Zidane, un ritratto del XXI Secolo

Giuseppe Mastrangelo
4 min readMay 20, 2020

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Zidane, un ritratto del XXI Secolo
Zidane e le magie contro il Brasile dei fenomeni durante il Mondiale del 2006

All’indomani della sua cessione al Real Madrid per la cifra record di 150 miliardi di lire, nell’Estate del 2001, il Presidente Agnelli definì Zidane con una frase che il genio di Marsiglia deve aver rimembrato molte volte tra sé e sè prima di entrare in campo: «un giocatore più divertente che utile»

Nonostante le due finali consecutive perse di Coppa dei Campioni contro Borussia Dortmund e Real Madrid nel 1997 e 1998, e i due scudetti scelleratamente gettati al vento dalla Vecchia Signora targata Ancelotti contro Lazio e Roma, il giudizio dell’Avvocato fu sicuramente ingeneroso. E non tanto perché nei cinque anni bianconeri “Zizou”, nato a Marsiglia da genitori algerini, aveva già vinto due Scudetti, un pallone d’oro e un Mondiale e un Europeo con la sua Nazionale. Ma per quello che Zidane riuscì a dimostrare lontano da Torino, consacrandosi come uno dei migliori giocatori ad aver mai calcato un campo di calcio. Se è vero che pesava sul giudizio dell’Avvocato il carattere mai davvero allineato allo “stile Juventus” di Zinedine, fu altrettanto manifesto come la Storia dimostrò che Agnelli, una volta tanto, si sbagliava

Esiste un luogo in cui meglio di altri si riesce a delineare l’individualità tecnico caratteriale di quel genio che fu il Zidane giocatore: un documentario presentato nel 2006 all’Edinburgh International Film Festival ad opera dei registi Douglas Gordon e Philippe Parreno.

Zidane, un ritratto del XXI secolo — il nome della pellicola — è un progetto che nasce con un intento anche pretenzioso: immortalare la cinestesia unica del genio di Marsiglia grazie al montaggio di diciassette (diciassette!) telecamere intorno al Santiago Bernabeu. Un Grande Fratello, i cui zoom seguono a pochi centimetri il numero 5 per tutti i 90 minuti, immergendo lo spettatore nel vortice ipnotico della partita del 5 Aprile 2005 tra Real Madrid e Villareal. Scandito dalla splendida colonna sonora dei Mogwai, incisa per la britannica Wall of Sound, il film riesce in un’impresa non facile: quella di coagulare le peculiarità del giocatore e dell’uomo, restituendo un documento capace di racchiudere 20 anni di carriera.

Il primo tempo del match (e del film) è “noioso”, con un Zidane placido che aspetta che la partita venga dalla sua. Mentre gli occhi roteano semichiusi e concentrati in cerca della linea di passaggio più smarcante per ricevere il pallone, qualche (troppo poche, a dire il vero) didascalia fa rivivere il patrimonio genetico-calcistico del bambino che correva con un pallone per le strade del quartiere Le Castellane, sognando i grandi palcoscenici. Il ricordo va all’idolo adolescenziale Enzo Francescoli, leggendario fantasista charruo — che passò pure tra le fila di Cagliari e Torino — e che dà il nome al primogenito Enzo Zidane), e Pierre Cangioni, giornalista e presidente del Marsiglia tra il 1994 e 1995, voce della memoria calcistica di Zizou, vissuta di fronte a una tv sgangherata acquistata al Marchè de Noailles.

In campo, invece, il Villareal di Juan Roman Riquelme, Marcos Senna e Diego Forlan, torna negli spogliatoi in vantaggio. A sopresa: 0–1. Fallo stupido di Pavon, e dagli 11 metri Riquelme non perdona. Proprio quel Pavon, la polarità negativa di Zizou nella politica dei “Zidanes y Pavones” appena instaurata. Con quel termine, coniato dallo stesso satrapo Florentino Peres, il megalomane presidente dichiarava l’obbiettivo di infarcire la squadra di giocatori in grado di infiammare l’esigente pubblico madridista nei ruoli chiave, e tappezzarla di giovani “canterani”, risparmiando, nei reparti meno nobili dell’undici. La strategia, inizialmente, funziona. Col Real, Zizou, riesce in ciò che non era riuscito in bianconero. Vince subito. E lo fa a modo suo, marchiando la nona Champion’s League merengue, con una voilè in finale contro il Leverkusen che ancora oggi molti ritengono uno dei gol più belli mai visti nella manifestazione europea.

Quello fotografato da Gordon e Parreno, è un Madrid, in realtà, già nella sua fase crepuscolare, a secco ormai di titoli da ben due anni (ultimo ricordo: la Liga vinta nel 2002–2003). I Raul, gli Owen, i Beckham, i Ronaldo, con i Roberto Carlos e i Figo, sono in campo, sì. Ma i contorni del volto di Zizou, deformatisi per la fatica nel corso dei minuti, sono lo specchio per la frustrazione di quegli anni senza successi e per gli sforzi che non riescono a far capitolare la muraglia issata dal Sottomarino Giallo.

Tocca al genio — che non ha mai lesinato critiche alla politica di Florentino — salire sul proscenio, con una giocata improvvisa, inscenata ad arte. Una delle sue. È circa la metà della ripresa e il dramma ha inizio. Zidane gravita su di sè l’attenzione di tre giocatori galleggiando sulla fascia sinistra. Una finta, due, dondolando il busto come d’incanto, doppio passo fino a raggiungere l’out del fondo e in precario equilibrio pennellare un traversone tagliato perfettamente per la testa di Ronaldo che deve solo appoggiare a pochi centimetri per l’1–1. La cosa stupefacente che si vede da Zidane, un ritratto del XXI secolo è che nessuno va verso Ronaldo dopo il gol, ma tutti abbracciano l’autore dell’assist.

È l’Indizio del ruolo che Zidane ha svolto in tutti gli spogliatoi in cui ha militato: leader di poche parole, taciturno, introverso, ma capace di trasmettere leadership con gesti minimali ma carichi di significato. Uno stop, uno sguardo, una mimica bastavano affinché i compagni introiettassero immediatamente il messaggio e lo seguissero ciecamente.

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Giuseppe Mastrangelo

Digital Content Enthusiast | Journalist | Founder at The Baller