Recovery Italiano: Recuperare la sovranità tecnologica, guardando all’Europa e investendo sul futuro.

Francesca Bria
7 min readJul 7, 2020

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Qui il video del mio intervento: https://www.facebook.com/partitodemocratico/videos/296467501713269

Siamo ancora nel mezzo di un’emergenza globale, che rappresenta uno shock economico senza precedenti, “la peggiore recessione dalla Grande Depressione”. Decenni di polarizzazione economica hanno aumentato le diseguaglianze e creato una precarietà diffusa, che il lockdown ha peggiorato per molte persone. Più profonda è la crisi, più probabile è che le persone non chiedano un ritorno alla normalità, ma un salto verso qualcosa di diverso e migliore. Oggi la domanda da porci è se siamo in grado di trasformare questa emergenza in un’opportunità storica per riconfigurare delle società ed economie migliori, guardando al futuro.

Per affrontare la trasformazione digitale in maniera strutturale dobbiamo capire l’impatto dei suoi cambiamenti e saperla guidare e governare. Bisogna mettere al centro le persone e dire chiaramente che questa trasformazione digitale che abbiamo in mente darà più potere ai cittadini e alle comunità, non creerà nuove diseguaglianze e migliorerà le condizioni di lavoro. Ed è una questione centrale nell’agenda politica, in quanto bisogna non solo accellerare la digitalizzazione, ma dargli anche una direzione, perché si tratta di utilizzare le tecnologie digitali per raggiungere la sostenibilità sia sociale che ambientale.

Per quanto riguarda l’Agenda italiana di breve e medio periodo, in particolare emergono tre elementi:

  1. Primo fra tutti il digital divide infrastrutturale: Le infrastrutture di Rete si sono rivelate infrastrutture critiche da cui dipendono i servizi essenziali della società, e quindi il loro accesso va visto come un diritto fondamentale di tutti i cittadini. Bisogna dunque connettere tutto il territorio italiano con una rete in fibra unica, pubblica e neutrale, cablando tutto il territorio italiano, anche aree interne e borghi, Nord e Sud Italia. Ma, ciò non basta, infrastrutture critiche vuol dire anche accellerare nel 5G, su cui si giocano le grandi questioni geostrategiche del futuro e investire in infrastrutture sicure di cloud e Intelligenza Artificiale. Su questo sta puntando ora l’Europa nella sua nuova strategia del Recovery Plan, in cui a fianco a batterie elettriche e idrogeno investe su cloud computing con il progetto franco tedesco GaiaX, la scommessa di gestire le infrastrutture cloud oggi dominate dai giganti statunitensi e cinesi in modo europeo, con un infrastruttura federata, open source e interoperabile. E ‘un primo passo importante verso una politica tecnologica europea, che punta a recuperare la sovranità sui dati, una battaglia che l’Italia dovrebbe giocare con determinazione. I dati infatti sono la materia grezza dell’economia digitale. Un uso intelligente dei dati è di grande interesse pubblico, ne va riconosciuto il valore pubblico, come un’infrastruttura al servizio delle città, dei cittadini e delle imprese per creare innovazione. E‘ importante sottolineare che riprendere il controllo delle infrastrutture digitali richiede una nuova strategia industriale e di innovazione a livello pan-europeo, data la mole di risorse, competenze e investimenti necessari.
  2. Digital divide vuol dire anche competenze digitali. L’Italia spende ogni anno solo lo 0.5% del PIL in ricerca pubblica, circa la metà di quello che spendono i Paesi del Nord Europa. L’Italia è quart’ultima in Europa nell’indice DESI della Commissione Europea sulla digitalizzazione. La ricerca e la scienza sono il motore dell’innovazione tecnologica: senza trasferimento tecnologico la capacità di innovazione delle imprese viene ridotta, come anche la produttività e la creazione di nuovi lavori di qualità. Non basta solo investire di più in capitale umano e ricerca, serve fare un salto di qualità nel rafforzare il legame tra scienza e industria, alla base dell’innovazione, in un’ottica che sostenga tutto il sistema-Paese, sul modello della Fraunhofer Society tedesca. In questo senso, il Fondo Nazionale Innovazione che presiedo è una bella notizia, con un Miliardo da investire in tutta la filiera delle imprese innovative, per creare 1000 nuove startup, accelleratori di nuova generazione, poli di tech transfer, e corporate venture capital. Bisogna anche avere una forte sensibilità di genere. C’è ancora un forte gap di genere nel settore tecnologico (come d’altronde in tutta la nostra società). La rivoluzione digitale deve anche essere una rivoluzione femminista.
  3. Infine, non esiste un paese moderno e digitale, senza una burocrazia smart. Digitalizzare il pubblico, non significa solo introdurre nuove apps, identità digitali e nuovi servizi digitali, ma implica un cambio organizzativo e culturale. In primis significa rendere il pubblico sexy, attrarre giovani e talenti con skills e competenze giuste e metterli a lavoro per trasformare le amministrazioni. Quando ero assessore a Barcellona, per affrontare la trasformazione digitale, ho assunto 65 nuove persone, quasi tutti giovani, appena usciti dalle migliori università del paese.

Oltre a risolvere i nostri ritardi nel breve periodo, dobbiamo anche affrontare le sfide politiche nel lungo periodo, su scala europea e globale. Al centro di queste grandi questioni per ridisegnare l’economia del futuro, si pone fortemente il bisogno di restaurare la Sovranità Tecnologica Europea, e quindi anche italiana. In questa ottica, c’è bisogno di una prospettiva progressista e di lungo periodo. Menziono quattro sfide chiave:

1. La prima sfida è la nuova dimensione geopolitica: Uno dei temi importanti è come rimanere competitivi in un sistema economico globale in cui la battaglia geostrategica si centra sulla supremazia tecnologica: dalla corsa al 5G, al quantum computing, ai chip di nuova generazione, all’Intelligenza Artificiale e la sovranità sui dati. L’Europa non ha imprese che possano competere su questo piano e tutte le infrastrutture nazionali critiche (sia hardware sia software che flussi di dati) sono costruite al di fuori dell’Unione: questo può rappresentare nel lungo periodo un grosso rischio per la crescita, l’occupazione e l’influenza dell’Europa in settori chiave.

2. Questo ci porta alla seconda sfida, la sfida della regolazione, tenendo conto dell’attuale concentrazione di mercato: Per le Big Tech la pandemia è uno shock — ma al contrario di tutti noi è uno shock positivo. Le vendite online sono cresciute del 22%. Mentre tutte le altre imprese rallentavano, le imprese tecnologiche hanno velocizzato investimenti e acquisizioni, dando vita a una concentrazione industriale inedita nella storia recente. Amazon ha aumentato la sua valutazione sul mercato di 400 miliardi di dollari e i grandi player digitali (americani e cinesi) hanno raggiunto una quotazione di borsa complessiva di oltre $6 trilioni. Questa estrema concentrazione di mercato sta portando ad un nuovo scenario anche per quanto riguarda la capacità dei governi di intervenire nell’economia: leggi antitrust più permissive, partecipazioni azionarie del governo e controllo di acquisizioni estere in settori strategici per bloccare i takeover ostili sono ormai parte del playbook politico post Covid, come definito nel Libro bianco, “White Paper on foreign subsidies in the Single Market”, pubblicato dalla Commissaria Vestager e nel tedesco Foreign Trade Act. È chiaro inoltre che per regolare i colossi tecnologici c’è bisogno anche di un nuovo sistema di tassazione digitale in cui le grosse imprese paghino le tasse dove creano i profitti, senza ricorrere ai paradisi fiscali. Se non avverrà in ambito OCSE (ostacolato ora dagli Stati Uniti) la Commissione, come affermato dal Commissario Gentiloni, è determinata ad andare avanti a livello europeo.

3. La terza sfida è quella industriale: Bisogna poi agire coraggiosamente per anticipare i profondi cambiamenti nel mercato del lavoro e fare un’applicazione rigorosa delle leggi sul lavoro per la gig economy per fermare la crescente precarizzazione dei lavoratori delle piattaforme (che durante la pandemia si sono rivelati lavori essenziali) e lo spostamento di posti di lavoro ben pagati a causa dell’automazione industriale e dell’intelligenza artificiale che portano maggiore efficienza e rendimenti più elevati. È chiaro che la ricchezza in questo scenario economico mutato dovrà essere catturata e condivisa in nuovi modi.

4) E infine la sfida democratica: che è a mio avviso il cuore della questione: Molte persone hanno perso il senso di uno scopo nella società, anche perché le fondamenta della democrazia e dello spazio pubblico sono minate alla radice da una nuova forma di potere algoritmico che sta gradualmente sostituendo la sfera pubblica habermasiana, gestito dai grossi colossi del digitale che si sono arricchiti con i nostri dati. Il disagio è venuto fuori chiaramente con la crescita esponenziale delle fake news, hate speech, e attacchi razzisti online, con una polemica messa in luce dal movimento Black Lives Matter, che ha portato al boycott e alla perdita di dollari pubblicitari da grandi aziende preoccupate di essere associate ai contenuti infiammatori pubblicati su queste piattaforme. La crescita di questo nuovo potere sta anche generando una nuova oligarchia, una classe di miliardari alla Bezos e Zuckerberg che si sono estremamente arricchiti dalla crisi in corso, ma che non sono in grado di gestire la responsabilità che ne deriva.

Questo ha profonde implicazioni per il modo in cui i cittadini si relazionano tra loro e con lo Stato, inclusa la paura esistenziale — di manipolazione, sovraccarico di informazioni, inautenticità — creata dalle esternalità dei giganti digitali. Una forma di inquinamento delle informazioni che rischia di portare i cittadini a cercare l’uomo forte alla Trump o Bolsonaro, e alla crescita di populismi e nazionalismi, che crescono manipolando la rabbia sociale.

Solo mettendo in campo misure ambiziose, sia nel breve periodo ma anche con una prospettiva strategica di lungo periodo, saremo capaci di rompere la logica binaria che ci presenta sempre e solo due futuri scenari per il digitale: il primo è quello del Big State, il modello cinese top-down e più orwelliano, che, seppur efficace, potrebbe limitare fortemente i nostri diritti costituzionali. L’altro è quello delle Big Tech della Silicon Valley che Shoshana Zuboff professoressa della Harvard Business School chiama il capitalismo della sorveglianza, che ripone maggiore fiducia nei Big Tech. Anche questo potrebbe funzionare, ma a lungo termine avrà effetti deleteri sulla democrazia.

Queste non sono le uniche opzioni. C’è anche una terza via, fra il Big State e il Big Tech che è quella della Big Democracy, una democrazia sui dati, la partecipazione da parte dei cittadini e la tecnologia al servizio della società. Ora è il momento di dimostrare che possiamo farlo, proponendo un modello di sovranità tecnologica europeo, che significa un nuovo umanesimo digitale, una rivoluzione tecnologica al servizio delle persone e della transizione ecologica, rendendo la tecnologia un diritto e un’opportunità per molti e non un privilegio per pochi.

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Francesca Bria

President, Italian Innovation Fund @GruppoCDP. Honorary Professor @IIPP_UCL. Founder @decodeproject. Former CTO @BCN_digital. https://www.francescabria.com