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Elogio della lentezza
(nell’epoca di Facebook)

Tutto ciò che ci circonda urla: velocità!

Enrico Basso
4 min readOct 29, 2014

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Dita che corrono rapide sulla tastiera del cellulare, connessione internet sempre attiva, auricolari che tappano le orecchie. Questa è l’immagine di giovane che molti di noi hanno quotidianamente davanti agli occhi. Ma, soprattutto, quelli che ho elencato sono gli oggetti che sempre più spesso isolano il giovane dal resto del mondo.

È un ritratto che mi fa pensare; mi spinge a considerare i muri che bisogna superare per guardare negli occhi i ragazzi di oggi, le nuove sfide che si devono affrontare per parlare la loro stessa lingua, per proporre loro dei valori, per avanzare qualche proposta per un’etica moderna; ho riflettuto soprattutto sulla situazione attuale del giovane medio, sul contesto culturale nel quale quotidianamente è immerso.

Credo che uno dei problemi principali sia la perdita della capacità di apprezzare la lentezza. Tutto ciò che ci circonda ci urla: velocità!; non concede tempo per riflettere, soffermarsi sulle cose, comprendere i valori, approfondire i rapporti, esplorare se stessi e gli altri. Esempi lampanti di questo fenomeno mi sembrano il tipo di informazione che ci viene offerto, il ritmo di vita a cui siamo sottoposti, le proposte sociali che riceviamo (fast food, connessioni sempre più veloci, short message sistem, relazioni mordi e fuggi: tante scorciatoie per altrettanti problemi).

Però è solo con il gusto e la fiducia per la lentezza che si creano persone, si intessono rapporti, si costruisce un tessuto sociale; la mia è una generazione impaziente, con un’anima irrequieta e un occhio reso superficiale dall’aver passato anni e anni a guardare la vita che scorre a grande velocità fuori dal finestrino. Mi sembra normale, in un contesto simile, che i giovani di oggi non abbiano la pazienza di approfondire la conoscenza di qualcuno (per non parlare della conoscenza di sé!), la pazienza di ascoltare, la pazienza di spendere tempo per gli altri, anche e soprattutto quando i frutti non sono immediati.

Verrebbe da chiedersi: perché la società, con i giovani in prima fila, tende ad un simile dinamismo cieco ed esasperato?

“La nostra epoca si abbandona al demone della velocità, ed è per questo motivo che dimentica facilmente se stessa”

notava Kundera in un suo saggio; ma in quest’affermazione qual è la causa, e quale l’effetto? È il fascino della rapidità che comporta il sacrificio della memoria, oppure è la necessità dell’oblio che richiede un’ossessiva accelerazione?

Venticinque anni fa Calvino, preparando un ciclo di conferenze per Harvard, indicava i sei valori che la società del nuovo millennio avrebbe dovuto privilegiare; il primo è quello della leggerezza. La cultura degli anni ‘90 ha seguito questa indicazione, ma lo slancio è proseguito oltre misura: si è passati da un gusto per la leggerezza, mirato ad alleggerire i valori veri dalla ingombrante patina delle ideologie, arrivando alla situazione attuale, in cui siamo schiacciati dal peso della vanità. Tutto è vano, evanescente, incorporeo. Ogni fatto, cosa o persona assume concretezza solo in quei pochi secondi nei quali compare su uno schermo, ammantato di quel sensazionalismo a cui ci stanno abituando.

Risulta evidente perché l’avvento della mentalità feisbuchiana (concedetemi il neologismo) trovi terreno fertile: un enorme stagno in cui ognuno può lanciare il sasso, protetto dalla possibilità di nascondere la mano, rassicurato dalla certezza che le pietre si accumuleranno tra le acque torbide e sconfinate del web. È il ritratto impietoso di una società di bambini che disegnano ombre cinesi su di un muro comune e globale: uno stato virtuale in cui ognuno dei suoi 500 milioni di cittadini esprime la propria partecipazione con una chat telegrafica, comunica emozioni tramite stereotipate emoticon, rigurgita ogni tipo di affermazione attraverso cui attira su di sé l’attenzione per quei tre secondi concessi dal navigatore medio, più o meno consapevole che ogni sua traccia verrà cancellata dalla memoria collettiva dal post pubblicato immediatamente dopo. Questa è la modernità in cui viviamo.

Ecco che in questa pozzanghera si combinano la turbolenta velocità e l’attraente vanità. Sono questi i muri che dobbiamo superare per guardare in faccia i giovani e per poter parlare con loro. Il come rimane ancora da capire, almeno in parte. Credo però che ci stiamo orientando nella direzione giusta, nel momento in cui entriamo nell’ottica di proporre esperienze concrete, valori resi tangibili nella quotidianità. Mi rendo conto di aver evidenziato qualche problema — molti altri mancano all’appello — , senza però proporre molte soluzioni concrete. Il fatto è che questi sono fenomeni sociali in piena evoluzione: crescono e mutano attorno a noi. Ci è richiesto, a monte di una possibile analisi, lo sforzo di porci alla debita distanza dal problema, per poterlo osservare nella sua interezza.

E quale modo migliore, se non il tirarsi fuori da questo turbine caotico di accelerazioni casuali? La vita non la si capisce, se la si beve tutta d’un fiato; la si deve assaporare e scoprire, con la dovuta lentezza e la giusta profondità.

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Enrico Basso

Gestisco concetti, maneggio parole, immagino cose. Umanista digitale.