La pubblica utilità è open source

Gianni Sinni
6 min readMay 21, 2017

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1.

La comunicazione della pubblica amministrazione italiana non brilla per efficacia e coerenza se non per qualche indovinata, quanto sporadica, campagna realizzata ad hoc. C’è tuttavia un settore nel quale risulta lampante la totale asincronia che caratterizza la comunicazione pubblica rispetto all’esperienza quotidiana dei cittadini, quello dei servizi online. Il nostro livello di utilizzo dei servizi pubblici online risulta tra i più bassi in Europa. I motivi sono molti — incerta connettività, limitata diffusione delle competenze — , ma la causa principale può essere individuata in quella scarsa frequentazione del metodo del progetto, unita a una certa resistenza all’innovazione, che spesso caratterizza la pubblica amministrazione.

Il risultato è che i linguaggi, le tecnologie e le esperienze di navigazione nell’utilizzo dei servizi pubblici online sono, nella maggioranza dei casi, estremamente distanti da quelli che il cittadino sperimenta quotidianamente usufruendo dei servizi forniti da aziende private. Si tratta spesso di un’esperienza frustrante dove l’insieme dei percorsi per condurre a termine il proprio obiettivo, per quanto modesto sia, come pagare il bollo auto o iscrivere i propri figli a scuola, è regolato da passaggi controintuitivi e da procedure farraginose. Quello che manca, insomma, è un design del servizio.

2.

Il rapporto che unisce design e pubblica amministrazione, in particolare in Italia, è da archiviare sotto la categoria degli amori asimmetrici. Il design della comunicazione, fin da quella dichiarazione d’intenti che fu First Things First, ha sempre individuato nella committenza pubblica la principale alternativa alla grafica commerciale. La singolare stagione della grafica di pubblica utilità che si sviluppò negli anni settanta e ottanta del Novecento, prese le mosse dalla particolare convergenza di interessi che portò i graphic designer — in cerca di una sostenibilità etica della propria professione — e le pubbliche amministrazioni locali — tese ad aprire nuovi canali informativi verso i cittadini — a incrociare, per un certo periodo, i loro destini comunicativi.

Come sappiamo, l’esperienza della grafica di pubblica utilità si andò col tempo esaurendo, principalmente per quella radicale trasformazione ideologica che interessò il sistema politico negli anni novanta, il cui corollario fu il deciso spostamento della comunicazione pubblica dal linguaggio della grafica autoriale e impegnata al linguaggio pubblicitario. Si trattò di una transizione che di fatto annullò le premesse, anch’esse ideologiche, su cui si fondava la grafica di pubblica utilità con la suddivisione della sfera della comunicazione fra coloro che, virtuosamente, operavano al servizio del cittadino e chi, viceversa, prestava la propria attività all’interesse del mercato.

A distanza di qualche decennio e dell’intera rivoluzione digitale che ha investito il mondo della comunicazione, possiamo affermare, ormai senza timore di passare per nostalgici delle semplificazioni ideologiche, che alcuni spunti di riflessione posti dalla grafica di pubblica utilità, in particolare sulla centralità del cittadino, sembrino oggi rivestirsi di un nuovo e più profondo significato. A cominciare da quell’asserzione, quasi secondaria nella Carta del progetto grafico — “noi dichiariamo pertanto il punto di vista dell’utenza fondamento costante del nostro operare” — , nella quale si prefigura l’intera filosofia alla base dello user-centered design, oggi approccio irrinunciabile per qualunque forma di comunicazione, non solo online.

3.

La pubblica amministrazione ha un’urgente necessità di recuperare il rapporto con il mondo del design della comunicazione se vuole dare compimento agli obiettivi che derivano dai processi di digitalizzazione e semplificazione dei servizi ai cittadini. Allo stesso tempo la profonda trasformazione che ha investito la professione del designer pone quest’ultimo nelle condizioni di offrire al committente pubblico quelle risposte funzionali e strutturate nel metodo — con processi, ad esempio, quali il Design thinking o il Service design o, ancora, attraverso il progetto dell’usabilità e della user experience — a cui il linguaggio della pubblicità non può dare adeguata soddisfazione.

I modelli open source e collaborativi rappresentano un modo per ripensare la comunicazione di pubblica utilità in un contesto di rinnovata condivisione d’intenti.

È un percorso che mette in discussione molte delle pratiche tradizionali del design della comunicazione per avventurarsi sulle strade, ancora non molto battute, del progetto partecipato, della condivisione aperta, della costante revisione dei risultati. Emerge una nuova competenza che potremmo ben descrivere, parafrasando Carlo Ratti, come quella di un “designer corale”, nell’accezione di guida multidisciplinare. Una figura che, nel rapporto con il committente pubblico, non è più semplicemente un problem-solver, bensì, secondo la condivisibile analisi di Ezio Manzini, è colui che collabora socialmente alla costruzione di significati, che contribuisce a dare senso al progetto (un sense maker). È necessario infatti sgombrare il campo da quell’equivoco diffuso che vede in un logo o in un semplice rivestimento grafico la soluzione dei problemi di usabilità e di interfaccia. Creare un’identità efficiente consiste, invece, “per l’80 per cento in innovazione, per il 15 per cento in coordinazione e per il 5 per cento in comunicazione” (Anholt 2007).

Oggi la pubblica amministrazione italiana ha in effetti un programma di innovazione, anche piuttosto ambizioso, che è il progetto Italia Login, un ecosistema digitale che si pone l’obiettivo non solo di rendere usabili i servizi online, ma di ridefinire il paradigma stesso del rapporto amministrazione-cittadini. Un obiettivo non da poco, difficilmente affrontabile nei termini del progetto tradizionale, ma che invece ben si presta a inaugurare un percorso open source e partecipato del quale è possibile individuare alcune peculiarità.

In primo luogo la tessitura di un’alleanza fra chi, a vario titolo, è chiamato a contribuire: pubblici amministratori, designer, sviluppatori, redattori, università e associazioni (al momento Aiap, Sie, Sigchi). Riuniti in uno Steering Committee, un comitato d’indirizzo, ogni attore è portatore di specifiche istanze — normative, scelte tecnologiche, ecc. — che solo attraverso una visione olistica possono trovare soddisfazione.

Il secondo punto riguarda la scelta di predisporre delle “Linee guida di design”, una raccolta di indicazioni — di design, di usabilità, di scrittura dei contenuti — con lo scopo principale di rendere comune la user experience dei servizi, piuttosto che la loro semplice identità grafica.

Gli elementi di identità visiva sono stati ridotti ai minimi termini — una palette colore, un carattere tipografico, le griglie di impaginazione — per, e qui veniamo al terzo punto, rendere il sistema il più flessibile possibile nella declinazione che a livello locale potrà essere sviluppata dalle amministrazioni locali e dai loro fornitori. È un sistema diffuso, ma non unidirezionale e in questo spirito è stata attivata la community design.italia.it sulla piattaforma GitHub — ed è la prima volta per la pubblica amministrazione italiana — , dedicata alla condivisione e alla discussione delle best practice. Un sistema quindi in costante aggiornamento in un processo programmaticamente open ended.

Il cantiere di Italia Login è solo all’inizio, le Linee guida sono in versione alfa, e non sappiamo con certezza come si svilupperà, ma è significativo che il processo iniziato per una migliore qualità progettuale dei servizi pubblici online veda il diretto coinvolgimento dei designer.

Luglio 2016

Note

Questo testo è una versione dell’articolo pubblicato su Progetto grafico n. 30, autunno 2016, dedicato alle Tecnologie aperte a cura di Massimo Banzi, Serena Cangiano e Davide Fornari.

Nota di trasparenza/Disclaimer: sono membro dello Steering Committee che sovrintende, per conto dell’Agenzia per l’Italia digitale, alla definizione delle “Linee guida di design per i siti web della PA ”.

Riferimenti bibliografici

Simon Anholt, L’identità competitiva. Il branding di nazioni, città, regioni, Egea, Milano 2007.

Ruedi Baur, Sebastien Thiery (a cura di), Don’t brand my public space!, Lars Muller, Zurigo 2013.

Annick Lantenois, Le Vertige du funambule. Le design graphique entre économie et morale, B42, Paris 2013.

Ezio Manzini, Design, When Everybody Designs. An Introduction to design for Social Innovation, Mit Press, Cambridge 2015.

Carlo Ratti, Architettura Open Source, Einaudi, Torino 2014.

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