GLI EP SONO I NUOVI MIXTAPE? - Sto Magazine

Vi sono stati anni in cui la differenza tra album e mixtape era evidente e inconfutabile.

L’album era un prodotto realizzato su basi inedite, pensato, impacchettato e venduto insieme a un’etichetta.

Il mixtape era il canale comunicativo alternativo al mainstream, un progetto fai da te, rappato su musiche altrui, non sempre in alta qualità audio e venduto senza strutture di supporto o gratuitamente.

Il mixtape non era però solo un demo per arrivare al successo, ma anche un intermezzo, pane per sfamare i fan di vecchia data con qualcosa di meno confezionato e più crudo prima o dopo un disco ufficiale — vedi Lil Wayne o Guè Pequeno. L’arrivo di Internet ha però portato sull’altare le vie di promozione alternativa e lo streaming ha poi definitivamente azzerato le differenze tra album e mixtape, lasciando quest’ultimo con i giorni contati.

Tuttavia, buona parte degli artisti più influenti al mondo ha mantenuto il bisogno di sfogare parte della propria personalità artistica su un formato alternativo: un contenitore meno pop e più diretto di un album.

L’extended play, abbreviato in EP, è un supporto fonografico (in vinile, CD, musicassetta, download digitale o altro) che contiene più tracce rispetto a un singolo, ma che, similmente al mini-LP, non può essere classificato come album.[1][2][3] L’EP generalmente non contiene tante tracce quante quelle contenute in un album e viene considerato “meno costoso e più veloce” da produrre per un artista, rispetto alla produzione di un album.[3] La definizione EP originalmente era riferita a uno specifico tipo di disco in vinile diverso da 78 giri, standard play e long playing,[4] ma viene ora applicato anche a CD e download digitale.

— Wikipedia

Perché una pubblicazione sia considerata un EP, deve soddisfare uno dei due requisiti seguenti:

La pubblicazione contiene un totale di uno-tre (1–3) brani, uno o più brani è lungo 10 minuti o più e l’intera pubblicazione dura meno di 30 minuti.

La pubblicazione contiene un totale di quattro-sei (4–6) brani e l’intera pubblicazione dura meno di 30 minuti.

Per le pubblicazioni che soddisfano i suddetti requisiti e non recano “- EP” nel titolo dell’album, iTunes inserirà automaticamente nel titolo “- EP” quando l’album viene consegnato allo store.

— Tunecore

«Come gli EP stanno resuscitando il music business» scriveva Billboard nel 2014, citando Sam Smith, Hozier e 5 Seconds Of Summer come casi di artisti arrivati al mainstream grazie a progetti di questo tipo.

«Prima, buttavi fuori un album e andavi avanti o affondavi» diceva Ashley Burns, General manager di Capitol Records. «Con l’EP puoi vedere quello a cui la gente reagisce, che può guidarti sul come realizzare ciò che finirà sull’album».

Ha preso forma in questo scenario la febbre dell’EP, che dopo anni di test, in questo 2018 ha già contagiato mostri del mercato come Drake e The Weeknd — usciti rispettivamente con “Scary Hours EP” e “Dear Melancholy” . In un’industria guidata dalla pubblicazione di singoli, l’album è diventato più impegnativo, non tanto per chi lo fa, quanto per chi ascolta e anche per questo la brevità dell’EP sazia perfettamente il desiderio di un ascoltatore affamato e distratto. Non a caso, entrambi gli EP hanno riscosso importanti consensi, con il Drake tornato a fare il Drake di “God’s Plan” e “Diplomatic Immunity” e il The Weekend ripiombato su sonorità più domestiche rispetto alla parentesi Daft Punk di “Starboy“.

Il boom di oggi arriva dopo anni in cui il formato è spopolato in svariati generi musicali e ha invaso piattaforme come Soundcloud o Bandcamp. Se però prima l’EP aveva sostituito i mixtape diventando il demo-showcase per gli emergenti, oggi sta assumendo anche la funzione di break dal disco ufficiale, che un tempo spettava ai vari “Dedication“, “FastLife Mixtape” e compagnia.

Un formato più comodo, veloce e immediato di un mixtape, in un’epoca in cui battaglia per l’attenzione significa guerra per i soldi

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