Praticare Zen nel metaverso

Federica Gherardi
7 min readFeb 11, 2022

Come praticare il qui&ora nel non-qui&non-ora? Con un presente già proiettato nel metaverso è il momento di chiederci come esercitare la presenza anche nel mondo virtuale.

Foto di Federica Gherardi — Seefeld, Austria

Lo Zen

Seduta in ginocchio con il sedere sorretto da un panchetto di legno, sguardo a 45° fisso sul muro distante da me la lunghezza del braccio teso. Lo Zen insegna a stare nel vuoto. Lo Zazen consiste nello stare seduti senza fare niente, neanche pensare. Respiro dopo respiro ci conduce nel midollo della questione esistenziale. Rimuove tecniche, orpelli e visualizzazioni dall’equazione, per lasciarci con l’unica Verità: qui&ora. Scritto volutamente come un’unica parola perché la mente divide il qui dall’ora, ma l’esperienza che possiamo farne è una sola.

Ero in riunione in ufficio, a parlare con un collega di una questione lasciata in sospeso prima della pausa natalizia. Argomentavo la mia posizione con la sensazione di doverla difendere, ero preoccupata che le cose non sarebbero andate come avevo previsto. Temevo di perdere il controllo sulla gestione della mia agenda e delle mie priorità, e che mi sarei ritrovata nella solita situazione: oberata di lavoro, senza nessuno da biasimare se non me stessa. Ma questa volta no, non me lo sarei permessa. Avrei definito chiare priorità e gestito con rigore il calendario. Sì questa volta non cadrò più nel solito tranello, non cederò alla mia ansia di prestazione e alla mia tendenza a …

[TOC] Una botta sulla testa mi riporta qui, al momento presente.

Ops. Per quanto tempo me ne sono andata?

Sono ancora seduta sul panchetto fronte muro, ma lo sguardo a 45° è completamente saltato. Chissà quando sono partita? Cosa ha innescato questa reazione a catena che mi ha catapultata a lavoro in un futuro ipotetico? Ho viaggiato nel tempo e nello spazio: pur essendo fisicamente qui&ora, la mia mente era non-qui&non-ora.

L’ Interverso

Viaggi nello spazio e nel tempo, che più che catapultarmi nel passato vissuto, mi proiettano in presenti alternativi o in futuri ipotetici. Anche se oggettivamente ero su un mondo chiamato Terra, soggettivamente stavo viaggiando nell’Interverso, neologismo che ho creato per questa occasione e che userò per parlare dei viaggi — i famosi viaggi mentali — che ogni giorno accadono dentro tutti noi. Quando entro in una sala di meditazione vuota, con solo i cuscini e i panchetti disposti lungo il suo perimetro, mi rendo conto del punto di vista di un osservatore sul ciglio della porta e mi sorprende l’apparente immobilità e silenziosità che un gruppo in meditazione suscita. Perché, cambiando punto di vista e mettendosi seduti su un panchetto con occhi fissi al muro, dopo pochi minuti il viaggio nell’Interverso ha inizio ed è tutto fuorché immobile e silenzioso. Tra un istante di fragile presenza e l’altro — in cui sono cosciente di essere su un panchetto e di stare guardando un muro, vuoi perché ho male alla schiena, perché qualcuno accanto a me si è mosso, perché mi sono incaponita che voglio contare i respiri o perché finalmente in quel momento mi sono arresa e sto godendo del vuoto che mi inonda- vengo rapita dal mio mondo interiore.

Foto di NASA/JPL-Caltech — Age-Defying Star

L’Interverso è, nel mio personale percepito, infinito. Pare impossibile esplorarlo tutto, in quanto conoscerlo nella sua interezza significherebbe conoscersi nella propria totalità. Mi basta prendere nota ogni mattina dei sogni che faccio per intuire quanto si possa celare nel mio inconscio: un vero e proprio buco nero. Non posso fare a meno di cogliere le somiglianze che intercorrono tra questo mondo interiore (Interverso) e quello esteriore (Universo). Ad esempio, ci sono alcuni pensieri che più di altri ci attraggono, come pianeti la loro gravità ci attira a sé. La loro atmosfera, che altro non è che la reazione emotiva che innescano in noi, ci crea dipendenza e non è detto che questa sia di per sé piacevole. Può però essere piacevolmente triste, drammatica, ansiogena, eccitante. Questa piacevolezza è data dall’ossessione/compulsione che il pensiero crea in noi. Io ad esempio sono fortemente attratta da un pianeta chiamato Ansia, e per me disancorarmi dalla sua forza di gravità è davvero un’impresa. Questo pianeta è popolato da pensieri tra loro connessi, che si richiamano condividendo la stessa vibrazione. Nell’Interverso ci sono anche pianeti in cui è un gran piacere starsene: corpi celesti tenuti insieme da pensieri di amore, Supernova che irradiano luce al sopraggiungere di una piccola presa di coscienza che disgrega un condizionamento limitante, nebulose che ancora non mostrano la loro forma ma stanno creando nuove strutture psicologiche e narrative interne. Insomma un apparente chaos in continua espansione.

Toc

Quando siamo immersi in un mondo, totalmente identificati nel pensiero che lo ha generato, non è facile renderci conto che siamo stati rapiti da sensazioni che ci hanno portato via dal qui&ora. Il toc che mi ha riportato al momento presente nel racconto introduttivo, era una bacchettata datami con moderato vigore sulla testa dalla guida che accompagna i praticanti Zen: ogni tot (senza orologio non saprei quantificarlo con esattezza, ma nel mio percepito potrei ipotizzare una ventina di minuti) bacchetta le teste appoggiate sui corpi seduti sui panchetti, per riportarle al momento presente. Simula e stimola quella presa di coscienza senza aspettare che sopraggiunga, chissà quando, spontaneamente. Avete presente quello stimolo che ci fa esclamare “ah scusa, ero soprappensiero”? Ecco, proprio quello. E ora che lo scrivo mi incuriosisce questa espressione: sopra-pensiero. Io quando la provo direi che, più che essere sopra il pensiero, ci sono proprio proprio finita dentro. Un po’ come la metafora di David Foster Wallace:

Ci sono due pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:

“Salve ragazzi. Com’è l’acqua?”

I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa:

“Che cavolo è l’acqua?”

Finché il pesce resta nell’oceano non ha modo di riconoscerlo come altro da sé. Allo stesso modo finché restiamo inguaiati nei nostri pensieri non abbiamo modo di riconoscerci come altro da loro e vederli per ciò che sono: forme-pensiero attivate da una sensazione e connotate da un’emozione che ci porta a reagire. Ed è qui che entra in gioco quel toc che risiede in noi, per natura e diritto di nascita: il testimone.

Il testimone osserva, senza giudicare. Il suo compito è renderci consapevoli che non siamo le nostre emozioni, pensieri e nemmeno la nostra storia. Siamo la presenza che osserva come tutto ciò si muove e ci smuove, senza identificarci nel movimento. Iniziare ad essere testimoni del nostro mondo interiore ci rende liberi dallo stesso. Ci permette di provare la felicità così come la tristezza, senza identificarci. Permette ai pensieri di fluire senza attaccarci ossessivamente. Ci consente di accettare il nostro passato senza farci condizionare il presente. In poche parole ci rende uomini liberi, perché non abbiamo più bisogno di fuggire da noi stessi per sentirci in pace. Con un testimone possiamo accompagnarci nell’Interverso senza rischiare di perderci, esplorarne galassie, buchi neri ed ecosistemi. Visitare i pianeti in cui regnano nobili ideali così come quelli popolati dalle nostre paure. Tanto il testimone ci riporta sempre a casa, qui&ora. Senza testimone rischiamo invece di perdere la rotta, finiremo per credere che quei mondi interiori esistano veramente, ne potenzieremo la forza di gravità e ci faremo attirare dal loro nucleo appiccicoso. In poche parole rischiamo di prendere la nostra mente troppo sul serio e di farci zavorrare dalla sua pesantezza. Come visori concepiti per portarci altrove, le nostre menti ci trasportano in mondi altri, finché un simbolico colpo sulla testa ci riporta nel qui&ora.

Foto di Vinicius "amnx" Amano su Unsplash

Il Metaverso

Il metaverso, il mondo virtuale ritenuto la prossima fase di Internet, cattura la mente nel gioco delle sensazioni in modo immersivo e totalizzante. Il metaverso, quale realtà virtuale che si lascia sperimentare come un mondo in sé completo (come l’oceano per il giovane pesce rosso di David Foster Wallace), ci trasporta nel non-qui&non-ora. Non è mia intenzione demonizzare il metaverso, è l’ennesimo velo di Maya che ci mettiamo davanti agli occhi per fuggire dalla noia. Anzi è un velo ancora più spesso e quindi più palese: si offre a noi come un vero e proprio altro mondo, è pertanto estremamente riconoscibile. C’è un problema però e il metaverso di per sè non c’entra: la mente è potente, il testimone è a confronto un bambino appena nato che ha bisogno di essere nutrito per crescere e diventare forte, così da poterci accompagnare nelle esperienze, virtuali e non, che facciamo senza farci rapire dalle stesse. Chi mi darà un colpo in testa quando viaggerò nel metaverso? Non per togliere i visori e tornare nel mondo, ma per ricordarmi che li sto indossando.

Chi disegna esperienze nel metaverso deve essere consapevole di come funziona l’Interverso umano, non per sfruttarlo ma per tutelarlo. Per usare terminologie più comuni: rispettare e salvaguardare la salute mentale delle persone. La visione sistemica ci obbliga oggi a non guardare più alle esperienze che disegniamo in modo miope. Finito il tempo in cui si riduceva la persona a consumatore, isolando un comportamento dall’interezza dell’essere per ipersemplificazione opportunistica. Terminata anche l’era in cui i processi ideativi e produttivi si considerano flussi astratti e sospesi, che trascurano l’impronta ambientale e sociale che generano. Ecco, allo stesso modo, il design nel metaverso non potrà astenersi dal considerare il proprio impatto sull’Interverso e sullo svolgersi della vita al di fuori dei suoi confini. Le opportunità sono infinite, così come le implicazioni delle stesse. I futuri professionisti dell’Interverso — es. psicologi, psicoterapeuti, insegnanti di meditazione — dovranno essere consapevoli dell’impatto che il metaverso avrà sull’ambito di loro pertinenza, così come i professionisti del metaverso dovranno essere consci e responsabili delle dinamiche psicologiche stimolate dalle nuove esperienze virtuali. Yin e Yang cambiano nella forma, ma nella sostanza la dinamica è la medesima. Metaverso e Interverso, due mondi paralleli creati dalla stessa sostanza: la mente.

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Federica Gherardi

Alla ricerca di una prospettiva che sia in grado di combinare la conoscenza umanistica, scientifica e spirituale dell’uomo, verso un Design (più) Consapevole.