Il «fenomeno» Zelenskyy

Donatello D'Andrea
4 min readDec 5, 2022

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Fonte immagine: Google Immagini

Uno dei prodotti più interessanti di questa guerra è sicuramente Volodymyr Zelenskyy. Il Presidente ucraino è il perno centrale della resistenza ucraina, il megafono della volontà di Kiev di non cedere all’Orso russo. Eppure prima del 24 febbraio nessuno lo conosceva e, gli scarsi risultati in politica interna, non gli attribuivano nessuna delle qualità che gli sarebbero state riconosciute in seguito, anche dal Times.

Poco prima dello scoppio delle ostilità la sua popolarità era scesa al 15%, non avendo ottenuto nessun successo nella lotta alla corruzione interna e nelle trattative con Mosca.

Zelenskyy è il classico personaggio “venuto dal nulla”, cioè che nulla aveva a che vedere con la politica. In realtà, questa narrazione non corrisponde al vero. Ebreo russofono, nato nell’Ucraina orientale, sino a tempi recenti parlava poco l’ucraino e tuttora lo parla con accento fortemente russo. Attore e regista, aveva fatto spettacoli di grande successo sulla corruzione. Ha chiamato il suo partito “Servitore del Popolo” come la nota serie tv che lo vedeva protagonista. La trama della fiction è molto “buongiorno Presidente”: un professore del liceo vince inaspettatamente le elezioni a causa di un video diventato virale sui social in cui inveiva contro la corruzione e gli oligarchi.

Nel 2018 ha annunciato la sua candidatura, appoggiata dal potente oligarca dei media Ihor Kolomoisky, che gli ha dato grande spazio in tv.

Zelenskyy è stato per l’Ucraina ciò che Beppe Grillo è stato per l’Italia. La sua campagna elettorale si è caratterizzata per l’uso di nuove forme di comunicazione, dai social agli SMS passando per degli incontri di strada con gli elettori. Il suo programma politico si è caratterizzato per la lotta agli oligarchi, alla corruzione e la soluzione del contenzioso con la Russia.

Secondo alcuni, il fatto di essere stato appoggiato da un oligarca cozzerebbe un po’ con l’obiettivo di contrastare il loro potere, ma anche qui c’è una spiegazione: Zelenskyy ha sfruttato l’appoggio di Kolomoisky per poi liberarsene appena possibile – tanto che gli è stato addirittura ritirato anche il passaporto ucraino.

Una mossa spregiudicata, nonostante l’inizio del suo mandato non proprio esaltante: la lotta gli oligarchi diede risultati modesti mentre la trattativa con Mosca si è arenò subito. E in quest’ultimo caso non solo per responsabilità dello stesso Zelenskyy. Putin, non lo ha mai considerato un interlocutore ma soltanto un “moscerino”, capitato a Kiev per caso e che non sarebbe durato molto. La situazione interna, poi, non gli permetteva ampi margini di manovra. Le piazze, aizzate dalla destra di Azov e di Pravyj Sektor, protestavano contro di lui, mentre l’opinione pubblica non voleva sentir parlare di cessione della Crimea e del Donbass. Per di più le sue origini russofone non lo aiutavano.

Prima del 24 febbraio, Zelenskyy era un presidente molto debole. Privo di coraggio, di carisma e di capacità politica. Dopo l’invasione russa, però, le cose sono cambiate.

Putin aveva pensato di rapirlo e, forse, di ucciderlo. Ma la mossa non era finalizzata a togliere di mezzo un personaggio scomodo in quanto scaltro, pericoloso o carismatico bensì in quanto era il Presidente, dunque per il suo ruolo istituzionale. La sua uscita di scena avrebbe decapitato il governo, scoraggiato gli ucraini e gettato l’esercito nel caos. Kiev sarebbe capitolata nel giro di qualche settimana.

Anche l’Occidente non puntava molto su di lui. Biden gli offrì la possibilità di un governo in esilio in Polonia ma lui rifiutò. Da questo rifiuto è nato il “mito” di Zelenskyy.

Il presidente da quel momento ha dimostrato di avere un grande coraggio e un non comune senso politico. Il governo in esilio avrebbe comportato la resa delle istituzioni ucraine e la fine della guerra e l’inizio di una “guerriglia” contro Mosca. E tra guerriglia e guerra ci sono grandi differenze, non soltanto tecniche ma anche di prestigio e di “morale” – inteso come stato d’animo generale della popolazione.

Con una maglietta verde e una comunicazione fortemente emozionale, Zelenskyy si presentava in televisione per incitare alla resistenza. Le sue capacità teatrali gli sono tornate utili anche per convincere l’Occidente a supportarlo attraverso l’invio di armi. Le sue comparsate nei Parlamenti, all’Assemblea generale dell’ONU e in altri eventi, hanno permesso al mondo di conoscerlo e soprattutto di tenere gli occhi aperti su quanto stesse accadendo nel suo Paese. Infatti, la più grande fortuna dell’Ucraina non sta nel supporto armato della NATO bensì nella capacità di restare al centro del dibattito pubblico. Senza quest’ultima condizione, anche l’appoggio dell’Occidente verrebbe a mancare.

Zelenskyy è sicuramente una delle più “grandi scoperte” della guerra in Ucraina ed è forse il principale artefice della resistenza che quel popolo sta opponendo a Mosca. Un “fenomeno” a tutto tondo che nel suo momento più difficile parrebbe aver trovato la gloria e senza il quale, oggi, non si parlerebbe più di Ucraina.

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Donatello D'Andrea

International Relations analyst, political scientist, dreamer, AC Milan supporter.