Perché dobbiamo insegnare fact-checking ai nostri figli, ORA.

Gabriela Jacomella
Factcheckers
Published in
5 min readDec 7, 2016

Se ne sono accorti tutti, ormai. Persino Mark Zuckerberg, anche se inizialmente aveva provato a svicolare (ma ci hanno pensato i fact-checkers di tutto il mondo a riportare il discorso sul binario giusto). E se ne sono resi conto a Google, dove per la verità è da qualche tempo che ci si sta lavorando (ma c’è ancora qualcosa da sistemare, sembra).

Le bufale ci stanno travolgendo. Branchi interi, orde selvagge, torrenti di bufale impazzite che scorrazzano libere nelle praterie della Rete.

Durante le elezioni americane — e sappiamo come gli esperti dei salotti televisivi e delle terze pagine dei quotidiani se ne siano accorti, ahimè, con un certo ritardo — le notizie false e virali diffuse dai vari siti hyperpartisan hanno giocato un ruolo ancora tutto da chiarire, ma di sicuro non irrilevante nell’avvelenamento progressivo del dibattito pubblico.

Servono dalle 10 alle 20 ore per smentire una notizia falsa, una volta che sia entrata nel vortice della condivisione virale. E non è assolutamente detto che la smentita poi sortisca un effetto positivo, visto che la rincorsa cui è costretta la colloca in posizione di assoluto svantaggio. Per i team di fact-checkers sparsi nel mondo (tra cui la squadra tutta italiana di PagellaPolitica, che ha fatto un lavoro interessantissimo sulle "bufale referendarie"), la sfida sembra essere sempre più ardua, ai limiti dell'impossibile.

Siamo un po’ come i fratelli Whitman di Darjeeling Limited, scompostamente lanciati alla rincorsa di un treno che si allontana verso l’orizzonte. Piccolo particolare: qui si viaggia alla velocità dei "bullet trains" che attraversano il Giappone in un battito di ciglia.

I fratelli Whitman, alla fine, quel treno l'hanno preso. Oggi la sfida è un po' più dura…

Riassumendo: forse è arrivato il momento di gettare la spugna, e lasciare il campo libero alle mandrie di bufale. O forse no.

Noi di Factcheckers crediamo nella seconda opzione. Anzi, riteniamo che il punto a cui siamo arrivati imponga una riflessione che va ben oltre il confine delle redazioni, o di quei gruppi sparuti di nerd della notizia (detto in senso positivo) che da anni combattono contro gli hoaxes come tanti Don Chisciotte postmoderni contro mulini a vento sempre più inafferrabili e virtuali.

Noi crediamo che tutti debbano, oggi, avere gli strumenti di base per poter intercettare la disinformazione che ci circonda.

Che tutti debbano essere allenati ad esercitare il proprio spirito critico, senza lasciarsi passivamente convincere dalla prima bufala che passa. Che tutti debbano essere consapevoli di come una condivisione fatta in automatico, senza prendersi la briga di controllare se alla base di quel meme o di quell’articolo ci sia un fatto verificabile e verificato, un’opinione o una pura e semplice bugia, significhi diventare complici di un sistema che ci sta rendendo incapaci di distinguere verità da finzione. [Possiamo decidere liberamente di esserlo, complici: ma senza più trincerarci dietro la facile scusa del "non sapevo" o del "non è vero ma avrebbe potuto esserlo".]

Siamo un’associazione che si occupa di educational fact-checking.

Che vuol dire, in sintesi, “addomesticare” gli strumenti di verifica delle notizie solitamente utilizzati dai giornalisti più coscienziosi e dai “nerd della notizia” di cui parlavamo sopra. Addomesticarli per renderli accessibili a tutti, dagli studenti di medie e superiori ai loro docenti, dalle aule delle università ai programmi radio per ragazzi. Lo facciamo con test, laboratori, lezioni pratiche, conferenze, “pillole” di fact-checking. Siamo nati da poco (per essere precisi, dal mio rientro dal Global Fact 3 di Buenos Aires), ma l'interesse che registriamo da parte di istituti e atenei (e non solo) è altissimo e in rapida crescita.

Pensate che non ce ne sia bisogno? Sarebbe bello, in effetti, se avessimo esagerato con il pessimismo. In fondo, questa è le generazione dei nativi digitali, giusto?

E chi siamo noi per insegnare a gestire la Rete a chi praticamente c’è nato dentro?

A little touch of dystopia, anyone?

Lo abbiamo pensato anche noi, per un attimo. Poi abbiamo deciso di metterci alla prova. Abbiamo sottoposto il nostro test a un gruppo di studenti di laurea magistrale dell’ateneo di Padova, grazie all’invito (ed alla collaborazione) del professor Corrado Petrucco. E i risultati ci hanno confermato nella nostra preoccupazione, come racconta benissimo qui sotto Nicola Bruno, cofondatore — insieme alla sottoscritta e a Fulvio Romanin — di Factcheckers.

Sette quesiti a risposta multipla (che vi invitiamo a risolvere). Sei bufale o verità dichiarate — nessun bisogno di smascherarle, quindi — per cui chiedevamo di indicare quali fossero le red flags, le "bandierine rosse" che segnalano la presenza di una probabile notizia falsa. I risultati hanno confermato con ampio margine quello che già sospettavamo: la scarsissima consapevolezza di quanto le bufale abbiano contaminato la nostra vita social e digitale, anche nel caso di persone che si considerano al sicuro dentro le proprie “bolle” di riferimento a prova presunta di falsità.

Un risultato sconfortante, dunque? Non proprio. Perché poi, al test e alla sua “correzione” ha fatto seguito un’intensissima parte di lezione e confronto sulle modalità di verifica delle notizie. Abbiamo presentato, in una serie di moduli molto hands-on e con esempi pratici dall’attualità, le tecniche di analisi e di smontaggio di meme virali e siti fasulli, le strategie per verificare account Twitter e pagine Facebook, gli strumenti — dai più semplici ai più avanzati, fino ad arrivare alle prospettive future di digital forensics — per sbugiardare chi diffonde video virali spacciandoli come girati in tutt’altro luogo e tempo, oppure fotografie taroccate e ricontestualizzate.

Sono strumenti che servirebbero a tutti noi. Ma soprattutto — se vogliamo evitare la deriva totale di una società senza più filtri per distinguere vero e falso — ai nostri figli. La Rete, per loro (e pure per noi!), rappresenta un oceano sconfinato di informazioni, suggestioni, storie, sogni. Perché continui ad esserlo è necessario, però, che abbiano in mano carte nautiche affidabili. Poi potranno anche buttarsi nel Triangolo delle Bermuda, se lo vorranno [a proposito, c'è qualcuno ha smentito le smentite del mito che lo riguarda, qui — doppio debunking carpiato!]. Ma perlomeno sapranno esattamente cosa stanno facendo. E, si spera, eviteranno di trascinare con sé altri marinai nel gorgo delle bufale danzanti.

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Gabriela Jacomella
Factcheckers

Journalist & researcher | 2017 Policy Leaders Fellow @STGEUI | president&co-founder @factcheckers_it | 2010 fellow @risj_oxford | fondazionezavrel.it