Jovanotti, il nuovo guru dell’ambientalismo capitalista
Tutto questo nasce dal fatto che Jovanotti (presumo, perché in genere gli account di Twitter sono gestiti direttamente anche dai VIP e non solo dalla squadra di social media manager nei loro libri paga) mi ha bloccato su Twitter. Per carità, non mi straccio le vesti per questo né mi strappo i capelli, ma traggo la conclusione che il Cherubini non usa metodi hegeliani: la sua tesi è giusta, le antitesi sono sbagliate; la sintesi è che ha ragione lui e solo lui. Dopotutto è così che funziona il mondo dei social, no?
La ragione per cui mi ha bloccato è una risposta alla sua tirata contro le associazioni ambientaliste che non la pensano come lui, pubblicata su Facebook e per conoscenza anche su Twitter. (Nel dubbio pubblico lo screenshot del suo attacco, sia mai che qualcuno gli dica che l’ha fatta fuori dal vaso e non cancelli il post). Essendomi cancellato dal social di Zuckerberg ai tempi di Cambridge Analitica, ho risposto su Twitter in una maniera fin troppo diplomatica:
Non so come dirtelo, ma il “nuovo ambientalismo” si preoccupa per la giustizia sociale. Sai, la storia per cui i giovani sono fottuti per le colpe dei padri-padroni.
Pensa alle critiche per l’uso di volontari e l’occupazione di spiagge per farti bello, e lascia stare l’ecologia.
Non deve averla presa bene, visto che mi ha bloccato in tempo zero. Ma, come ho già detto, non mi straccerò le vesti per questa perdita.
Trovo più interessante il fatto che il suo tweet a riguardo, successivo a quello a cui ho risposto, sia sommerso di critiche al suo Jova Beach Party.
Oltre a considerare che la dichiarazione è, nei toni, in linea con quella del classico politico strafottente, queste risposte centrano quello che per me è il problema generale: come dice il nostro artista preferito il «Jova Beach Party ha portato gioia, […] amore, […] goduria, coraggio, spirito avventuroso e originalità»; in altre parole è la versione musicale ai tempi della crisi ecologica di un film dei telefoni bianchi — e come un film lo paghi, perché per trainare il tour sulle spiagge ha fatto un disco che si vende a dieci euro l’uno, senza contare i sessanta di biglietto: tutti soldi che magari andranno anche a sostenere i parchi privati (o oasi, giusto per continuare a fingere che l’umanità sia radicalmente distinta dalla natura) del WWF.
Ha fatto soldi con il disco, i biglietti, gli sponsor e probabilmente a ogni tappa c’era anche il banchetto con il merchandising; si poteva entrare in spiaggia con solo mezzo litro d’acqua — d’estate, quando disidratarsi è quasi impossibile — e non si potevano portare borracce o thermos (perché utilizzare contenitori durevoli quando puoi usare bottiglie di plastica?) e per acquistare cibo e bevande non si poteva usare la valuta corrente ma quella di Jovanotti; dulcis in fundo, anziché impiegare una squadra di professionisti come avrebbe dovuto fare in uno stadio o in un palazzetto dello sport, ha preso dei volontari pagati con pane e musica per fare il lavoro di professionisti altrimenti retribuiti in euro.
Il fatto è questo: dove dovrei collocare Jovanotti nella classificazione più abituale delle filosofie ambientali? Mi sembra abbastanza ovvio che sia nel solco di Gifford Pinchot, che puntava alla conservazione dell’ambiente affinché l’umanità potesse beneficiarne. Con quel tocco da arricchito che però demolisce tutta la facciata: ha trovato il modo per parlare di un ambientalismo — che non è più sufficiente oggi — da un palco allestito in un luogo assolutamente peculiare per un mega-concerto che così diventa “l’evento dell’estate”, promuovendo il suo marchio di divertimento usando come pubblicità la crisi ecologica che ci sta portando verso il baratro. O che, per meglio dire, sta gettando nell’abisso le nuove generazioni: Murray Bookchin (Per una società ecologica) scrisse molto bene che ai vecchi, potenti e ricchi, non interessa il futuro ma solo il guadagno immediato; Hans Jonas (Il principio responsabilità) ci avverte che le nostre azioni dovrebbero essere indirizzate al futuro dell’umanità; Lorenzo Jovanotti vuole che ci divertiamo, come quel pubblico che nel teatro in fiamme applaudiva al pagliaccio che li invitava a fuggire.
Se guardiamo a tutti i nuovi movimenti ambientali, a mio avviso molto più influenzati da Bookchin di quanto non si potrebbe credere, i principali sono Extinction Rebellion e Fridays for Future. Entrambi questi movimenti non si fermano alla salvaguardia dell’ambiente naturale ma propongono il passo successivo — assolutamente necessario: la giustizia generazionale e sociale, per garantire un futuro a quelle persone (ultime per classe sociale e data di nascita) che non ne hanno uno per colpa dei grandi proprietari finanziari del mondo e i miracolati della lotteria del capitale; vorrei ricordare che è dal 1972, con lo studio I limiti alla crescita, che si sta cercando di avvertire i potenti della Terra che il loro modello economico non è sostenibile, e attaccandosi al fatto che il modello matematico usato per prevedere gli andamenti futuri dell’inquinamento non ha restituito i dati esatti che si sono poi realizzati si è ignorato che gli andamenti sono stati previsti con precisione nonostante l’uso di un modello ancora primitivo e carente di dati.
La domanda sorge spontanea: come possiamo fidarci di un profeta che dall’ambientalismo ci guadagna? Gli interessi di questo sistema economico-finanziario sono totalmente incompatibili con un tentativo disperato di salvare il pianeta e pacificare l’umanità, e Jovanotti ne è la dimostrazione perfetta: ha dei volontari che lavorano per un panino; obbliga il pubblico a pagare cifre spropositate per entrare in spiagge libere solo perché c‘è il suo ottimismo-onanismo new age; si nasconde dietro un’organizzazione che è stata più volte accusata di greenwashing. Siamo sull’orlo della catastrofe ecologica per cui dovremmo impiegare tutte le nostre forze per salvare il salvabile, e in questo momento l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è un «amico bighellone, il fannullone scansafatiche, quel sacerdote dell’arte, stella luminosa della ballata e della poesia amorosa. Come al solito soffuso di gloria [e] gonfio come una vescica di porco», per usare le parole di Andrzej Sapkowski ne Il guardiano degli innocenti.