazione in questo mondo compreso il ragionamento, risulta essere computabile. La possibilità di esprimere il ragionamento umano secondo calcoli ben definiti fu uno dei maggiori interessi della ricerca leibneziana. Aldilà delle teorie fascinose e suggestive, la metafisica digitale là dove cerca di rispondere alle domande della metafisica classica, crea altri quesiti non certo semplici. Uno di questi è di sicuro la possibilità o meno di scoprire se esiste, un programma capace di analizzare e processare la moltitudine di dati in cui siamo immessi e quindi conoscere la realtà nella sua totalità. Altro quesito riguarda la nostra posizione nella realtà digitale come programmi informazionali. In effetti nell’ottica digitale è forse proprio l’uomo a fare le spese, perdendo la sua spiritualità che da secoli conserva gelosamente. L’uomo trova nel “automa naturale” la sua nuova definizione, ed in un’ambivalenza piuttosto strana si pone sia come macchina, finita e limitata, sia capace di aspirare alla conoscenza universale della realtà.

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