Stanza Centodieci

Eleonora Ingannamorte
7 min readMay 17, 2019

Il turno di notte era come una torta di cui non ti piace il sapore. Sai che non lo vuoi fare e rimani convinto di questo fino alla fine. Ma quando esci, all’alba, ti sorprendi a indugiare all’uscita, a prolungare quel momento, quasi ti dispiace sia già finito. Almeno finchè non ti assegnano il successivo turno di notte.

Il turno di notte ha dei lati positivi, però. Primo fra tutti Jiselle mi lava e stira la divisa. Se arrivi la mattina nessuno ha avuto né il tempo né la voglia di smistare le divise. Così in sala lavanderia ficchi la mano in una cesta che contiene le divise pulite e ne peschi una a caso. Il pomeriggio invece arriva Jiselle. Lei accoppia pantaloni e maglietta dividendole per taglie e giusta sfumatura di blu, piega le divise e viene a riporle nel tuo armadietto. Sotto la doccia penso sempre a lei. È brutta da morire, ma profuma di pulito e mi piega le divise. Così Jiselle è senza dubbio il mio primo lato positivo dei turni di notte.

Secondo: amo le gelatine di frutta. Ma tipo che ci impazzisco per le gelatine di frutta. Amo il fatto che abbiano sempre dei colori innaturali, non assimilabili ai colori della frutta neanche un pochino. Il verde fluo per esempio. Contrariamente a quanto sostiene l’etichetta non può essere polpa di mela. Grida “sono piena di colorante”, eppure è la mia preferita. Le gelatine sono fatte apposta per chi non ha i denti: bambini e vecchi. Qui in casa di riposo, tutti i miei vecchini, proprio per questo motivo si rifiutano di mangiarle. È un po’ la loro personale forma di ribellione. Io, durante i turni di notte, mangio un sacco di gelatine di frutta.

E poi, beh, le notti passate in una casa di riposo non sono come tutte le altre notti. Entri in un’atmosfera sospesa, sembra che una patina di cipria ti si adagi addosso. Le notti passate in una casa di riposo sono tutte in potenza, senti ciò che puoi essere, ciò che puoi fare, e poi rimani inevitabilmente in uno stato bradiposo e mummificato. Le notti in casa di riposo ti muovi come immerso in una condensa di latte e miele. In quelle notti spii sezioni di vite, rubi i lamenti e le chiacchiere di chi ha già fatto pace con la propria paura di morire.

La stanza numero centodieci è abitata da tre storie diverse, circa un milione di rughe e tre motivi diversi di essere lì.

La Formica era l’unica donna della stanza. Doveva il suo nome a quella che lei credeva essere una folta chioma rossa. La realtà dei fatti era che invece la Formica si trovava sulla testa quattro peli rimasti lì per grazia divina e che lei si ostinava a tingere di rosso acceso. La Formica amava: i gatti, le statuette a forma di gatto, i gatti disegnati sui piatti da appendere alle pareti. Odiava: le vestaglie che non le si chiudevano bene sul corpo cicciotto e l’uovo all’occhio di bue.

Rotella lo chiamavamo così per il suono meccanico che emetteva ogni volta che apriva bocca. Aveva lavorato in fabbrica tutta la vita e sul corpo e nella voce portava ancora i segni della fatica. Amava l’acqua frizzante e fare le parole crociate a penna.

L’ultimo letto era occupato dal Tir, un omaccione di quelli che ti viene da dire che la portano bene la loro età. Solido, robusto, e sempre sbarbato alla perfezione. Odiava in modo viscerale il dentifricio alla menta.

Questa era la fauna che occupava la stanza centodieci. Loro erano il motivo per cui odiavo e amavo il turno di notte.

«Buon pomeriggio ragazzi», li salutavo sempre così e seguivano i soliti commenti: «Eh, ragazzi! Magari!»; «Se fossimo ragazzi non staremmo qui a farci rubare le gelatine di frutta da te»; «Pff, ragazzi! È crudele illudere una povera vecchia!».

Poi mi sedevo alla segreteria, posizionata esattamente davanti alla stanza centodieci.

«Allora, che novità oggi?»

«Al solito, la Formica ha urlato contro alla signora Bettini e Rotella non riesce ad andare al bagno. Oh, hai sentito che la Spal è entrata in serie A? Da non crederci»

«Ho sentito, ho sentito. Che gusti oggi?»

Il Tir, già con le mani piene, prende lo slancio e tira tre scatolette nella mia direzione: «Fragola, Fragola e Mirtillo»

«Niente mela»

«No, niente mela. Che ore sono?»

«Nove e mezza, abbiamo ancora un pochino di tempo»

«Già». Il Tir inizia a guardarsi intorno un po’ nervoso, un po’ impaziente. La Formica e Rotella fanno le parole crociate e ignorano gli sguardi del compagno di stanza.

«Nove verticale, quattro lettere: “dio greco della guerra”». Rotella si guarda intorno, «Nessuno?».

Ho sempre trovato ammirevole come nonostante Rotella sapesse tutte le risposte si sforzasse di mostrare incertezza per renderci partecipi. Era un po’ il nostro rituale quotidiano.

«A…A…, dai nessuno?»

«Ares, il dio della guerra è Ares»

«Cento punti per il Tir! Dai, levati quella faccia da funerale. Niente faccia da funerale durante le parole crociate»

«Ha ragione sai?» aggiunge la Formica guardando il Tir. «Non puoi vivertela male ogni volta, lo diciamo per te…». Mi guarda cercando sostegno e mi fa un cenno poco discreto con il capo.

«Ehm…sì, in effetti non hanno tutti i torti. D’altronde non è neanche una vostra scelta, dico, non lo fate mica volentieri!»

«No, sì, lo so. Non volevo ritirare fuori il discorso. Mi ci devo abituare e basta. Chi ha il telecomando? Guardiamo che cavolo sta combinando la Spal. È in serie A, l’avete sentito?» ride e tossisce. «Mi dispiace Formica, stasera calcio e non ti lamenti»

Rotella annuisce convinto, contento. Io ho assistito a tutta la scena senza muovermi di un centimetro, mangiucchiando la prima delle gelatine alla fragola. È il mio personale cinema serale. Riesco a capirlo il Tir. Anni e anni a versare le proprie fatiche all’Inps e a ottant’anni sei ancora lì a lavorare.

«Sedici orizzontale, nove lettere: “il presidente del New Deal”. Qualcuno sa chi abbiamo in programma per stasera?»

«Roosevelt» risponde distratto il Tir. «La lista ce l’ha Formica, sa lei».

«Sì la sto prendendo, un momento», la Formica apre un cassettino, tira fuori un block notes consunto e inforca degli occhiali dalla montatura lilla. «Ah, ecco. La signora Pociotti, alle 22.30», guarda l’orologio a muro di fianco alla televisione. «Ci siamo quasi».

Segue un breve silenzio. «Dai, diamoci da fare», Rotella si alza un po’ a fatica, si stiracchia la schiena e con gesto abituale si piega a cercare la cordicella sotto al letto. Ne riemerge con quella struttura alla vista della quale ancora non ero riuscito ad abituarmi.

«Ciao bellezza» dice Rotella guardando la struttura. «E tu non fare quella faccia, aiutami piuttosto» mi incalza. Mi alzo e mi dirigo verso il grosso arcolaio pieno di fili colorati dalla consistenza quasi aerea. Ai lati della struttura un anellino dal quale penzola un grosso paio di forbici lucide. La Formica mi guarda sorridendo e mi porge la mano, io l’afferro e l’aiuto a scendere dal letto.

«Come va la gamba?»

«Eh caro, ormai è andata, questo ginocchio non mi sorregge più»

In sottofondo, dalla televisone, urla di tifosi e un cronista dalla voce fastidiosa che commenta le ultime partite.

«Dai, muoviti Tir, sono le 22.20»

«Va bene, va bene, arrivo». Borbottando con voce sommessa e facendo molto più rumore del necessario anche il Tir scende dal letto e prende posizione intorno all’arcolaio, lo sguardo continua a rimanere ancorato allo schermo. «Dai, facciamo in fretta».

La Formica, sistematasi gli occhiali, e ben attaccata al mio sostegno, riapre il quadernino e schiaritasi la gola legge con voce solenne: «I qui presenti, Formica, Tir e Rotella e, ehm…caro te non dovresti esserci, come al solito devo dirlo» annuisco e le faccio segno di proseguire. «Ecco, sì, i qui presenti occupanti della stanza centodieci, della casa di riposo San Giuseppe, di Via Orti a Milano eccetera eccetera»

«Sì, Formica su questa parte ci siamo tutti»

«Bene, dalla stanza centodieci ci troviamo qui riuniti per richiamare il filo della vita della signora Marina Pociotti, anni settantadue, vedova». Alza lo sguardo e fa segno a Rotella, «Ecco, se vogliamo proseguire…»

Rotella allunga la mano e con una delicatezza palpabile prende le forbici, mentre il Tir, concentrato, osserva i fili dell’arcolaio per individuare quello della signora Pociotti.

«Ci siamo, pronti?», al segno di consenso dei compagni, la Formica conclude con le solite parole rituali: «che i fili del tuo destino possano tessersi nuovamente su questo arcolaio, con amore, le Moire»

Zac.

Un unico taglio e il filo reciso scompare lentamente sotto i nostri occhi.

«È andata?»

«È morta, è morta». La Formica prende la penna e tira una riga sulla pagina dov’era segnato il nome della signora Pociotti. «E anche questa è andata»

«Oh, allora chi la vince sta partita?»

«L’Atalanta, ovviamente. Però la Spal è un’ottima guerriera»

«Domani sera scelgo io, eh. Saranno tre domeniche di fila che mi fate guardare il calcio. Me la prepareresti una tisana caro?» la Formica si passa una mano tra i quattro capelli rosso fuoco.

Mi avvio verso il bollitore mentre osservo l’arredamento di gatti dietro il letto della Formica. Una volta li abbiamo contati: novantatré gattini in porcellana che ti fissano dalle pareti e dal comodino.

«Domani ne abbiamo in programma due, il signor Pestolini e…è arrivato il momento di Mimmo, al piano di sotto»

«Sì, ho visto. Ieri infatti sono sceso e l’ho fatto vincere a scala quaranta, erano mesi che perdeva e questa cosa lo faceva imbestialire» Rotella emette una metallica risata triste.

«Se andassimo a fargli un po’ di compagnia prima di…beh, avete capito»

«Assolutamente. E te, ce lo procureresti un buon whisky e quattro bicchierini?» mi guardano tutti e tre in attesa.

«Vedrò che posso fare, per Mimmo. Domani ho ancora il turno di notte, facciamo cinque bicchierini»

Ridono, di una risata spensierata e leggera. «Bravo, e noi vediamo di tenerti da parte qualche gelatina alla mela»

L’arcolaio ancora troneggiava dov’era stato lasciato, con tutti quei fili, quei destini, che si incrociavano e fluttuavano nel mezzo della stanza centodieci. Le forbici penzolavano innocue di lato.

«Ecco, come volevasi dimostrare. La Spal in serie A, non è esattamente una buona idea. Quattro a zero, che figura. Buona energia quei ragazzi, però, lo si deve riconoscere». Poi il Tir mi guarda con un sorriso sornione. «Ehi bellezza, fanne un’altra di tisana se non ti dispiace!»

Amavo e odiavo il turno di notte.

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Eleonora Ingannamorte
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Dà un nome a ogni cosa a cui si affeziona e fa amicizia anche durante la fila per il bagno. Si emoziona quando trova il coraggio.