The Donald inaugura la Presidenza Trump

Federico Sarri
4 min readJan 22, 2017

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Il discorso inaugurale del 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America

Ha stupito tutti, ancora una volta. Donald Trump si conferma il politico che abbiamo imparato (in parte) a conoscere durante l’ultima campagna elettorale: semplice, ma efficace.

Donald J. Trump, 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America

Dopo essere diventato il 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, giurando sulla Costituzione appartenuta ad Abramo Lincoln e sorretta dalle mani della neo First Lady Melania, Trump ha tenuto il suo discorso inaugurale. Un’address più corto di quello dei suoi predecessori, che è durato circa 20 minuti ma che ha segnato l’approccio del tycoon newyorkese alla Presidenza.

Trump ha saputo stupire, nel bene o nel male, anche questa volta. Chi si aspettava un discorso presidenziale è rimasto deluso. Chi sperava che il magnate si sarebbe mostrato capace di riunire tutti i cittadini intorno alla bandiera a stelle e strisce, anche. Chi invece si è mostrato entusiasta del neo Presidente e del suo discorso sono tutti coloro che lo hanno osannato durante questo ultimo anno e che lo hanno accompagnato alla Casa Bianca: i supporters più convinti, la classe media scontenta dell’establishment di Washington, the Movement (il Movimento, come Trump ama chiamare i propri sostenitori). Il neo Presidente è riuscito a stupire e, se possibile, a dividere ancora di più. Il confronto tra la folla accorsa per l’inaugurazione di Barack Obama e quella accorsa per il tycoon è impietoso. Eppure, nonostante la moltitudine di sedie vuote, Trump non si è dato per vinto. E da guerriero quale si professa ha rispolverato tutti i temi che lo hanno accompagnato in campagna elettorale.

Al centro della sua visione, manco a dirlo, c’è l’America. Un’America che con lui sarà di nuovo “ricca, sicura e grande”. Il neo Presidente ha una visione chiara del paese, che con lui si avvia a passi spediti sulla strada del protezionismo: “Compra americano, assumi americani”. Il mantra della campagna elettorale ha accompagnato anche il primo discorso alla nazione e il neo Presidente ha allungato l’elenco di promesse ai cittadini: solo nuovi posti di lavoro e nuove infrastrutture saranno in grado di rilanciare gli Stati Uniti, ha detto. Politica estera, altro tema caldo della sfida elettorale, la parola d’ordine è sempre la stessa: isolazionismo. L’America smetterà di difendere i confini degli altri e ricomincerà ad occuparsi dei suoi: lo zio Sam, insomma, torna a casa.

Ma Trump si è spinto oltre, dimostrando coerenza e attaccando ancora una volta l’establishment politico di Washington. Il vero punto di rottura con i suoi predecessori più vicini, al netto della diversa visione programmatica, è proprio questo: il sapersi presentare come un vero e proprio outsider, rivendicando con orgoglio la propria estraneità al mondo della politica (non avendo egli mai assunto alcun incarico istituzionale o politico). Una dinamica che dopo Reagan(prima attore e poi Presidente), è passata in secondo piano, per risvegliarsi poi grazie al tycoon newyorkese, che pochi giorni fa ha demonizzato la classe politica della capitale proprio da Capitol Hill. A favore di chi? Del popolo, naturalmente.

“Oggi non stiamo trasferendo il potere da un’amministrazione a un’altra, da un partito all’altro - ha detto Trump -. Oggi stiamo trasferendo il potere da Washington D.C. alle vostre mani, al popolo americano”.

Una presa di posizione chiara e anti-sistema che gli è valsa la vittoria elettorale e che ora indirizza la sua Presidenza. Una Presidenza che si prepara ad essere, almeno nei toni, simbolo e modello di populismo. Un populismo che mette al centro il popolo americano scontento e arrabbiato per una ricchezza che difficilmente tornerà ai livelli pre crisi economica e che, prima di guardare ai diritti sociali e civili del proprio vicino, controlla quanti dollari gli sono rimasti nel portafoglio. Perchè è con quelli che si mangia, in fondo.

In cosa ha stupito, allora, Trump? The Donald è stato in grado di costruire un personaggio che faccia parlare di sè e di quello che fa, questo è fuor di dubbio, ma non solo. Egli ha portato questo personaggio direttamente sul palco di Capitol Hill: non un cambiamento di trucco, non un cambiamento di toni. Tale e quale a quello che abbiamo conosciuto in campagna elettorale e che il popolo ha eletto Presidente (sebbene abbia preso meno voti singoli, ma questa è un’altra storia). Il suo discorso inaugurale segna una svolta proprio in questo: Trump non ha messo da parte il personaggio a favore del “Presidente di tutti”, ma ha rivendicato con orgoglio il suo essere The Donald. Storicamente il discorso inaugurale serve per riunire l’elettorato intorno alla bandiera dopo le divisioni che hanno segnato la campagna elettorale. “Sarò il Presidente di tutti” non è solo retorica, ma trova origine in quelli che sono i poteri costituzionali del Presidente - che da quel momento governa lo Stato e non solo i propri elettori. Trump però ha stupito anche in questo, affidando le proprie parole a The Donald (e alla propria penna).
Si è affidato a un personaggio che divide, ma che vince grazie alla semplicità delle sue idee. Un personaggio che parla alla pancia degli elettori senza farsi troppi problemi. Un personaggio campione di populismo e che si dimostra impassibile alle critiche. Un personaggio che con il suo essere anti-sistema dice di voler cambiare l’America. Dimenticandosi, però, che ora è nell’establishment fino al collo.

I prossimi mesi ci diranno chi è il vero Trump. Sarà fondamentale vedere se intende mettere in pratica tutto quello che ha promesso e, nel caso, scoprire come farà. E i prossimi mesi saranno fondamentali per capire cosa cambierà realmente nella politica statunitense (e non solo nelle parole). Ma una cosa è certa: The Donald non smetterà di stupire.

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