Public Design Fiction
L’interfaccia di pubblica utilità appena appena nel futuro
1969. Con il modulo 1012-A debitamente compilato, vengono rimborsati al colonnello Edwin E. Aldrin alla conclusione della missione dell’Apollo 11, le spese per un totale di trentatre dollari e trentuno centesimi per il viaggio, su astronave governativa con pasti inclusi, da Cape Kennedy alla Luna e ritorno.
Come sappiamo per esperienza, non c’è settore dell’umana attività che non preveda, nel rapporto con la pubblica amministrazione, un apposito modulo da riempire. Per quanto anche in Italia si sia imboccato con decisione la strada dell’innovazione e della digitalizzazione dei servizi al cittadino, non c’è dubbio che nell’immaginario collettivo l’idea della nostra burocrazia prossima futura si discosta ancora poco dalla rappresentazione distopica del Brazil di Terry Gillian.
Carte e timbri ci aspettano nei secoli dei secoli, dunque? Niente affatto se ci dedichiamo a immaginare un futuro diverso.
Riprogettare l’interfaccia e la user experience ideale dei servizi al cittadino significa in primo luogo riuscire a lasciarsi alle spalle il pesante fardello in termini di immagini, rituali e simulacri a cui la burocrazia ci ha abituati. E non è per niente facile. Non si tratta di sistemare un po’ meglio l’attuale struttura di un servizio, non si tratta di rivestire con una grafica dignitosa la schermata di un ente, non si tratta insomma di un intervento puramente estetico.
Certo, l’idea di dedicarsi al progetto per la pubblica amministrazione gode oggi fra i designer dello stesso appeal della categoria pompe funebri.
Se vogliamo davvero esercitarci nel trasformare e rendere usabili i servizi della pubblica amministrazione — e farlo con entusiasmo e convinzione — , può forse essere utile fare tabula rasa di quell’intrico di vincoli, norme e impedimenti che si sono, a ragione o meno, stratificati nel tempo e su quella immaginare di costruire il futuro che vorremmo, fra i tanti possibili. Immaginarlo, questo futuro “citizen centered”, è il primo passo perché si avveri.
È la design fiction, bellezza!
Con la design fiction, secondo la fortunata definizione di Bruce Sterling, applichiamo un processo narrativo al progetto, un po’ come quando si prefigurano scenarios e personas nei focus group. Si tratta di un tipo di approccio che condivide la stessa natura del genere letterario della fantascienza e che ha originato, negli ultimi anni, numerose esperienze, soprattutto per il progetto di prodotto e di interazione. La design fiction è invece stata raramente utilizzata nei progetti di comunicazione pubblica.
Il workshop di information design tenuto a Venezia per lo Iuav Design Workshop 2016, è stato l’occasione per sperimentare questa metodologia progettuale-narrativa. Divisi in gruppi, i partecipanti hanno provato a immaginare il rapporto cittadino-istituzione negli anni a venire, riprogrammando le priorità e gli stessi paradigmi di questa relazione e indagando brevemente anche le conseguenze sociali delle proprie scelte narrative. Sei i progetti di interfaccia sviluppati, ambientati negli anni compresi tra il 2017 e il 2035. Liberi dalle costrizioni cui le attuali interfacce pubbliche ci hanno abituati, ma sempre all’interno di una plausibilità operativa, i progetti hanno sperimentato l’utilizzo di metafore di navigazione e di condivisione dei dati intuitive e semplificate. Soluzioni fantascientifiche, dunque, solo nel senso di non ritenere immutabile l’attuale stato dell’arte del design dei servizi pubblici.
Immaginare è, in definitiva, la strada più concreta per praticare il cambiamento, per avvicinarsi al momento in cui contro ogni aspettativa — era la frase preferita del grande Bohumil Hrabal — , “l’incredibile diventa realtà”.
I risultati allo Iuav Design Workshop 2016 di Venezia sul design dei servizi della pubblica aministrazione del futuro, tenuto con Daniele Tabellini.