Qatar, calcio & geopolitica

Donatello D'Andrea
3 min readNov 18, 2022

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Fonte immagine: Google Immagini

Tra due giorni avrà inizio la nuova edizione dei Mondiali di Calcio, la manifestazione sportiva più importante e seguita al mondo. Sarà un mondiale anomalo e non soltanto per l’assenza della nostra nazionale. Innanzitutto si svolgerà in una stagione inusuale, cioè l’autunno. Inoltre, il Paese ospitante sarà il Qatar, il primo stato mediorientale ad ospitare una manifestazione sportiva così prestigiosa e seguita.

La scelta del Paese, e tutto quello che sta emergendo, ha suscitato profonde proteste in Occidente. Dalle palesi violazioni dei diritti umani al ruolo della donna, passando anche per cose apparentemente futili come l’alcol per i tifosi – proibito – e il prosciutto per gli atleti spagnoli – non possono portarlo. Una serie di problemi e incogruenze che gettano ombra sull’opportunità di disputare una manifestazione così importante in un Paese con numerosi limiti. Senza parlare dei costi umani di questa manifestazione: 6500 operai immigrati hanno perso la vita lavorando, per meno di due dollari al giorno, nei cantieri degli stadi in cui si disputeranno le partite della competizione.

Eppure il Qatar ha investito molto in questo Mondiale, circa 200 miliardi di dollari, 15 volte in più rispetto al Brasile nel 2014. Il Paese ha messo in piedi 7 stadi e ne ha ristrutturato un altro – l’unico presente in Qatar – nel giro di pochissimo tempo, costruendoci attorno città intere, centri commerciali e altre importanti infrastrutture. Si tratta di stadi all’avanguardia, dotati di servizi di primo livello.

Una spesa così importante denota che per il Qatar questa manifestazione significa tanto. Visibilità internazionale – oggi tutti conoscono un piccolissimo stato della penisola arabica – ritorno economico, possibilità di scalare le classifiche dello standing internazionale. Non tutti sanno che il calcio – e in generale tutti i grandi eventi sportivi – è un importante strumento geopolitico.

Si tratta, nel caso specifico, di uno strumento di soft power che gli stati usano per legittimarsi a livello internazionale. Una vetrina per presentare al mondo tutto ciò che di meglio il Paese può offrire. Una sorta di biglietto da visita per chi fa il suo ingresso nel «mondo che conta».

Si usa il calcio anche per coprire problemi interni suscettibili di avere risvolti mediatici “drammatici”. Come la Cina nel 2008 che giocò la carta delle Olimpiadi per farsi conoscere e soprattutto per mettere in secondo piano quanto stava accadendo in Tibet. Anche la Russia usò il Campionato mondiale del 2018 per ricucire i suoi rapporti con l’Occidente.

Insomma, oltre i risvolti economici c’è molto altro. Il Qatar vuole entrare nel mondo che conta e lo fa utilizzando il calcio. Un Paese che sta affermando il proprio status di potenza economica nel modo più comune di tutti: utilizzando la manifestazione sportiva più seguita al mondo. Il Qatar negli ultimi anni è diventato un importante avamposto occidentale, grazie al gas, e al ruolo assegnatoli dagli Stati Uniti dopo il ritiro dall’Afghanistan di «sentinella» della penisola arabica e del Golfo Persico.

A dire il vero il Qatar ha puntato sull’Occidente ben prima del 2022. Il passo più importante è stata l’acquisizione del Paris Saint Germainalcuni dicono che sia stato acquistato a prezzo maggiorato proprio per guadagnarsi l’appoggio della Francia e di Sepp Blatter per l’assegnazione dei Mondiali 2022 – su cui Al Khelafi ha investito miliardi e miliardi di dollari (anche in contrapposizione agli arabi del Manchester City).

Il calcio, per il Qatar, è uno strumento politico fondamentale. Ecco perché la FIFA World Cup è stata inserita nella strategia Qatar National Vision 2030, cioè un piano di investimenti governativo teso a promuovere lo sviluppo sia delle strutture e dell’industria locale sia dell’apparato scolastico-educativo e del sistema sanitario.

Insomma, in un evento che riguarda il calcio non c’è soltanto calcio. In questo caso specifico si potrebbe dire che il Mondiale in Qatar non abbia nulla a che vedere con tale sport – e non soltanto perché non esiste alcuna tradizione calcistica nel Paese.

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Donatello D'Andrea

International Relations analyst, political scientist, dreamer, AC Milan supporter.