Sulla fotografia della memoria

Giacomo Doni
6 min readNov 25, 2018

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Stampe di fotografie del manicomio di Cogoleto

La fotografia ha un potere: fermare il tempo. Caratteristica che non possiamo minimamente mettere in discussione.

Adoro il linguaggio fotografico per la sua capacità di diffusione: la fotografia è una lingua universale che non conosce confini geografici, non conosce differenze etniche e non conosce età. La fotografia comunica indipendentemente tutto questo e oggi, 2018, viviamo in un periodo storico estremamente prolifico per questo linguaggio.

Secondo una ricerca di Hootsuite che WIRED ha pubblicato in Gennaio di quest’anno, l’Italia risulta il terzo paese per diffusione di dispositivi mobili (60 milioni di abitanti con 49 milioni di cellulari di cui 30 milioni di smartphone)

E con questi numeri ci possiamo immaginare quanto materiale fotografico possa essere prodotto.

In questo interessante articolo di HuffPost possiamo leggere che nel 2014 sono state scattate circa 880 miliardi di fotografie da smartphone.

“ogni due minuti vengono fatte più foto di quante l’umanità ne abbia prodotte in tutto il 1800”

scrivono nell’articolo, quindi non possiamo mettere assolutamente in secondo piano questo linguaggio che si sta diffondendo con una rapidità impressionante.

Nel tempo che hai impiegato a leggere fino a qua questo post, nel mondo sono state prodotte migliaia di fotografie. Non immagini, perchè c’è una grossa differenza.

La fotografia è un elemento che crea un legame con noi: dialoga, suscita emozioni, collega, istruisce. Qualcosa che si arricchisce e cambia con il tempo, indipendentemente dalla tecnica. Io definisco invece immagine quel qualcosa che risulta esule da questa possibilità di legare in modo approfondito con chi la guarda.

La fotografia si porta dentro di sè legami emotivi incredibilmente forti: ho conosciuto una ragazza che ha un ricordo molto rabbioso della sua infanzia perchè i suoi genitori, che non amavano le fotografie, non l’hanno mai fotografata.
E lei non ha ricordi fotografici della sua infanzia.

Ma sul ruolo del tempo nella fotografia, voglio farti un altro esempio con uno scatto di Annie Leibovitz

John Lennon e Yoko Ono © Annie Leibovitz

Questo scatto è stato realizzato nel Dicembre del 1980 alle 11:30 la mattina.
John Lennon morì alle 22:50 della stessa giornata.

Possiamo quindi dire che è stato quello che è accaduto DOPO lo scatto ad arricchire questa foto con un significato diverso. Con un nuovo significato.

Il tempo come chiave essenziale di una narrazione fotografica, capace di trasformare il significato di quell’attimo che abbiamo fermato nello scatto.

Dal 2006 mi occupo di fotografia di tutela della memoria manicomiale in Italia e il fattore tempo è qualcosa di estremamente importante, possiamo dire l’elemento più importante. Oltre alla motivazione e alla scelta del soggetto, perchè spesso l’estetica non combacia con qualcosa di necessario da fotografare.

Questo concetto l’ho imparato dopo il mio primo incontro con Pompeo Martelli del Museo della Mente di Roma che, dopo aver visto le mie foto, mi ha duramente incoraggiato ad andare oltre. Oltre il senso estetico dell’immagine, che limita la narrazione alla sola composizione senza scavare dentro gli elementi necessari alla memoria.
Andare alla ricerca di un Perché di un Passato che sia in grado di dialogare con il Presente per costruire un Futuro.

Se alla domanda “Perchè sto fotografando questa cosa?” la risposta è “perché è bella come immagine” allora siamo fuori strada.
Completamente.

Passato che cambia significato nel presente che si prepara ad accogliere nuovi concetti nel futuro. Questa è fotografia di memoria.

Ma voglio spiegare questo concetto con delle fotografie, perchè di fotografia si parla.

Mona, ti amo, per sempre - Giacomo Doni (2018)

Questo scatto l’ho realizzato nel 2018 all’interno dell’ex OPG di Montelupo Fiorentino. Se in un futuro questo luogo si trasformerà in altro, questa testimonianza lasciata sul muro da un paziente sarà molto probabilmente rimossa. E qua che lo scatto ha la sua ragione d’essere.

Passato: Questo scatto mostra la vera testimonianza umana di un ricoverato di un Ospedale Psichiatrico Giudiziario che ha lasciato sul muro.
Presente: Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari hanno visto la sua fine nel 2015 e Montelupo Fiorentino è stato l’ultimo a chiudere i battenti.
Futuro: Memoria di condizioni umane dentro forme di reclusione estreme.

Oltre la Cartapesta: confronto fra i Presepi che raffigurano il manicomio di Cogoleto — Giacomo Doni (2018)

In queste due scatti non c’è la mia mano, io mi sono limitato a creare il collegamento per creare una nuova narrazione.

Passato: Lo scatto in alto è stato realizzato da Fulvia Pischedda nel 2008 al Presepe del manicomio di Cogoleto
Presente: Lo scatto in basso è stato realizzato da Rossella Soro nel 2018 al nuovo Presepe di Genova Quarto
Futuro: Il Presepe del manicomio di Cogoleto rappresenta un’opera collettiva artistica di autentica vita manicomiale. Attualmente è rimasto all’interno dell’ex OP di Cogoleto e il suo recupero è impossibile. Il coordinamento artistico dell’ex manicomio di Genova Quarto (attraverso gli scatti del passato) ha deciso di ricostruire questa importante opera per divulgare il suo messaggio di memoria. Qua la fotografia ha uno scopo multiplo: oltre a fornire la “base” originale per permettere la sua ricostruzione, offre la documentazione del nuovo Presepe e permette di analizzare il parallelismo fra le 2 differenti versioni.

ERA MOMBELLO — Progetto di digitalizzazione di Giacomo Doni

Ho digitalizzato questi scatti per salvarli dal tempo. E insieme a loro anche quello che il tempo ha donato alla loro storia.

Passato: Questa serie di fotografie è stata commissionata a Vincenzo Aragozzini con lo scopo di rappresentare il manicomio di Mombello
durante il periodo fascista, in tutta la sua eccellenza.
Presente: A distanza di svariate decine di anni, ho digitalizzato la serie per tutelare la memoria storica, narrativa e fotografica di questo patrimonio d’epoca.
Futuro: Queste immagini possono essere un ponte per stimolare discussioni intorno alla distorsione della realtà, al delicato periodo storico che ha attraversato il nostro Paese e ci mostrano gli effetti della propaganda di regime.
Stiamo parlando di foto “costruite” e in questo caso, come non mai, il tempo ha contribuito a dare un significato diverso alle foto originali.

Bagno del manicomio di Cogoleto — Giacomo Doni (2007)

Immagine tratta dal mio progetto PERSISTENZE.

Passato: Bagno del manicomio di Cogoleto con porte basse per permettere l’ispezione da parte del personale infermieristico.
Presente: Dal momento che il manicomio di Cogoleto oggi non è più accessibile, questo scatto rimane l’’unica testimonianza di una pratica di controllo esercitata dentro questa struttura.
Futuro: Memoria storica del manicomio e delle sue architetture di esclusione.

Ragionare in termini di fotografia di memoria ci mette nella condizione di ricercare tutti gli elementi capaci di generare un discorso nel presente che sia in grado di avere un valore nel futuro, fermare il tempo di spaccati di realtà che si arricchiscono con storie che devono ancora accadere.

Storie che possono rafforzare il loro significato originale o addirittura stravolgerlo, ma che in ogni caso non lo lasciano mai nella stessa posizione storica ed emotiva in cui l’abbiamo trovato.

Altrimenti non parliamo di fotografia.
Parliamo di immagini.

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