Matador non ci lasciare

Massimiliano Chirico
9 min readOct 29, 2015

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La storia di Joaquin in estate, quando ha deciso di lasciare Firenze per tornare al Betis di Siviglia, mi ha agitato e stupito al punto giusto da volerci capire qualcosa di lui: una volta si è anche fotografato con un meccanico per via di una trattativa.

Ho passato gli ultimi giorni di calciomercato a divertirmi un mondo con i selfie di Joaquìn.
Interpretare il rapporto dei calciatori famosi con i social network mi ha sempre messo di buon umore, cercare il senso a ciò che finisce sui loro profili e magari scoprire dei messaggi cifrati sul prossimo trasferimento.

Le inquetanti foto di Joaquìn avevano più o meno questa funzione, sono state il pezzo forte anche se non nascondevano davvero nulla ma era curioso immaginarlo li, come un adolescente, a contare like e commenti.
Lui, una poltrona, quella tristissima faccia da torero malinconico, divani e tende bianchi immacolati, mi sembra di vederlo già in paradiso, a stonare col resto dell’ambiente con quella espressione torva.

Su quella poltrona l’ho visto con indosso la casacca del Valencia e mi sono chiesto se è genetico che i giocatori di sangue latino, spagnoli o argentini che essi siano (per me non fa alcuna differenza), debbano psicologicamente essere portati ad una pseudo-follia almeno una volta nella loro carriera. Un gesto, una scelta particolare fatta affinchè stia li, a ricordargli da dove arrivano e sopratutto dove poi vorranno sicuramente tornare.
La divisa bianca immacolata a dettagli neri del Valencia, Vicente e Joaquìn che si sovrappongono e attorcigliano come fili di un’unica matassa, Joaquìn che fugge palla al piede, il suo numero sette ereditato da David Villa ed il fascino del dribbling fulmineo, della superiorità numerica sulle corsie laterali e del cross che spiove morbido, educato come da un telecomando atipico che muove due gambe su quel corridoio a bordo campo.

Perché Joaquìn ha voluto lasciare l’Italia? La colpa è forse dell’attuale stereotipo di calciatore?
Il giocatore dei nostri giorni è un uomo che non può mai sbagliare, cresciuto in laboratorio e che deve misurare le sue parole, che se agisce e pensa da comune mortale allora è sopra le righe?Avere voglia di casa è da persone umane, in fondo. O magari bisogna prendersela con la Fiorentina, forse non sono stati bravi loro a tenerselo stretto, lo stesso Joaquìn ha fatto sapere di esser rimasto un po scocciato per la mancata presentazione al momento del suo trasferimento a Firenze, che a conti fatti l’Italia lo ha accolto tiepidamente mentre lui dieci anni fa era definito il Luìs Figo spagnolo e magari avrebbe meritato davvero una telefonata da Madrid ma così mi sto allontanando troppo, perdo il filo dei pensieri, la domanda è una sola, è li.

Chi ha mandato via Joaquìn da Firenze?

Chi non conosce bene Joaquìn Sanchez Rodriguez, da El Puerto de Santa Maria, dovrebbe aspettarsi qualsiasi cosa nonostante mi sembra palese il fatto che non siamo qui a parlare di un giocatore che ha cambiato qualcosa nel dipanarsi universale della storia del calcio.
Del resto l’aneddoto più insolito che conosco di lui consiste nell’aver rivendicato spesso di esser stato allattato fino all’età di sei anni, oppure che, fondamentalmente, si è giocato tutte le sue presenze in Nazionale Spagnola prima che la Roja iniziasse a macinare avversari e trofei ed in questo caso mi è parso molto sfortunato.

Il primo successo da calciatore arriva presto però, nel 1999: un diciottenne Joaquìn tira fuori la testa dal ventre molle del Real Betis Balompie B, la segunda squadra del Betis di Siviglia: in squadra con lui c’è anche Toni Doblas, un portiere non proprio emozionante che tanti anni dopo vedremo in Italia con la maglia del Napoli. I due sono protagonisti nella vittoria della Copa del Rey giovanile, il successo proietta i ragazzi in prima squadra, a difendere i colori biancoverdi per la gioia dei tifosi del Benito Villamarìn.
Qui Joaquìn, da attento metodista che sognava di esser torero, si gioca al meglio le sue carte, prende posto sulla corsia destra ed inizia a tirar fuori i colpi del repertorio: partendo dall’out di destra, versante offensivo, El Pisha si fa notare per la sua velocità e per il suo dribbling fulmineo che lascia interdetto l’avversario e permette alla squadra di aggredire l’area avversaria.
Riciclato anche come seconda punta, destro educato, con la maglia biancoverde giocherà cinque stagioni da titolare, godendosi anche l’esperienza della Champions League con sei partite da titolare e regalando ai suoi tifosi una Copa del Rey, vinta in finale contro l’Osasuna sul neutro del Vicente Calderòn.

Già, il Vicente Calderòn.
Magnetismo infallibile di chi assapora il gradino posto più in alto.
Al termine della stagione 2005–2006 Joaquìn è un nome che circola già sui taccuini di alcuni club spagnoli ed europei.
Siviglia è innamorata di lui ma un esterno destro del genere è merce rara e il ragazzo, dopo aver toccato con mano i palcoscenici europei, sente che è ora di andare, di fare le valigie e provare qualcosa di nuovo: chiede di essere ceduto al Valencia.
Manuel Ruiz de Lopera, presidente del Betis e padre padrone della baracca, accoglie la proposta del giocatore, non senza alcuni rimbrotti: è ora di fissare il prezzo di Joaquìn, di tastare meglio il Valencia per capire fin dove può spingersi l’offerta perche è la destinazione preferita da Joaquin ma l’assegno si blocca sui 15 mln, mentre l’Olympique Lione ne offre già venti e così i tempi della trattativa si allungano a dismisura.
Il ragazzo pare inoltre non voglia rinunciare alla sua percentuale sul trasferimento e Lopera non apprezza per niente questo atteggiamento: se ci aggiungiamo che la prima partita di Primèra Division Spagnola 2006–2007 vedrà contrapporsi proprio Valencia e Betis e mescoliamo il tutto con una particolare clausola inserita all’interno dei contratti di tutti i giocatori del Betìs che permetteva al presidente di prestarli a qualsiasi squadra egli volesse senza interpellare prima l’interessato, otteniamo Joaquin in viaggio, nella sua automobile, direzione Albacete.

Lo ha fatto, ha deciso di punirlo, Lopera è un vecchio lupo di mare e con dei fax incompleti e viziati da errori, spediti al Valencia, ha guadagnato il tempo sufficiente per trovare un accordo con l’Albacete e spedire loro, quasi in punizione, il giocatore più promettente della squadra.
Anzi non c’era stato bisogno di trovare alcun accordo: immaginate di essere il direttore sportivo dell’Albacete, di ricevere una telefonata a un presidente che vuole farvi un regalo e di trovarvi tra le mani uno dei talenti più promettenti del calcio spagnolo. Gratis.
Joaquin ad Albacete ci andrà davvero, verrà fotografato in giro per le vie del paese mentre aspetta il risolversi di questa faccenda, si parla anche di alcuni scatti con un meccanico mentre un dirigente del Valencia, allertato dal padre del giocatore, arriverà ad Albacete per aiutarlo con questa storia, riportarlo indietro e chiudere la trattativa.
Joaquìn passa dal Betis al Valencia per 25 mln di €, Lopera quasi raddoppia l’offerta iniziale, può dormire tranquillo.

Valencia e Malaga sono due passaggi felici della storia del giocatore che però saltiamo, nonostante nella prima delle due esperienze Joaquìn ha vissuto probabilmente il suo miglior momento, vincendo la sua seconda Coppa di Spagna ed occupando per alcuni anni un posto in Nazionale, prima di passare al Malaga, appunto, e poi alla Fiorentina, nel 2013, per due milioni di euro, firmando un triennale da 1.5 mln annui.

Arrivato a Firenze, sotto la guida di Vincenzo Montella, le cose vanno fin da subito a corrente alterna: Joaquin mette assieme tante presenze, 72 in due anni, ma viene spesso chiuso da Juan Cuadrado che, nel suo stesso ruolo, corre a velocità tripla. Nonostante ciò la parentesi Viola è un crescendo continuo di prestazioni, chi credeva che dalla Spagna fosse arrivato l’ennesimo bollito deve ricredersi perché Joaquìn ha conservato tutte le sue caratterestiche fondamentali, seppur in scala ridotta per colpa di mere statistiche anagrafiche e con i palloni serviti dal connazionale Borja Valero si può far bottino pieno ed andare in Europa.

Alla fine dell’estate 2015 Cuadrado è già andato al Chelsea e tornato in prestito in Italia, alla Juventus, Montella ha lasciato spazio a Paulo Sousa e Joaquin ha un posto da titolare nei pensieri del tecnico portoghese, che ha intenzione di schierarlo nel suo ruolo naturale nel tridente, alle spalle di Babacar, oppure in coppia con uno tra Bernardeschi, Rossi, Kalinic e lo stesso senegalese.
A Firenze Joaquin è uno degli otto giocatori più pagati della squadra, lo chiamano amorevolmente Gioacchino o il Mata-Grandi, per via dei suoi gol pesantissimi, i tifosi ne tessono le lodi ma quando i giorni che separano la Fiorentina dall’esordio in campionato contro il Milan diventano sempre meno, inaspettatamente la Viola deve fare i conti con i suoi giocatori: un selfie di Joaquin compare sul suo profilo Instagram e scandisce la fine di questa storia d’amore. Il giocatore ritiene terminata ormai la sua avventura a Firenze e vuole tornare a casa, vuole tornare al Betis che è disposto a riabbracciarlo così come lo aveva lasciato.

Joaquìn sembra sicuro di se e si appella alla società, insomma Sousa dovrebbe capire, cioè Sousa è un ex giocatore e dovrebbe capire, quantomeno provarci.

“Voglio tornare al Betis, non posso più giocare alla Fiorentina. Sto male, molto male. non avrei mai pensato di vivere un momento così alla fine della mia carriera. Non capisco perché mi stanno facendo questo. Mi hanno comunicato che ero sul mercato e io ho deciso di tornare al Betis. Il dado è tratto, non posso tornare indietro. Il mio cuore sta a Siviglia. Mi volevano mandare via a gennaio e io sono rimasto perché sapevo di poter essere importante. il mister mi vorrebbe trattenere. Io lo capisco, ma la situazione è arrivata a un punto che non c’è logica. Nel senso che lui da giocatore dovrebbe capire che non posso giocare altro che nel Betis. Se sono intelligenti mi faranno andare via, se sono persone buone. Devono capire che io sono un calciatore che ho fatto 16 anni di carriera e mi merito di tornare a casa. In due anni ho dato tutto per questa squadra. Ho fatto vedere a tutti la mia voglia, la mia professionalità. Ho dato tutto per la maglia viola”.

Firenze diventa la prigione bollente dello spagnolo che ben presto viene regolato dallo stesso Sousa: il tecnico preferisce tenerlo lontano dagli allenamenti se deve rassegnarsi all’idea di fare a meno di lui ma Joaquin è ormai un fiume in piena, anticipa a Cristiano Piccini (suo amico del Betis) che sta per arrivare, che sarà questione di dettagli e poi lui e Siviglia si riabbracceranno.

Non basterà il suo procuratore Eduardo Espejo che, forse per voglia di andare contro allo stereotipo del classico intermediario o semplicemente per buonsenso, non se la sentirà di pressare i Viola nella trattativa e, una volta raggiunto l’accordo economico sul contratto tra giocatore e Betis, preferirà farsi da parte, defilarsi in attesa dell’accordo tra le squadre, addirittura spegnendo il telefono.
E’ per questo che Joaquin viene presentato al Villamarìn con un braccio completamente ingessato. Perché Espejo ha spento il telefono.

“Negli ultimi giorni c’era una gran tensione, ho colpito un tavolino o forse una sedia con un pugno e mi sono procurato due buchetti alla mano”

Joaquin torna al Betis di Siviglia.
Alla fine di quest’epopea ce l’ha fatta, Pepe Mel lo accoglie assieme ai 15.000 tifosi arrivati allo stadio anche solo per vederlo, il ds della squadra, Eduardo Macia, lo riporta in Spagna dopo averlo portato a Firenze qualche anno fa, ottenendo un sostanzioso sconto sul cartellino del giocatore (Pepe Mel l’avrebbe voluto gratis!).A nulla serviranno gli striscioni dei tifosi, la voglia di trattenerlo a Firenze e di consegnarlo alla storia della squadra, magari anche solo per qualche altro cross.

Pepe lo manda negli spogliatoi, al termine del primo allenamento. Non vuole complicare l’infortunio al braccio del giocatore ora che il torero è tornato nella sua arena ed i suoi selfie sono tutti radiosi ed illuminati, sono quelli di un giocatore apparentemente felice.

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Massimiliano Chirico

Da piccolo avrei voluto fare hockey su ghiaccio ma vai a spiegarglielo a mio padre. Oggi la mia vita sarebbe diversa.