Semplice introduzione all’antinatalismo (e perché non significa child-free)

Emma Cortesi
4 min readDec 16, 2018

“Ma la principale tra le pressioni a propagarsi è questa: per potersi formalmente integrare in una società le si deve offrire un sacrificio di sangue. Come chiarisce David Benatar in Better Never to Have Been, tutti i procreatori hanno le mani sporche, in senso sia morale che etico” (Thomas Ligotti)

In Italia si sente raramente parlare di antinatalismo, mentre siamo già un po' più in confidenza con il termine child-free. Quest’ultimo si riferisce semplicemente ad uno stile di vita, cioè quella di non voler diventare genitori. I motivi possono essere tanti, dal voler concentrare le proprie forze sulla carriera al non voler trasmettere delle malattie genetiche, passando per l’antipatia verso i bambini.

L’antinatalismo, invece, è una vera e propria posizione filosofica e la cui tesi è l’attribuire un valore negativo alla nascita. Le tipologie di antinatalismo sono diverse, tuttavia le principali sono: antinatalismo misantropico, antinatalismo filantropico e antinatalismo ecologista.

L’antinatalismo misantropico è semplice, si tratta di una diretta conseguenza dell’odio, del disgusto e della mancanza di fiducia che si prova verso l’umanità. Si tratta di versione “estrema” della misantropia, quella secondo cui la società è talmente malata e portatrice di dolore, che non merita di continuare ad esistere.

Nel caso opposto, cioè quello filantropico, si vuole porre l’attenzione su due cose inevitabili per l’uomo: la sofferenza e la morte. Procreare viene considerato immorale poiché donare la vita significa esporre una persona a disastri, povertà, malattia e cattiveria.

Thomas Ligotti in “La cospirazione contro la razza umana” parla degli “ottimisti”, cioè coloro che vivono una vita inconsapevole, si riproducono, costruiscono chiese e nazioni. Egli li ritiene i “cospiratori” che non vogliono farci render conto che l’umanità è destinata all’estinzione.

Il filosofo sudafricano David Benatar ha elaborato quella che definisce “Asymmetry of pleasure and pain”, ovvero: uno scenario A (esistere) in cui la presenza del dolore è cattiva e la presenza del piacere è buona, mentre nello scenario B (non esistere) l’assenza del dolore è buona e l’assenza del piacere non è male. In parole semplici: se non si esiste non si può sentire la mancanza del piacere, ma se si esiste, si dovrà sopportare il dolore.

David Benatar spiega che se si rimpiange di non aver avuto figli è un rimpianto relativo solo a noi stessi e non ci dispiace che qualcuno sia stato privato dell’esistenza, invece, avere il rimorso di aver generato un figlio con una vita infelice riguarda anche un’altra persona. Benatar sa che la massa non ritiene che la vita sia così male, tanto da chiamare questo fenomeno “pollyannism" (da Pollyanna di Eleanor Potter), ovvero il convincerci che le nostre vite non siano così male, basandoci sul paragone con chi sta peggio. Dunque, quando si decide di mettere al mondo un bambino, non si tengono presenti una serie di disagi e sofferenze (grandi o piccole) che ogni essere umano dovrà affrontare, come gravi malattie fisiche o mentali. E soprattutto non si tiene conto dell’unica certezza, cioè la morte, quel passo che inevitabilmente dovremo affrontare tutti, e che molti non vorrebbero.

L’antinatalismo ecologista sostiene che non dovremmo riprodurci perché la nostra specie è dannosa per il pianeta Terra. Si stima che non avere figli contribuisca molto di più alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica rispetto a tutte le altre alternative messe insieme (tra cui riciclare, non usare automobili, scegliere una dieta senza carne o derivati). Eppure al mondo ci sono più di sette miliardi di persone e nel 2050 potremmo arrivare a dieci miliardi.

C’è un curioso movimento, di stampo antinatalista ecologista, che si chiama Movimento per l’estinzione umana volontaria (VHEMT), il cui motto è “may we Live Long and Die Out”. I Volontari ci tengono a specificare di non essere misantropi, ma persone che cercano un’alternativa ai disastri causati dall’uomo, e sostengono che la nostra estinzione salverà milioni di specie vegetali e animali che rischiano di sparire.

In sostanza, tutto questo appare strano, siamo abituati a pensare che prima o poi tutti dovranno affrontare l’esperienza della genitorialità (e della gravidanza, nel caso delle donne). Non è così facile parlare di antinatalismo in un Paese dove è normale il Fertility Day, campagna imbarazzante dove si cercava di convincere i giovani a riprodursi il prima possibile, ignorando i problemi e le scelte personali. Una campagna che offende tutti, da chi non vuole figli a chi li vuole ma non può, passando per quelli che preferiscono aspettare.

Questo è un mondo dove si aprono lunghissimi dibattiti sull’utero in affitto, dov’è normale rivolgersi subito alla procreazione assistita se non si possono avere figli, poiché conviene sia in fatto di tempistica che di denaro (oppure, si tratta di semplice egocentrismo) a quel bellissimo gesto umano che è l’adozione. Tra l’altro, è bizzarro pensare che un child-free non dovrebbe mai avere intenzione di adottare un figlio, mente un antinatalista potrebbe.

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