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Perché SÌ. Nel merito, nel “semi-merito” e fuori dal merito.

Andrea Gadotti
19 min readNov 30, 2016

Questo è il primo articolo che scrivo su Medium. Ho sentito il bisogno di mettere nero su bianco le ragioni che mi spingono a votare sì principalmente per due motivi: il primo è che mi ha costretto a informarmi a fondo, organizzare le mie impressioni e sottoporle tutte a un “test di solidità”; il secondo è che trovo rivoltante quell’atteggiamento, che ho riscontrato anche in alcuni amici, per il quale il no sarebbe un voto libero, democratico, che non si fa fregare dal sistema, mentre il sì sarebbe un voto corrotto o ingenuo. Una posizione così netta denota spesso una scarsa conoscenza della riforma, e la critica così estrema nasce invece da un astio — magari anche comprensibile — nei confronti degli esponenti principali della parte opposta, che sfocia molte volte in un vero e proprio “squadrismo da tastiera”. Entrambi gli schieramenti hanno ottimi argomenti per sostenere le proprie posizioni, che sono da rispettare ed ascoltare in modo assolutamente uguale. Anche perché un confronto serio solleva spesso questioni interessanti sui principi fondanti della nostra democrazia (e.g. l’equilibrio tra governabilità e rappresentatività, tra potere centrale e locale, tra potere esecutivo e legislativo) e su come norme di carattere tecnico possono garantirne o meno l’applicazione.

Note:

1) Questo è un articolo lungo (circa 20 minuti di lettura, dice Medium). Credo che purtroppo non esistano risposte brevi e semplici a una questione così complicata come quella del prossimo referendum.

2) Assumo che chi legge conosca il contenuto della riforma, almeno a grandi linee. Per fonti precise e imparziali, rimando alla mia lista qua.

3) Ogni affermazione che contiene dei dati è accompagnata dalla fonte (trovate la lista in fondo). Sono tutte fonti altamente affidabili: il sito della Camera, Valigia Blu, Pagella Politica, Openpolis.

L’ago della bilancia

A mio avviso, soppesando le ragioni del sì e del no, l’ago della bilancia si trova quasi in mezzo. Ma pende chiaramente, anche se leggermente, dalla parte del sì. Ciò che mi porta a fare questa affermazione è la somma di diverse questioni che si possono raggruppare in tre categorie: le questioni di merito, quelle di “semi-merito” e quelle fuori dal merito.

Questioni di merito

Copiare le costituzioni degli altri non è necessariamente una buona strategia. Ma quando sei l’unico paese OCSE in cui sia Camera che Senato devono votare la fiducia al governo e l’unico paese europeo in cui esiste la “navetta” tra le due camere [1], forse qualche domanda te la devi fare. E infatti fino a qualche mese fa, la necessità di superare il bicameralismo paritario era universalmente riconosciuta. Ora invece alcuni vogliono addirittura far credere che il bicameralismo paritario e il doppio voto di fiducia non siano poi così tanto un problema. Gli argomenti principali sono tre:

1) “Non è vero che l’approvazione delle leggi richiede tempi lunghi, in media.”

L’affermazione suona un po’ sospetta per chi guarda anche solo un telegiornale ogni tanto, e infatti è essenzialmente falsa. Questo argomento è basato su una cattiva interpretazione dei dati che viene spiegata in [2], con fonti e tabelle nei commenti (in breve: la media viene stravolta perché si includono le leggi di conversione dei decreti e le autorizzazioni alla ratifica di trattati internazionali). Sullo stesso tema, è interessante l’analisi di Pagella Politica che assegna un bel “Pinocchio andante” a una dichiarazione di Salvini sui tempi di approvazione delle leggi [3].

2) “Quando c’è la volontà politica, le leggi vengono approvate in fretta.”

Qui mi concedo l’unica volgarità di tutto l’articolo: GRAZIE AL CAZZO. Questa argomentazione si inserisce in quella narrazione di “Buoni vs Cattivi” che va tanto di moda in alcuni ambienti, per la quale le leggi si dividono nettamente in leggi schifose e leggi perfette, e vengono sostenute solo dai corrotti o solo dagli onesti rispettivamente. Chiunque segua il dibattito politico sa bene che non è così, e che spesso è necessario un lungo confronto per trovare un compromesso che abbia il consenso più ampio possibile. E questo confronto è sufficientemente lungo e difficile anche senza che venga reso più lungo e dall’esito più incerto tramite complicazioni artificiose tipo, appunto, la navetta. Come succede in tutti gli altri paesi europei.

3) “Solo 2 governi su 63 sono caduti per la sfiducia del Senato.”

Questo è un dato interessante (assumo che sia vero, non ho controllato). Il problema è che è di nuovo un dato a metà, che cerca di farvela proprio sotto il naso: sarà anche vero che solo due governi sono caduti al Senato, ma quanti non se ne sono potuti formare (l’ultimo non più di tre anni fa, a guida Bersani)? Quanti hanno dovuto scendere a compromessi per allargare il sostegno e garantirsi il voto di fiducia (cfr. Alfano e stepchild adoption)? Una contro-obiezione qui è la seguente: “Questi fenomeni di instabilità sono dovuti alla legge elettorale, non al bicameralismo”. Questo è parzialmente vero, ma il punto è che il doppio voto di fiducia complica tutte le cose “al quadrato”, perché per Camera e Senato esistono leggi elettorali diverse con elettorati attivi diversi (>25 anni per il Senato) che danno vita a maggioranze diverse (successo in media per 4 governi su 6, dice Renzi). Secondo voi la soluzione migliore a questo problema qual è? Evitare che una delle due camere debba dare la fiducia, oppure adottare per entrambe le camere la stessa legge elettorale, creando quindi un Senato che oltre a fare le stesse cose della Camera ne è anche pressoché un copia esatta (ma rimpicciolita della metà)?

Il vero problema del bicameralismo paritario

In sostanza, è importante sottolineare che il bicameralismo paritario non rende ogni legge lenta da approvare o ogni governo impossibile da formare per sua natura, ma è spesso l’arma che rende possibili gli snaturamenti delle leggi e i ricatti ad opera di minoranze che rappresentano lo zerovirgola del paese (Mastella anyone?). Non sarà un caso che, per le leggi di iniziativa parlamentare, “arriva a completare l’iter neanche l’1% dei disegni di legge depositati da deputati o senatori” [4], oppure che in 62 anni abbiamo avuto 63 governi [5].

I poteri del premier

Una critica che si sente spesso è che questa riforma aumenta i poteri del premier. Quando Renzi dice che questo non è vero, mente sapendo di mentire. Infatti, anche se nessun articolo tocca esplicitamente i poteri del premier, nella nuova costituzione il governo risulta in effetti rafforzato (due esempi su tutti: introduzione del “voto a data certa” ed eliminazione della fiducia da parte del Senato). Il punto è che, quasi paradossalmente, anche il parlamento diventa più forte. Infatti, come si fa a ritenere forte un parlamento solo perché possiede un gigantesco “diritto di veto”, ma quando deve proporre una legge si rivela in tutta la sua artificiosa lentezza? La vera forza di un parlamento sta nella sua agilità, nella sua efficienza, nella possibilità di discutere e confrontarsi per davvero, non nel dover fare le cose doppie, con tutti i pericoli che corre un disegno di legge quando passa da una camera all’altra.

Una ragione forte per il NO

Ma allora perché dico che l’ago della bilancia sta quasi in mezzo? Perché il problema è come questa riforma tenta di superare il bicameralismo perfetto (e il vecchio Titolo V, e tante altre problematiche vecchie e non). Gli oppositori della riforma sostengono che la nuova costituzione è confusionaria e scritta male. E io sono piuttosto d’accordo. Detta in modo più preciso, la nuova costituzione lascia aperti molti punti che dovranno poi essere normati in modo preciso dai regolamenti parlamentari o dalla legge elettorale. I sostenitori del no affermano che quindi “non sappiamo bene cosa stiamo votando”. Nonostante questa mancanza di precisione mi infastidisca molto, io credo che alla fine per i regolamenti parlamentari e per la legge elettorale ci si metterà necessariamente d’accordo, dato che a quel punto la costituzione sarà già stata cambiata e un accordo dovrà essere trovato. Per la legge elettorale c’è già una proposta della maggioranza che tra il resto prevede un’indicazione diretta dell’elettore per il candidato al Senato. Ma il punto principale è che questi non sono motivi sufficienti per respingere in toto un rinnovamento richiesto da tutti da almeno trent’anni. Con la nuova costituzione molte leggi (circa il 90% [6]) avranno un iter veloce e semplice, mentre per alcune non si sa ancora bene. Ma con la vecchia costituzione tutte le leggi hanno un iter potenzialmente lento e incerto. Per non parlare dell’instabilità dei governi: in media un nuovo governo ogni anno, anziché ogni cinque.

Il Titolo V

Un discorso simile si applica alla riforma del Titolo V (su cui per brevità spendo solo due parole): si dice che alcuni punti della nuova costituzione sono poco chiari e potrebbero dare luogo a conflitti di competenza. Bene, nella vecchia costituzione la situazione è già disastrosa, e tanto peggio di così è difficile fare: dal 2001 a oggi ci sono stati 1597 ricorsi delle Regioni nei confronti dello Stato e viceversa alla Corte costituzionale. Millecinquecentonovantasette ricorsi [7].

Altri piccoli passi avanti

Infine, la riforma si occupa di punti meno importanti e condivisi quasi da tutti: abolizione del CNEL, obbligo costituzionale per il parlamento di discutere le leggi di iniziativa popolare, abbassamento del quorum per referendum che abbiano ottenuto almeno 800.000 firme, introduzione del referendum propositivo e di indirizzo, riduzione del numero dei senatori, tetto allo stipendio dei consiglieri regionali, statuto delle opposizioni e tanti altri.

Questioni di “semi-merito”

Cosa intendo con “semi-merito”? Nella sezione precedente ho parlato delle questioni di merito, ovvero di come la riforma costituzionale — se approvata — modificherebbe concretamente il funzionamento della macchina legislativa e amministrativa dello Stato. Tali modifiche sono auspicate da alcuni e temute da altri, come abbiamo visto. Ma quello del merito non è l’unico piano sul quale si svolge il dibattito sul referendum. Anzi. In questa sezione intendo trattare quegli aspetti legati in modo diretto alla riforma costituzionale (quindi non fuori dal merito, come ad esempio il cambiamento dell’assetto politico dopo il referendum), ma che non riguardano le singole modifiche alla costituzione.

Se vince il NO cambia (quasi) tutto

Una delle affermazioni più ingenue che ho trovato in giro è che se vince il no “non cambia niente”. È esattamente il contrario. Se vince il no, l’unica cosa che resta uguale è la costituzione. Oltre all’evidente terremoto negli equilibri politici (di cui parlo nell’ultima parte dell’articolo), una vittoria del no avrebbe un effetto fortissimo sulle prospettive future di riforma costituzionale, e in particolare renderebbe il superamento del bicameralismo paritario un’ipotesi ancor più remota rispetto a due anni fa.

Infatti, una vittoria del no dimostrerebbe che qualsiasi tentativo di riformare la costituzione in modo profondo può trasformarsi in un potenziale suicidio politico. Cosa spingerebbe un movimento politico a intraprendere di nuovo quel percorso riformatore che la volta precedente ha portato a scissioni interne, attacchi personali spesso volgari, tradimenti politici (vedi Berlusconi dopo l’elezione di Mattarella), accuse di derive autoritarie, diffusione sistematica di bufale ad opera degli altri movimenti e di chi guadagna soldi attraverso la disinformazione che alimenta la rabbia viscerale della gente? Molto meglio lasciar perdere e guardare ai prossimi due/tre anni, ché le riforme costituzionali non hanno mai portato voti a nessuno.

Si potrebbe credere che la degenerazione del dibattito sia da attribuire alla scarsa qualità della riforma attuale, e che una buona riforma verrebbe invece acclamata dal popolo e approvata dal parlamento senza nessun problema. Bene, rileggete le parti in grassetto nel paragrafo precedente e ripensate 30 secondi agli ultimi mesi che abbiamo vissuto (anche fuori dall’Italia e dall’Europa). Poi provate a dire a voce alta che ci credete davvero.

Non viviamo più in quel mondo. Viviamo in un mondo post-fattuale. Un video di Renzi che dice “shish” dieci volte in un minuto vale molto più di un approfondimento di 40 pagine sul referendum. Una foto in cui Renzi è stato ritoccato per sembrare Pinocchio fa cento volte le condivisioni di un’Amaca di Michele Serra. Un articolo trovato su un blog a caso, dal nome sospetto (web-news24.net? seriamente?) e senza fonti, che afferma che la Boldrini vota sì perché così il governo avrà il potere di dare più soldi agli immigrati clandestini, farà un totale di like che umilia senza pietà qualsiasi fact-checking di Pagella Politica costato giorni di lavoro e anni di studi.

Non si vota tra riforma Boschi e riforma Zagrebelsky. Si vota tra riforma Boschi e “riparti dal via”.

Il diritto di voto porta con sé un’enorme responsabilità. Chi lo esercita, deve certamente valutare nel merito la proposta — di legge o politica — su cui è chiamato a esprimersi, ma non è sufficiente fermarsi a questo. Un voto consapevole non può essere messo in difficoltà da una domanda semplice come: “E poi?”. Ovviamente non si può negare esplicitamente che il superamento del bicameralismo e la riforma del Titolo V siano assolutamente necessari e probabilmente anche urgenti. Perciò, quando interrogati sulle prospettive di rinnovamento dopo un’eventuale vittoria del no, i sostenitori del no si barcamenano in operazioni retoriche imbarazzanti — e quindi preoccupanti. La risposta di solito si riduce più o meno a questo:

“Una volta respinta questa riforma ci si può mettere tutti insieme a riscriverne un’altra migliore, che sia condivisa da tutte le forze politiche.”

Ma certo! Che stupidi! Come abbiamo fatto a non pensarci prima? Ecco l’idea che ci mancava negli ultimi trent’anni! Stavolta è fatta raga.

Non ci credete? Valutate voi stessi.

Accozzaglie

In sostanza, è questo che intende Renzi quando parla di “accozzaglie”. Ascoltando le sue parole e non quello che erroneamente riportano i giornali, appare evidente che il termine “accozzaglia” non è riferito allo schieramento del no — la cui eterogeneità è un fatto normale per i referendum — bensì alla coalizione politica che dovrebbe dar vita a un progetto alternativo: da Civati a Salvini, da Monti a Grillo, da Bersani a Berlusconi, da Landini a Gianfranco Fini. È chiaro che tale coalizione ha le stesse probabilità di esistere che ha un unicorno rosa. E non solo per l’incompatibilità che proviene da fattori storici e caratteriali delle personalità elencate, ma soprattutto perché queste hanno un’idea profondamente diversa nel merito di come dovrebbe essere la costituzione. Si parte dal presidenzialismo e si arriva alla democrazia elettronica, passando per tutto ciò che sta in mezzo. È chiaro a qualsiasi persona dotata di senno che questa compagine non giungerà mai ad un accordo, e noi ci terremo navetta, Titolo V e tutto il resto esattamente come sono adesso ancora per molti anni. Ovviamente uno può sperare che il panorama politico sia destinato in futuro a ricomporsi in qualcosa di vagamente bipolare, ma ad oggi non esiste alcun motivo per cui sia ragionevole aspettarsi che la progressiva frammentazione vista in questi anni si fermi e addirittura cambi verso.

Al contrario, se vincesse il sì, sarebbe molto più facile migliorare le (molte) criticità della nuova costituzione. Non sarebbe certamente un problema trovare una maggioranza che introduca in costituzione l’obbligo di elezione diretta dei senatori, per fare un esempio. E se invece pensate che non sarebbe così facile, figuratevi allora ricominciare da capo una discussione sull’intero assetto istituzionale.

Una contraddizione in termini di sinistra e M5S

Come se non bastasse, l’eterogeneità di visione sulla democrazia si aggiunge a una contraddizione interna che caratterizza la posizione di M5S e di parte della sinistra. Questi solitamente si dicono contrari alle seguenti tre proposte:

  • la riforma costituzionale, che elimina il voto di fiducia al Senato;
  • una legge elettorale maggioritaria, che assicuri la governabilità anche nel caso (attualmente scontato) che una coalizione non arrivi ad avere più del 50% dei voti;
  • i governi di larghe intese.

Non serve essere laureati in logica per capire che non si può essere contrari a tutti e tre i punti contemporaneamente. Se una camera deve dare la fiducia per formare il governo e tale camera è eletta con sistema proporzionale, allora nella situazione attuale si potranno formare solo governi di larghe intese, piaccia o non piaccia. E piaccia o non piaccia, i governi di larghe intese si formano — per definizione — con gli avversari, non solo con gli alleati. E piaccia o non piaccia, se gli avversari si chiamano Berlusconi, Verdini o Alfano, allora è con Berlusconi, Verdini o Alfano che bisogna formare il governo.

Lo so, sembrano banalità. E infatti lo sono. Ma è un dato di fatto che i sostenitori del no coincidono in buona parte con quelli che chiedono una legge elettorale più proporzionale, ma al tempo stesso insultano — spesso violentemente — l’alleanza di Renzi con Alfano e da qualche tempo anche con Verdini. Eppure non dovrebbe risultare così difficile capire che non esiste altra scelta, dato che non più di tre anni fa proprio Bersani si ritrovò a chiedere in ginocchio ai grillini il voto di fiducia per formare il governo, perché al Senato non aveva i numeri. E quando i grillini gli risero in faccia lui cosa fece? Rinunciò al mandato e si dimise da segretario del PD. Peccato però che un governo a un certo punto si dovrà pur avere, e quindi non è che si possono tutti dimettere finché i grillini non cambiano magicamente idea. Perciò il fatto che proprio lui ora critichi l’alleanza con Verdini suona quanto meno buffo. Fermo restando che ovviamente l’immagine di Verdini induce conati di vomito in chiunque tranne forse sua mamma.

Wayback machine

Ma allora perché tante personalità di spessore — a partire dallo stesso Bersani — hanno deciso di votare no? Io, dopo aver ascoltato attentamente le loro ragioni, ritengo che purtroppo siano tutte mosse essenzialmente da un profondo astio contro Renzi, che cercano di nascondere — anche a loro stesse — dietro una critica nel merito della riforma, che però una volta esplicitata si rivela decisamente troppo debole per giustificare un rifiuto in toto della riforma. Queste mie considerazioni potrebbero sembrare di parte e un po’ vittimistiche. Ma ci sono diversi fatti che rendono a dir poco sospetta la posizione di molti sostenitori del no. Vediamone alcuni:

  • Questi sono alcuni estratti del documento finale del congresso nazionale della CGIL del 2014 [11] (grassetto mio): “Per la CGIL sono necessari alcuni interventi di riforma […]: 1) Il superamento del bicameralismo perfetto con l’istituzione di una Camera rappresentativa delle Regioni e delle autonomie locali. 2) Il riordino delle competenze di Stato e Regioni disciplinate dall’articolo 117 della Carta, riportando, nell’ambito della riforma del Titolo V, a competenza esclusiva statale alcune materie oggi di legislazione concorrente e rafforzando la funzione regolatrice nazionale. […] 6) Approvare una legge nazionale sulle forme di democrazia partecipativa e una riforma dell’istituto referendario che introduca il “quorum mobile” (legato all’affluenza registrata nell’ultima elezione dell’organismo che ha legiferato).”
    Ascoltando come parla adesso Landini, chi l’avrebbe detto?
  • Nei sei passaggi parlamentari, la riforma ha sempre ottenuto circa il 58% o più dei voti favorevoli (in [8] ho raccolto tutti i link alle varie votazioni che ho cercato a mano sul portale Openpolis Parlamento).
  • I voti ribelli del PD variano da zero a massimo cinque a seconda della votazione (i parlamentari totali del PD sono più di 400).
  • Tra i voti contrari non compare mai quello di Bersani (né di Cuperlo, né di Speranza, etc).
  • Alla prima votazione, Forza Italia approva la riforma senza neanche un voto contrario. Al termine della votazione, Romani sottolinea: “Forza Italia ci sarà. Silvio Berlusconi ci sarà”, in riferimento alle prossime tappe della riforma. Aggiunge: “Noi siamo, come siamo sempre stati, per la riforma di questo paese, per un assetto istituzionale più efficiente e più moderno” [9].
  • Alla seconda votazione, tutti i senatori di Forza Italia (tranne uno) votano contro la riforma. Cos’è successo nel frattempo? Sergio Mattarella è stato eletto Presidente della Repubblica.
  • Con l’avvicinarsi del referendum, la minoranza PD si sposta sempre di più verso il no, minacciando di votare contro la riforma se il governo non si dimostra disponibile a modificare l’Italicum. Viene trovato un accordo per la modifica dell’Italicum, e infatti Cuperlo decide di votare sì al referendum. Ma Bersani e tanti altri esponenti della minoranza fanno finta di niente e iniziano persino a partecipare a manifestazioni per il no.
  • La riforma elettorale guarda caso prevede capolista bloccati. Ma al massimo un terzo degli eletti nel partito di maggioranza è costituito dai capilista, cioè da persone scelte dai partiti, mentre i restanti 240 sono scelti con le preferenze [10]. Deriva autoritaria oppure paura che i capolista vengano selezionati quasi tutti all’interno della maggioranza (come è sempre successo)?
  • D’Alema dice di votare no anche perché la riforma non è abbastanza radicale. In effetti, nella Bicamerale del 1997 da lui presieduta e poi accoltellata alle spalle da Berlusconi (vi ricorda qualcosa?) il premier otteneva molti più poteri, tra cui ad esempio quello di sciogliere le camere.
  • Gianfranco Fini dice di votare no perché questa riforma non realizza davvero ciò che vuole, ovvero il presidenzialismo.
  • Forza Nuova dice di votare no perché teme una deriva autoritaria.

Come si vede, le posizioni contro la riforma costituzionale assumono connotati un po’ confusi e in alcuni casi al limite del comico.

Ovviamente per ognuno dei punti citati la persona presa in causa ha spesso una spiegazione pronta. Purtroppo io davvero non ce la faccio a convincermi che hanno tutti cambiato idea all’improvviso e che il rancore nei confronti di Renzi — unito all’occasione imperdibile di farlo fuori, o almeno azzopparlo — non c’entri proprio nulla.

Questioni fuori dal merito

L’ultima categoria di considerazioni è quella più fastidiosa e delicata. La discussione sulla sorte di Renzi e sul cambiamento degli equilibri politici dopo il referendum ha generato il maggior numero di discussioni becere e strumentali, impedendo un confronto obiettivo nel merito della riforma e fomentando partigianerie in entrambi i sensi. Questo però non significa che il tema sia da ignorare tout court. Infatti, l’esito del referendum non avrà solo grosse implicazioni politiche nell’immediato, ma influenzerà profondamente l’evoluzione degli equilibri e degli orientamenti politici potenzialmente per molti mesi o forse anni. In questa sezione cercherò di spiegare perché, discutendo i possibili scenari che si prefigurano nel post-referendum.

Va detto innanzitutto che il “peccato originale” è da attribuire a Renzi. Fu lui infatti a legare per primo la sua sopravvivenza politica all’esito del referendum. Tuttavia, l’onestà intellettuale dovrebbe portare tutti a riconoscere che Renzi in realtà ha detto una cosa ovvia: se vincesse il no, è chiaro che dal giorno stesso tutti chiederebbero a gran voce le sue dimissioni. E questo sarebbe successo anche se lui non avesse mai personalizzato il voto. Comunque diversi mesi fa Renzi ha deciso di non parlare più esplicitamente di ciò che farà in caso di vittoria del no (nota: questo NON significa che abbia cambiato idea; Renzi non ha mai detto che resterà al governo anche se vince il no, nonostante le interpretazioni maliziose di alcune sue dichiarazioni da parte di molti giornalai, come è noto a chiunque segua il dibattito politico). Ma ormai è tardi.

Se vince il SÌ

Le conseguenze politiche in caso di vittoria del sì sono abbastanza lineari, ma non per questo scontate. Renzi ne uscirà rafforzato — ma neanche tanto, dato che sicuramente sarebbe una vittoria di misura — e quindi resterà in carica almeno fino alla prossima primavera. Poi arriveranno le elezioni. Il Senato non dovrà più dare la fiducia, che quindi sarà votata solo alla Camera. Quest’ultima, a meno di stravolgimenti dell’Italicum, grazie al premio di maggioranza sarà formata da una maggioranza solida che garantirà stabilità al governo. La domanda è: quale maggioranza? Stando ai sondaggi, nessuna forza politica riuscirebbe a ottenere il 40% al primo turno. Si andrebbe quindi al ballottaggio, quasi sicuramente tra PD e M5S. L’esito di questo ballottaggio è un’enorme incognita. Una possibile vittoria del M5sS è uno scenario che preoccupa molti. Io ammetto che personalmente preferirei un governo M5S stabile piuttosto che la confusione totale che si creerebbe nel caso di vittoria del no (vedi paragrafo seguente). Non possiamo certo scrivere una legge elettorale — o peggio una costituzione — per evitare che un determinato partito vinca (nonostante sia quasi sempre la prassi). Se gli italiani vogliono un governo M5S, allora che abbiano un governo M5S. Una legge che non rispetta questo principio non può che aumentare la tensione nella politica e nella società.

Se vince il NO

Gli eventi che seguirebbero a una vittoria del no sono molto più imprevedibili. Le possibilità sono moltissime, sicuramente troppe per descriverle tutte qui. Quindi discuterò solo quelle che io ritengo più probabili. Innanzitutto, è quasi certo che Renzi presenterà le dimissioni da premier (e se non lo facesse, si applicherebbe in modo quasi uguale il primo punto di seguito). A questo punto, le possibilità sono tre:

  1. Mattarella rifiuta le dimissioni e assegna a Renzi un nuovo mandato per un governo di scopo che porti avanti la revisione della legge elettorale e che si occupi delle materie più urgenti. In questo caso ci ritroveremmo esattamente nella situazione del giorno prima, con la differenza però che Renzi sarebbe fortemente indebolito sia all’interno del PD, sia nel rapporto col paese, sia in Europa. Insomma, avremmo solo più instabilità che non gioverebbe a nessuno.
  2. Mattarella accetta le dimissioni e assegna a una personalità “neutrale” il mandato per formare un governo di scopo. L’interrogativo principale qui è: sarebbe un governo politico oppure un governo tecnico? Nel primo caso, credo che con questa situazione parlamentare difficilmente si possa formare un governo politico più forte di quello attuale. Un’ipotesi che gira è ad esempio quella di Padoan premier. In questo caso avremmo praticamente una brutta copia del governo attuale, semplicemente più debole perché ancor meno legittimato del governo Renzi. Per quanto riguarda la possibilità di un governo tecnico: DIO CE NE SCAMPI. Non credo ci sia bisogno di ricordare come è finita l’ultima volta con Monti. Un governo tecnico sarebbe un grosso regalo all’Europa che tutti vogliamo cambiare e allo stesso tempo l’arma finale consegnata all’antipolitica. Non oso immaginare cosa succederebbe alle prossime elezioni se il governo tecnico dovesse diventare realtà.
  3. Mattarella accetta le dimissioni, scioglie le camere ed entro qualche settimana si tengono le elezioni.

In tutti e tre i casi, in poco tempo si svolgerebbero nuove elezioni. E in nessun caso le prospettive sarebbero buone, perché nessuno le vincerebbe. Siccome all’orizzonte non si vedono né nuovi Berlinguer né nuovi De Gasperi, nessuna coalizione riuscirebbe a ottenere da sola la maggioranza al Senato. Ma per formare un governo servirebbe la fiducia del Senato, dato che al referendum ha vinto il no. Quindi, nel migliore dei casi, si formerebbe un governo di larghe intese molto simile a quello attuale. Ma se questo non avvenisse, allora l’unico altro possibile scenario è quello di un lungo periodo di instabilità senza nessun governo, come in Spagna. La Spagna ha passato gli scorsi 10 mesi senza un governo, perché in parlamento non c’erano i numeri dato che il panorama politico è molto frammentato, in modo preoccupantemente simile all’Italia. E la cosa ironica sapete qual è? Che in Spagna tutta questa instabilità si è da poco “conclusa” con un governo di minoranza del centro-destra (PP), il principale partito di centro-sinistra (PSOE) spaccato e il partito anti-sistema (Podemos) che ne esce pulito ma continua a non contare niente.

Insomma, in caso di vittoria del no sarebbe — politicamente — il caos più totale. Paradossalmente tutti i partiti si troverebbero in una situazione ancora peggiore di quella attuale. E questo non potrebbe che danneggiare gli interessi dell’Italia, data anche la delicata situazione internazionale. Al momento, l’Italia è forse l’unico paese che sta lottando per salvare l’unità europea. Un’instabilità di questa portata nella politica italiana metterebbe di conseguenza a rischio il progetto europeo, attaccato da più fronti ma difeso timidamente e da pochi.

Conclusioni, senza entusiasmo

Credo che il modo migliore per concludere questo articolo sia citare le parole di due tra i politici italiani più rispettati e apprezzati in Italia e nel mondo:

“Anche se le riforme proposte non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie, tuttavia per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull’esterno, sento di dovere rendere pubblico il mio sì, nella speranza che questo giovi al rafforzamento delle nostre regole democratiche soprattutto attraverso la riforma della legge elettorale.”
(Romano Prodi)

“Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio. È quello che una forza di governo come la nostra ha fatto spesso in Parlamento. È probabile che se vince il no ci sarà un cambio di quadro politico, si dice così in politichese. E ho l’impressione che i temi che stanno a cuore a noi radicali non riceverebbero maggiore ascolto da Salvini, Brunetta e perfino Grillo.”
(Emma Bonino)

Fonti

[0] http://www.valigiablu.it/wp-content/uploads/2016/11/Referendum-costituzionale-Votare-informati.pdf

[1] https://pagellapolitica.it/dichiarazioni/7491/renzi-e-il-bicameralismo-perfetto

[2] https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10207475423860194

[3] https://pagellapolitica.it/dichiarazioni/7499/in-quanto-tempo-si-approvano-le-leggi-economiche

[4] http://blog.openpolis.it/il-bicameralismo-e-i-tempi-di-approvazione-delle-leggi-speciale-referendum-n-1

[5] https://it.wikipedia.org/wiki/Governi_italiani_per_durata

[6] http://blog.openpolis.it/poteri-del-senato-la-riforma-speciale-referendum-n-6

[7] http://www.infodata.ilsole24ore.com/2016/08/29/stato-regioni-la-mappa-dei-ricorsi-alla-consulta/

[8] http://parlamento17.openpolis.it/singolo_atto/43980 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/12694 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/16741 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/24781 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/27284 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/27667 http://parlamento17.openpolis.it/votazione/index/id/30074

[9] http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/08/08/riforma-senato-approvato-il-ddl-boschi-sel-lega-m5s-e-dissidenti-pd-non-partecipano/1085515/

[10] http://www.ilpost.it/2016/10/08/cambiare-italicum-quando-come/

[11] http://old.cgil.it/CGIL/Congresso/Documenti/Documento_IlLavoroDecideIlFuturo.pdf

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Andrea Gadotti

I’m a PhD student in Computational Privacy at Imperial College London. I love math and open knowledge. Sometimes I’m silly enough to write about politics.