Recensione di Fur — un ritratto immaginario di Diane Arbus

Il film che celebra l'amore più difficile: quello per sé stessi

Eleonora Medica
6 min readDec 17, 2018
Nicole Kidman in Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus — Wallpaper 1 (Particolare) Copyright: © 2005 Sony Pictures Entertainment. L’immagine intera è visibile qui

Fur — Un ritratto immaginario di Diane Arbus (Fur — An imaginary portrait of Diane Arbus. USA. Colore, 122’. Drammatico) è un film del 2006, diretto da Steven Shainberg e liberamente ispirato al romanzo di Patricia Bosworth Diane Arbus: una biografia. La pellicola, quasi onirica, vanta nel cast due attori di spicco: Nicole Kidman e Robert Downey Jr, ai quali si affianca il meno noto Ty Burrell.

Una scena del film: sulla sinistra Lionel Sweneey (Robert Downey Jr), sulla destra Diane Arbus (Nicole Kidman)

Un sogno. Un incubo. Il luogo dove realtà e fantasia si sovrappongono. Questo è Fur. Un film provocatorio, che si insinua sotto la pelle. A scanso di equivoci: di biografico c’è ben poco. Non aspettatevi una ricostruzione affidabile della vita di Diane Arbus, non siete nel posto giusto. Non a caso Shainberg parla di “ritratto immaginario”. E di nuovo, no, sullo schermo non troverete nemmeno gli scatti che Diane ha lasciato dietro di sé. Nessuna delle foto della famosa artista è stata concessa in licenza per la produzione del film. Eppure, tra fatti e personaggi inventati, il film colpisce nel segno, regalando allo spettatore l’illusione di una finestra aperta sulla visione creativa e controversa dell’eccezionale fotografa. Un’indagine intima, coinvolgente, che fa riflettere sulla sensibilità di Diane e di ciascuno di noi.

Fur: la trama

Siamo nel 1958. Diane (Nicole Kidman) è l’incarnazione vivente della perfetta donna borghese degli anni ’50: un’amorevole moglie e madre di buona famiglia.

Una scena del film: Diane Arbus e il marito Allan Arbus (Ty Burrell)

Suo padre è il ricco proprietario della catena di pellicce “Russek’s”, il marito (Ty Burrell) è il fotografo di moda Allan Arbus ed è madre di due bambine beneducate.

Eppure tutta questa perfezione non le si addice. Ci accorgiamo immediatamente che questa vita la soffoca, come lo strettissimo e perfettamente inamidato vestito color panna che la avvolge. Ha un crollo. Si ricompone. La routine riprende, mentre l’insoddisfazione cresce.

Quasi in risposta al suo muto grido di aiuto, arriva il nuovo vicino di casa Lionel Sweneey (Robert Downey Jr), un uomo misterioso che crea parrucche di mestiere e cela il suo viso dietro una maschera.

Lionel Sweneey (Robert Downey Jr) in una scena del film

Il motivo? Ipertricosi. Una malattia che lo deturpa ricoprendolo di una fitta peluria.

Grazie a lui, Diane verrà a patti con sé stessa accettando finalmente la sua repressa attrazione per il diverso e il perturbante.

Amarlo appassionatamente le aprirà le porte dell’universo dei freaks: un intero microcosmo che vive secondo le regole di una normalità altra. Attraverso la scoperta di quel mondo, Diane riuscirà ad uscire da tutti quei limiti che si era e le avevano imposto. La sua arte sboccerà dalle ceneri di una vita che non era sua.

L’analisi

Lionel, Diane e il marito Allan in una scena del film

La Diane Arbus di Fur non è la solita casalinga disperata, vittima di un matrimonio senza amore. Il suo grande problema è capire cosa fare della sua vita. Non sa chi è o forse vuole nasconderlo.

Tutto il film è metafora del viaggio che questa donna timida eppure mostruosamente coraggiosa a un certo punto della sua esistenza riesce a compiere all'interno della sua stessa psiche, per accettarsi e darsi finalmente la possibilità di esprimersi senza menzogne. L’intento di Shainberg non è descrivere fedelmente la vita della fotografa o indagare la sua opera, ma piuttosto scavare dentro le pulsioni che spingono una persona a confrontarsi con la parte più oscura di sé.

La figura di Lionel, immaginaria, incarna il lato perverso di Diane. Diane stessa è una freak, anche se non nell'aspetto. La sua mente è ciò che la rende diversa e per certi versi inaccettabile. Per tutto il film si confronta e alla fine si innamora di questa parte di sé. Accettandola e accettandosi.

Diane Arbus all'inizio del film

E il titolo? Fur, pelliccia: un solo nome abbraccia l’intero passato e futuro della Diane sullo schermo. Le odiate pellicce del ricco padre da un lato e il suo villoso amante dall'altro. Una vita rispettabile e una vita scandalosa.

Diane Arbus alla fine del film

Nel mezzo un percorso, una metamorfosi. Quella di Diane Arbus da madre e moglie in artista.

Una trasformazione che è prima di tutto una liberazione da limiti e costrizioni, simboleggiata da vestiti sempre più morbidi ed essenziali e da capelli sempre più spettinati.

— SPOILER ALERT —

La storia

Con buona pace dei romantici, nella realtà non c’è mai stato un vicino di casa peloso per la Arbus. Una prima dose di stranezze Diane dovette trovarla nel film Freaks di Tod Browning: se ne innamorò e lo rivide svariate volte. Gli stessi mostri che incontrò dapprima solo sulla pellicola divennero poi il cuore della sua arte.

La Diane storica ha sempre guardato con un occhio particolare ad emarginati e reietti: giganti, nani, travestiti, prostitute e ritardati mentali riempiono i suoi scatti. Per lei si trattava di una realtà che andava oltre le semplici valutazioni di bello e brutto, buono e cattivo. Il film ne prende atto e trasmette fedelmente l’ossessione della donna per il diverso.

Alcuni scatti originali di Diane Arbus. A sinistra: Mexican Dwarf in his Hotel Room in N. Y. C. - 1970. Al centro: A Jewish Giant at Home with his Parents in the Bronx, N.Y. - 1970. A destra: A Young Man in Curlers at Home on West 20th Street, N. Y. C. - 1966

Ma il vero terreno dell’indagine filmica sono quelle sottili stranezze che appartenevano alla Arbus stessa. Quelle peculiarità che hanno portato chiunque l’abbia incontrata a definirla diversa, unica. Eccentrica.

A questo proposito, Lionel, verso la fine del film, guarda dritto negli occhi la bella Diane-Kidman e le confida che per tutta la vita ha cercato una donna che fosse una vera freak, per farne la sua compagna. Dallo sguardo lascivo che accompagna le sue parole capiamo che è consapevole di avercela davanti…

In lei — spiega Patricia Bosworth — si mescolavano tratti di voyeurismo, masochismo e depressione a una sessualità esplicita e a un occhio sempre puntato verso l’insolito. Il tutto colorito da un’intelligenza vivace. Un cocktail difficilmente accettabile dalla “buona società americana” degli anni in cui visse. E forse difficile anche per lei stessa, morta suicida in seguito a violente crisi depressive.

Un dato, questo, che avvalora la metafora del Lionel-lato oscuro di Diane (o forse sua vera essenza). Anche l’uomo nel film si toglie la vita, così come farà nella vita vera il suo omologo: la Diane artista. Due fini simili per due entità che sono in realtà un tutt'uno.

Lionel (dopo una rasatura invasiva) fa da modello a Diane per il suo primo scatto d’autore. Dal film Fur: un ritratto immaginario di Diane Arbus

Ma il film non si chiude in tragedia. È proprio la morte di Lionel a dare a Diane la spinta definitiva: per non tradire il ricordo dell’uomo e la loro comune natura, decide di essere coraggiosa e approcciare i soggetti che sente consoni alla sua arte. È l’inizio della sua fotografia controversa e indimenticabile. «Credo davvero che ci siano cose che nessuno vedrebbe se io non le fotografassi» diceva la Arbus. Forse, se lo avesse incontrato realmente, avrebbe risposto così all'interrogativo di Lionel sul perché volesse ritrarlo. Ma alla fine la domanda cade nel vuoto. Noi non lo scopriremo mai. Dopotutto, era sempre Diane a dire che «una fotografia è un segreto di un segreto. Più ti parla e meno sai».

Video recensione

Sitografia

Patricia Bosworth, Diane Arbus: via e morte di un genio della fotografia, Rizzoli, 2006

Valentina Perrone, Psicologia e cinema: Fur- un ritratto immaginario di Diane Arbus, in Amaltea Trimestrale di cultura Anno I, Numero quattro, dicembre 2006 http://nuke.amalteaonline.com/Portals/0/upload_rivista/Rivista_quattro/2007_04_FUR.pdf

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Eleonora Medica

Laureata in Lettere Moderne, attualmente studio Giornalismo culturale ed Editoria a Genova. Le mie passioni? Viaggiare e scoprire nuovi sapori.