Perché non leggiamo le donne
Conversazione aperta sul pregiudizio di genere in letteratura
“As Grace Paley once said to me, ‘Women have always done men the favour of reading their work and men have not returned the favour.”
- A.M. Homes
Donne. Donne che scrivono. Donne e letteratura. Letteratura di genere (femminile). Libri per donne. Chick lit. Il pubblico dei libri. Le classifiche. La definizione di letteratura. I festival letterari senza donne. I festival letterari solo di donne. La scrittura femminile.
Da quanto tempo ne stiamo parlando? Da sempre. Negli Stati Uniti il dibattito avviene a volumi molto più alti, ma negli Stati Uniti la candidata principale dei Democratici alla presidenza è una signora che si dichiara femminista con un certo entusiasmo. Quindi.
La mia idea originale per questo pezzo era di tradurre una cosa che ho scritto poco tempo fa sulla rilevanza del genere nel mercato editoriale e che è stata poi ripubblicata da Panel & Frame. Ma da quando l’ho scritta a oggi sono successe delle cose che hanno riportato l’attenzione sul dibattito, prima fra tutte la dichiarazione del direttore della Feltrinelli di Bologna Marco Bonassi che, a suo dire, le donne le legge poco. E l’intuito (anche se in questo caso è più un addestramento a fiutare il pregiudizio) ci dice che quelle “poche” sono “nessuna”, ché chi ha letto anche solo una donna in tutto l’anno ci tiene a farlo sapere; e in generale quasi nessuno si accorge di leggere più uomini che donne. Marco Bonassi, che dice di non voler essere “politicamente corretto” mentendo sull’argomento e che quando ha messo insieme la sua personale classifica non è riuscito a farci rientrare neanche una donna, poteva essere più scorretto solo dicendo che in realtà le donne non le legge affatto. Gli concediamo il beneficio del dubbio.
Il pregiudizio contro le donne che scrivono (e per estensione, il pubblico a cui si rivolgono) è evidente dalla loro collocazione in libreria: c’è un ghetto apposito in cui scrittrici e lettrici si incontrano, sole, dove gli uomini non si avventurano quasi mai se non schermendosi. Nicholas Sparks, che scrive libri rosa, non vuole che si dica che scrive libri rosa (no, veramente, ci tiene). La percezione generale è che esistano due tipi di narrativa: una per tutti, e una a lettura facilitata per femmine. Un pregiudizio che investe, brutale, anche le scrittrici che si avventurano oltre i confini del rosa più classico. Le autrici che giungono a noi in traduzione subiscono spesso un repackaging teso a far sembrare l’opera più vicina alle corde dell’animo cosiddetto femminile: esempio classico, Lo que esconde tu nombre (Cosa nasconde il tuo nome) di Clara Sánchez, uscito in Italia con il titolo Il profumo delle foglie di limone. Elegante, evocativo, esotico, mediterraneo. Una delle due voci narranti è un uomo alla ricerca di un gerarca nazista latitante. Ma col cibo e i fiori non ti sbagli mai.
Non è un pregiudizio legato solo al genere letterario. La scrittrice americana Catherine Nichols ha reagito al silenzio di tutti gli agenti a cui si era rivolta ripresentandosi con un nome maschile: questo piccolo inganno ha generato una serie di risposte positive. J.K. Rowling ha venduto milioni di copie omettendo il suo nome di battesimo. La storia della letteratura è densa di donne che si sono fatte conoscere con un nom de plume maschile o neutro, che poteva essere equivocabile. Della misteriosa e molto stimata (anche all’estero) Elena Ferrante si dice da sempre che sia un uomo: i libri sono vendutissimi, celebratissimi, lodatissimi e lei non si mostra agli occhi del mondo. Due indizi che — nella testa degli intellettuali italiani — fanno una prova.
Tra le voci che si sono fatte sentire in questi giorni sull’argomento c’è anche quella di Rosella Postorino, scrittrice ed editor di Einaudi Stile Libero, che su Facebook (fra le altre cose) ha ricondiviso un suo status di tre anni fa:
Chissà se si sarà adirata, Elsa Morante.
La seconda pietra dello scandalo è la classifica annuale de La Lettura, inserto del Corriere, che è interamente composta di titoli scritti da uomini. È una classifica stilata da lettori e redattori: lettori e redattori che hanno decretato che nei dieci migliori libri dell’anno non ce n’è neanche uno scritto da una donna.
Neanche. Uno.
A questo proposito vorrei citare Michela Murgia, dal suo profilo Facebook:
Le spiegazioni per un dato così sconcertante possono essere solo tre.
- La prima è che le donne, sesso geneticamente svantaggiato nelle lettere, non sappiano scrivere.
- La seconda è che gli intellettuali della giuria di qualità che hanno votato non le leggano quanto leggono gli uomini.
- La terza è che le leggano nella stessa quantità, ma sottostimino il loro lavoro perché sono donne.Ora, escludendo che le autrici pubblicate quest’anno in Italia siano impedite a scrivere altrettanto bene dei loro colleghi — tra loro (tacendo delle italiane) c’è il premio Pulitzer Robinson, il premio Nobel Munro e scrittrici riconosciute e amate come Ernaux, Toews e Kerangal — restano in piedi solo le altre due ipotesi: il lettore italiano, non importa il sesso, nè quanto sia colto e assiduo, nel peggiore dei casi non legge le donne; nel migliore le legge pensando che la loro sia una letteratura minore, che produce immaginari marginali, ininfluenti.
(Nota a margine: ho postato la classifica anche sul mio profilo Facebook, chiedendo ai miei contatti di dirmi se notavano qualcosa. Sono stata accolta da un silenzio pressoché assoluto, tipo quando la prof fa una domanda in classe e tutti tacciono e si stringono come paguri nel guscio, terrorizzati dall’idea che sia un trabocchetto.)
Una così clamorosa e colpevole omissione ha radici profonde, e se criticata scatena curiosi meccanismi di difesa. Ecco cosa scrive sul suo blog Loredana Lipperini (alla quale ho rubato anche la citazione in apertura):
Diranno. Volete le quote rose in letteratura, la letteratura non si giudica in base al sesso di appartenenza. Diranno. Non è vero che le donne sono sottovalutate. L’ultimo Nobel per la letteratura non è forse una donna? (ma non diranno quanto l’hanno criticata, Svjatlana Aleksievič, in quanto non abbastanza letteraria). Diranno. Le vere scrittrici, le grandi scrittrici, non sono (dichiaratamente) femministe. Diranno. Scherzi? Le mie migliori amiche sono scrittrici. Diranno. Scherzi? Ho sul comodino tutti i libri di Alice Munro (ma non l’hanno votata, Alice Munro). Diranno. Siete settarie. Volete condizionarci. Diranno. Hanno votato anche donne (ma in misura minore, e poi non è questo il punto). Diranno. Quando ce ne siamo accorti era tardi, che dovevamo fare? (magari un articolo di accompagnamento?)
Mettiamoci qualche numero. Secondo l’Istat, gli italiani che hanno letto almeno un libro nel 2014 sono il 48% delle femmine e solo il 34,5% dei maschi (il 15,1% delle donne ha letto più di 12 libri all’anno, contro il 13,2% degli uomini). Le donne sono i lettori più forti. Ma nella classifica IBS dei 100 libri più venduti nel 2015 ci sono solo 33 titoli scritti da donne, se si considera ogni episodio di una serie come titolo a parte: Anna Todd ed Elena Ferrante ricorrono più volte, ognuna con la serie di sua spettanza. Le autrici sono quindi meno dei titoli, poco più di una ventina.
C’è qualcosa che non va. Che cosa c’è che non va?
Il mio tentativo, qui e ora, è far partire una conversazione su questo argomento. Una conversazione seria, in cui si riesca ad andare al di là della solita retorica e ci si interroghi sul perché le donne sono meno lette, meno pubblicate, commercializzate in modo diverso dagli uomini, rinchiuse in gabbie, in generale sottovalutate e considerate incapaci di incidere sulla cultura e l’immaginario collettivo se non in pochi felici casi.
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