“È falsa la dicotomia tra diritto alla privacy e salute pubblica”

Francesca Bria
6 min readApr 2, 2020

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Al via un consorzio paneuropeo: “Potrebbe essere una via percorribile nel breve periodo con il giusto equilibrio”, dice la ricercatrice, presidente del nuovo Fondo Innovazione del gruppo Cdp, e componente del gruppo di esperti scelto dal ministero dell’Innovazione.

INTERVISTA DI BENIAMINO PAGLIARO

https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/04/01/news/francesca_bria_coronavirus-252912090/#success=true

ROMA. Francesca Bria rifiuta il duello ideologico tra privacy e salute: c’è una terza via, dice la ricercatrice, presidente del nuovo Fondo Innovazione del gruppo Cdp e già alla guida della strategia per dati e tecnologia della città di Barcellona, e componente del gruppo di 74 esperti scelti dal Ministero per l’innovazione che dovranno consigliare il governo sulle misure da adottare.

Le decisioni prese in materia di uso di dati e tecnologia hanno spesso conseguenze difficili da prevedere nel lungo periodo. È giusto tracciare il singolo cittadino per rispondere a una pandemia?

A mio avviso è importante non cadere nella falsa dicotomia tra diritto alla privacy e salute pubblica. Le tecnologie che vanno messe in campo per l’emergenza in un paese democratico possono e devono coniugare l’obiettivo della sicurezza sanitaria e l’efficacia dell’azione pubblica con la garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone. In questi giorni, grazie allo sforzo congiunto di ricercatori, scienziati ed esperti di tecnologia, si sta creando un consorzio pan europeo (Pepp-Pt, con 8 paesi e 130 ricercatori: https://www.pepp-pt.org) per implementare soluzioni digitali a livello continentale per contenere la diffusione del COVID, tracciando i contatti. La via europea prevede condivisione di codice, alti livelli di privacy e sicurezza e standard etici e democratici in relazione all’accesso e al governo ai dati. il download dell’app sarà volontario e il codice include garanzie per crittografare i dati e anonimizzare le informazioni personali, rendendo praticamente impossibile rivelare l’identità delle persone che utilizzano i dispositivi. Direi che la strada europea potrebbe essere una via percorribile nel breve periodo con il giusto trade-off tra tracciabilità, efficacia e privacy.

Il Garante per la Privacy ha detto a Repubblica di approvare l’ipotesi di tracciare i dati personali ma con un decreto legge che chiarisca la natura temporanea dalla misura. È d’accordo?

Sono d’accordissimo con quanto espresso dal Garante. Questo è il modo in cui le cose devono funzionare in una democrazia. In particolare sono d’accordo sul fatto che la privacy non deve essere vista come un lusso che non possiamo permetterci in tempo di emergenza o come un servizio che ci viene offerto da qualche Big Tech. E’ un diritto fondamentale, su cui bisogna sviluppare una cultura diffusa nella società digitale. Allo stesso tempo, otre a richiedere un decreto che dovrà seguire criteri di proporzionalità, gradualità e temporalità, spero anche che la società civile, gli esperti di tecnologia, ricercatori e giornalisti siano in grado di partecipare al necessario dibattito pubblico per evidenziare l’impatto sul lungo periodo di queste misure e per spiegarlo in maniera chiara a tutti i cittadini. Siamo in un momento chiave in cui si sta accelerando la transizione alla società digitale e non vogliamo seguire un modello solo emergenziale o securitario. Approviamo misure che siano valide anche per gestire il dopo emergenza, dopo averne valutato i pro e i contro.

Ci sono altri utilizzi di dati in maniera anonimizzata che potrebbero raggiungere comunque degli obiettivi importanti?

Sì certo, organizzare e raccogliere dati (ad esempio con i test) analizzarli (scienza dei dati e impatto economico) e utilizzarli per indirizzare l’azione pubblica è assolutamente fondamentale per far fronte a questa crisi che non è solo sanitaria, ma anche economica, sociale ed ambientale. Oltre questa emergenza, abbiamo anche visto che la capacità di usare dati e tecniche di intelligenza artificiale per migliorare i servizi pubblici può dare risultati meravigliosi, come ho sperimentato direttamente guidando la strategia di smart city della città di Barcellona. In generale, abbiamo bisogno di maggiori investimenti in infrastrutture sicure per un utilizzo di dati anonimi. Nell’economia digitale i dati sono la materia grezza, e il cuore del modello di business delle piattaforme digitale è l’estrazione e la monetizzazione dei dati personali. Finora l’Europa ha investito troppo poco nel creare delle alternative proprie nella gestione delle infrastrutture critiche dell’economia del futuro (cloud, dati, intelligenza artificiale, supercomputing) e il settore pubblico, con poche eccezioni, non ha articolato una vera strategia. Ma, naturalmente, molte decisioni data — driven sul traffico, la raccolta dei rifiuti, la pulizia delle strade, per non parlare dell’attuale ondata di applicazioni digitale nel campo della medicina e dell’educazione online — si possono prendere utilizzando i dati nel totale rispetto della privacy. Abbiamo anche tecnologie emergenti decentralizzate come la blockchain e protocolli cryptografici in cui l’Europa eccelle, che permettono di coniugare innovazione e sovranità sui dati per i cittadini.

Abbiamo letto molto del famoso modello Corea del Sud. Cos’ha funzionato e quali sono i limiti?

In Corea le soluzioni tecnologiche sono stata integrate in una strategia ampia ed efficace per contenere e fermare il virus, a partire dalla loro esperienza con la gestione della Sars. la Corea del Sud è stata efficace nel controllare il tasso di mortalità attraverso misure e test di quarantena rigorosi e diffusi, persino esportando kit di test prodotti a livello nazionale, un applicazione centralizzata per consentire la tracciabilità dei contatti, uso diffuso di mascherine per proteggere la popolazione, lockdown selettivi nelle zone a rischio etc. Rispetto alla gestione tecnologica, ha utilizzato un’app di monitoraggio Corona 100m, che informa i cittadini di casi noti entro 100 metri da dove si trovano. Il governo gestisce un database pubblico e centralizzato di pazienti, che include informazioni sulla loro età, sesso, frequenza e percorsi di viaggio. Sorprendentemente, una cultura che ha spesso respinto in modo ribelle l’autoritarismo ha abbracciato misure intrusive. Anche la Cina ha mobilitato una vasta gamma di strumenti di sorveglianza di massa, come un’app obbligatoria che classifica le persone in base al loro rischio di contagio e condivide le informazioni con le autorità. Soluzioni ostiche per le democrazie occidentali per l’alto livello di intrusività.

Ci sono e ci devono essere differenze di approccio da parte dell’Italia e dell’Unione europea rispetto ai modelli asiatici o americani?

Sì, c’è anche un grande valore simbolico e geopolitico associato alla risoluzione corretta di questo problema. Né l’approccio autoritario dall’alto verso il basso né l’approccio americano guidato dai Big Tech sono completamente compatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali che sono al centro del progetto europeo. L’Europa deve cogliere questo momento e dimostrare che si può essere innovativi e allo stesso tempo introdurre importanti tecnologie da cui dipende il futuro della nostra società ed economia; ora è il momento di dimostrare che possiamo farlo diversamente.

In queste settimane di crisi milioni di lavoratori hanno iniziato a lavorare in smart working, le aziende sono state obbligate a muoversi. Lo Stato è pronto per questa sfida?

La digitalizzazione è una sfida che va affrontata in maniera ambiziosa e governata. La digitalizzazione del lavoro comporta molti benefici per far fronte al calo della produttività, ma comporta anche problematiche delicate legate al bisogno di nuove competenze e formazione, nuove disuguaglianze o alla sorveglianza sul posto di lavoro, che richiede nuove politiche come quello che i francesi chiamano il “diritto di disconnettersi”. Per introdurre lo smart working in maniera sicura si devono dotare i dipendenti dei giusti strumenti e risorse e si possono anche mettere in campo modelli alternativi, come come il “co-working”, che sfruttano le tecnologie digitali, per facilitare la collaborazione e la creazione di nuove competenze, ma senza accettare un modello che comprime i diritti dei lavoratori o che provoca nuove forme di isolamento e più controllo. In generale il tema della trasformazione del lavoro nella società digitale è cruciale e io credo si debba agire coraggiosamente per anticipare i profondi cambiamenti nel mercato del lavoro e fare un’applicazione più rigorosa delle leggi sul lavoro, ad esempio per la gig economy per fermare la crescente precarizzazione e lo spostamento di posti di lavoro ben pagati a causa dell’automazione industriale e dell’intelligenza artificiale che portano maggiore efficienza e rendimenti più elevati. È chiaro che la ricchezza in questo scenario economico mutato dovrà essere catturata e condivisa in nuovi modi.

La grave falla di sicurezza riscontrata oggi dall’Inps è preoccupante. Possiamo ritenere sia un caso isolato o deve essere un allarme?

Dovremmo partire dal presupposto che in questi giorni mentre l’economia reale si è fermata, ci saranno più attacchi alle infrastrutture critiche digitali e nell’economia virtuale. Ecco perché dobbiamo fare tutto il possibile per mantenerle sicure e protette. Per lo meno, dovremmo seguire le migliori pratiche di sicurezza, che implicano il rendere più facile il controllo del codice che utilizziamo e degli algoritmi, promuovere software libero e open source e garantire che l’accesso ai dati critici sia sotto stretto controllo monitorato dalle autorità pubbliche competenti. Queste sono buone pratiche che servono al paese anche dopo la crisi covid-19.

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Francesca Bria

President, Italian Innovation Fund @GruppoCDP. Honorary Professor @IIPP_UCL. Founder @decodeproject. Former CTO @BCN_digital. https://www.francescabria.com