Una Startup in Italia

Diego Caravana
6 min readMay 29, 2012

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Originally published at https://diego.caravana.to on May 29, 2012.

Siamo una startup, siamo in Italia, siamo pronti a dare valore, ma la strada da seguire non è chiara e indefinitamente lunga… Una proposta concreta: non solo soldi, ma il mentoring da parte di imprenditori di lungo corso.

E’ circa un anno che lavoro alla creazione della mia startup. Non è la prima volta che provo a realizzare un progetto in proprio o con amici, ma mai prima d’ora avevo impostato la questione con così forte accento business: fino ad ora i miei progetti sono stati più simili alle follie notturne di noi programmatori di computer, che crediamo di poter conquistare il nostro posto nel mondo nottetempo con la sola forza delle righe di codice. La dura realtà è, invece, che le necessità di tutti i giorni rendono quasi impossibile la realizzazione di un progetto senza fondi propri o di terzi.

Questa impostazione di tipo imprenditoriale è arrivata con l’esperienza dei tanti piccoli e grandi fallimenti che ho alle spalle, e da cui ho imparato che la questione tecnologica, almeno nell’ICT, è quasi l’ultimo problema, soprattutto oggi che, con l’aiuto di Internet, qualunque programmatore anche mediocre è in grado di fare grandi cose.

Con i miei soci abbiamo quindi deciso di intraprendere la via della ricerca di finanziamenti per costruire un’azienda intorno a un’idea, soprattutto capitali di ventura (VC), provenienti da qualunque fonte: angels, accelerators, hubs, e chi più ne ha più ne metta. Non è stato facile raggiungere un accordo neanche su questo: io, forte della mia esperienza e che da qualche anno mi tengo aggiornato sui trend relativi alla creazione di nuove imprese all’estero, puntavo alla ricerca di fondi e alla creazione di un’azienda finanziata da investitori professionisti, ma con i miei soci comunque propendevamo ora per il “ cerchiamo i soldi e facciamo l’aziendona” e ora per il “ facciamocelo in casa di notte e andiamo a bussare alle porte dei clienti “. In effetti, pendiamo ancora costantemente tra il “piano A” e il “piano B”, a seconda dei risultati delle nostre ricerche, giorno per giorno.

Il fatto è che, almeno nella nostra esperienza, non è chiaro a nessuno degli attori come debbano essere trattate le piccole aziende nascenti, soprattutto se innovative, e di contatti ne abbiamo avuti ormai molti, sia con piccoli investitori privati che con i (pochi) acceleratori che esistono in questo momento in Italia, sia con funzionari statali o para-statali.

Nonostante la situazione non chiarissima, ci siamo impegnati a capire come soddisfare la due diligence, e fondamentalmente i compiti li abbiamo fatti: abbiamo un business plan (redatto con tutti i crismi del caso da professionisti), abbiamo un sito (non ancora soddisfacente) e presentazioni varie, abbiamo sviluppato una mentalità per cui il cambiamento o il pivoting sono accettati e normali, e soprattutto abbiamo un prototipo; in altri termini, noi siamo (da mesi ormai) in grado di illustrare la nostra idea non solo a parole e non solo in termini economici, ma anche e soprattutto concretamente, ottenendo puntualmente l’effetto “WOW!” sia dai potenziali clienti (che capiscono bene di cosa si tratta) sia dai potenziali investitori che comunque si accorgono delle potenzialità dell’idea.

Insomma, l’idea buona c’è, il piano finanziario e realizzativo c’è, il team (almeno iniziale) c’è, ci sono pure i potenziali clienti che aspettano solo che abbiamo un prodotto (e non un prototipo) per poterlo comprare.

Cosa ci manca allora per venderci la casa e buttarci a testa bassa in questa avventura? Vi lascio immaginare la risposta, ma di seguito vi offro qualche spunto.

Tempo fa, una persona (che fa parte dell’élite economica italiana in grado di finanziare manciate di startups come la mia) segnala un link a questo articolo del Corriere, articolo che mi ha fatto riflettere perché parla di innovazione e relative politiche governative: la mia ultima esperienza con i processi innovativi aziendali mi ha fatto comprendere che l’innovazione è il fondamento della competizione, che è il cuore dei meccanismi economici attuali, e grazie alla quale si attua un meccanismo darwiniano che dovrebbe far sopravvivere gli elementi economicamente migliori (cosa questo voglia dire dal punto di vista etico, sociale ed ecologico è tutt’altro paio di maniche).

Per questo capisco bene il significato di ciò che dice l’esponente del governo americano nell’articolo: in pratica, espone concetti che rappresentano l’ideale per chiunque stia tentando di innovare o abbia un certo spirito avventuroso. E condivido pienamente, dal mio punto di vista, le cose che dice, le cose che ci sono da fare per facilitare la creazione delle startups, e allora… facciamole anche in Italia queste cose!

Segnali molto favorevoli in questo senso sembrano arrivare da esponenti del governo attuale, come si legge in diversi articoli tra cui un paio sulle affermazioni di Martone e Passera, ma anche posto che riescano a fare qualcosa di concreto, le ricadute si avranno in pochi mesi per le cose più semplici (e tendenzialmente poco utili o palliative), mentre le cose che servono adesso arriveranno, se arriveranno, tra chissà quanti anni.

Non è solo sfiducia nei politici (anche se abbiamo tutte le ragioni per credere che si stiano solo riempiendo la bocca di innovation), è che il cambiamento richiede tempo, a volte molto tempo, e in un Paese culturalmente conservatore come l’Italia, i cambiamenti necessari perché l’innovazione possa finalmente diventare una parte fondamentale dell’economia sono enormi soprattutto dal punto di vista culturale: non siamo gente molto coraggiosa, soprattutto dagli anni ’80 in poi.

E capisco anche la persona di cui dicevo più sopra, che stimo al massimo grado anche per quanto è riuscito a costruire, quando ha subito messo le mani avanti al mio accenno a un’eventuale pitch, facendo riferimento a “brutte” esperienze passate: lo capisco perché, in un contesto del genere, in cui nessuno conosce bene l’argomento, in cui non ci sono riferimenti concettuali e concreti condivisi, è già solo complicato capirsi figuriamoci realizzare una enterprise.

Stiamo sempre ad aspettare governi e leggi, ma proviamo a tirarci su le maniche: noi, giovani e meno giovani, che rischiano del proprio, ci mettiamo le idee, l’impegno, il lavoro, a volte anche il futuro, ma dove sono gli investitori coraggiosi? Come si fa a trovarli? E soprattutto come ci si mette insieme? Chi detiene il potere economico ha un ruolo sociale e, soprattutto in tempi di crisi, è obbligato a intervenire non solo e non tanto per ragioni etiche, ma per una semplice ragione concreta: se non vuole ritrovarsi in mezzo a un deserto culturale ed economico, prigioniero nella propria cattedrale eretta a rappresentare il suo potere, deve darsi da fare e dare una mano a rimettere in moto gli ingranaggi dell’economia.

Nonostante il fatto che le richieste di una startup possono rasentare il ridicolo in quanto a parte economica per chi è abituato a maneggiare i milioni, propongo una semplicissima idea: ogni elemento di questa élite economica adotti una startup e ne diventi il mentore, il consigliere o advisor, il “papà”, perché non ci servono tanto i soldi (per carità non li rifiutiamo), ci servono soprattutto la vostra esperienza imprenditoriale, sia per validare tutti gli aspetti di un’idea un progetto un’azienda, sia per condurla al traguardo dell’autosufficienza e del valore aggiunto, prevedendo ed evitando gli errori più grossolani.

Al governo chiedo la stessa cosa, ma portata a livello istituzionale, legislativo, burocratico, addirittura culturale: basta con i finanziamenti a pioggia, e basta con i soldi come unico argomento, creiamo un contesto in cui i giovani (ma non solo) possano partire in fretta e nella direzione giusta a realizzare un’idea, o a capire subito che è un’idea sbagliata, per passare alla successiva.

I soldi servono eccome, ma se non sai gestirli, li perdi in un niente.

Update [20120918]: I lavori procedono tra le solite difficoltà, abbiamo (quasi) un prodotto e un sacco di contatti (ancora nessun finanziatore, per trovarne ci toccherà andare all’estero molto probabilmente), ma qualcosa sembra che stia per cambiare: Italia StartUp.

Update [20121209]: Sul fronte legislativo, tanto si è fatto ma, nel concreto, ancora nulla di veramente tangibile e comunque vincolato un po’ troppo strettamente. Noi abbiamo finalmente un “prodotto” da vendere, con grandi potenzialità e una lunga strada davanti: ce lo conferma una grande azienda del settore con cui concluderemo presto un accordo (la cui natura non è ancora stata decisa). Continuano le nostre presentazioni, che suscitano sempre sorpresa e interesse, e proprio la settimana scorsa un potenziale cliente ha condotto un test sul campo, presentando lo strumento e l’idea a una decina di loro clienti durante una conferenza.

Update [20130201]: Il progetto Aicon.me è diventato finalmente un’azienda finanziata, la Demologics Ltd!

Update [20140127]: L’evoluzione continua, ora siamo la Crowd Emotion Ltd !

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Diego Caravana

Senior Software Engineer. Platform and language agnostic. Software architecture visionary. Innovation addicted. Self-starter.