Scrivere un libro sul marketing e affrontare la sindrome dell’impostore

Per una serie di fortunati eventi, mi sono ritrovata a riuscire a realizzare un sogno che ho nel cassetto fin da bambina: scrivere un libro e pubblicarlo. Scrivere un libro sul marketing, nella fattispecie. Ok, non era propriamente questo il sogno fanciullesco: mi vedevo più bohémienne a pubblicare una raccolta di piccoli poemi in prosa o la traduzione italiana della sconosciuta antropologa francese su cui ho scritto la tesi di magistrale.

Ma ehi, a caval donato… una bella soddisfazione professionale e personale, vedere il proprio libro in vendita su Amazon e su tutti i circuiti nazionali di librerie, sia fisiche che online. Una bella auto-pacca sulle spalle sentirsi dire dall’editore stesso, a un giorno dal lancio, che per qualche ragione eri già oltre le più rosee aspettative di prevendite.

[Per inciso, lo trovate qui: https://bit.ly/StrategiaDigitalePMI]

“Strategia digitale per le PMI” edito da Maggioli Editore

Però poi, eccola lì: la sindrome dell’impostore. Che ti fa svegliare di notte a chiederti perché, perché mai proprio tu hai deciso di fare una cosa così stupida come metterti in gioco con un libro, o mio dio, un oggetto pubblico, che tutti potranno leggere e giudicare. Se sei donna, piuttosto introversa e insicura, irrisolta — una parola che trovo molto efficace, utilizzata sempre dal mitico Zerocalcare per definire le mancanze di un’intera generazione — allora mettersi volutamente al centro dell’attenzione è veramente la cosa più autolesionista che puoi fare. La più coraggiosa anche, sì. Ma questo non impedisce che ti svegli nel cuore della notte pensando: ma chi me lo ha fatto fare? Cosa diavolo avevo in mente? Adesso i pochi che avranno la ventura di leggerlo, mi massacreranno.

Perché io non sono brava abbastanza per scrivere un libro, non sono brava abbastanza: punto.

La sindrome dell’impostore: tra bias cognitivo e personalità

Se ne sta parlando molto ultimamente, insieme al concetto di narcisista e a quello di mindfullness, sono tra le parole più abusate del momento. A, anche resilienza, sì.

Ecco, la sindrome dell’impostore però non è un trend, nel senso, la provi, la provi forte, è reale, ce l’hai o non ce l’hai. Non è modestia vera, non è nemmeno falsa modestia, perché la modestia non ci azzecca nulla.

Significativo il fatto che questa sorta di “disturbo della personalità” sia stato diagnosticato per la prima volta nel 1978 da due psicologhe in un campione di individui di sesso femminile: tutte donne, studentesse modello o professioniste affermate nel loro ambito. Tutte affette da questa sorta di patologica incapacità di riconoscere i propri successi come frutto di merito, anzi, al contrario convinte di non meritarli affatto, di essere state promosse o lodate per puro caso, perché si sono trovate nel posto giusto al momento giusto, in mezzo ad una “serie di fortunati eventi” che le hanno portate a raggiungere il proprio obiettivo.

Per inciso, com’è che iniziava questo articolo? Ah ecco, me ne accorgo solo ora. Il caso, la fortuna, meno male che mi hanno dato retta, non era poi un’idea così geniale, devo ringraziarli moltissimo per avermi permesso di concretizzarla, in fondo non ho inventato nulla di innovativo.

È un libricino, un manualetto, non è nulla di che. Non so quante volte l’ho ripetuto nelle ultime settimane. Ed è vero, è proprio così, ma non è giusto né sano che io lo dica a me stessa, di continuo. Non è niente di che, ma è anche bello e importante, nella mia piccola e modesta vita.

Un atteggiamento influenzato sicuramente da tutti quegli elementi che gli psicologi hanno individuato come cause scatenanti: introversione, ansia latente, bassa autostima e propensione a provare imbarazzo per i propri errori, insicurezza che porta alla permalosità, eccessivo autocontrollo e grande capacità di adattarsi al contesto per mostrare sempre agli altri ciò che vogliono vedere, per far sì che gli altri siano a proprio agio.

Ora, io non sono una psicologa ma, vivendolo, ovviamente ha tutto molto senso, ergo si tratta di un problema caratteriale derivante da contesti sociali, educazione, storie familiari… ciascuno ha le sue criticità nella valigia che si porta dietro dall’infanzia, alcuni bagagli sono più leggeri, altri più pesanti, ma comunque — che lo vogliamo o no — in parte ci definiscono e modificano la nostra andatura con il loro peso.

A mio avviso, però, la sindrome dell’impostore è anche un vero e proprio bias cognitivo, vedetelo come l’esatto contrario dell’effetto Dunning-Kruger. Per quest’ultimo, le persone poco dotate e/o poco competenti su una materia si sentono, per assurdo, in grado di formulare giudizi e di avere idee più che sensate sull’argomento. Che siano i delicati equilibri geopolitici, i vaccini, il calcio o il femminismo, poco importa: chi ne sa pochissimo, tenderà a dare opinioni tranchant, tagliate con l’accetta, senza diritto di replica, dei dogmi, avvalorati da dati discutibili e fake news, pescati nel sottobosco variopinto del web.

Al contrario, la sindrome dell’impostore colpisce chi ne sa di una materia e, per assurdo, non si sente abbastanza bravo da parlarne davvero con cognizione di causa; quindi, preferisce continuare a fare il proprio lavoro al meglio ma senza esporsi troppo, senza dare opinioni e, per il grande Giove, SENZA SCRIVERE UN LIBRO!

Altrimenti, tutti potrebbero accorgersi dell’inganno, beccarci, scoprirci a non essere competenti come millantavamo di essere.

Scrivere un libro come “cura” alla sindrome dell’impostore

Si chiama “Strategia digitale per le PMI”, edito da Maggioli Editore per la collana Digital Generation, direttore di collana Gaetano Romeo.

Sono un centinaio di paginette agili, pensate apposta per spiegare qualche concetto di marketing, qualche attività digital e qualche idea di comunicazione a un target ben preciso: chi di queste cose non ne sa molto, o proprio nulla.

Non è rivolto a chi fa questo mestiere ma a possibili committenti di un consulente marketing, in particolare a chi ha una piccola o piccolissima impresa: la pizzeria sotto casa che vuole aumentare il giro di clienti, la nuova caffetteria appena inaugurata che deve lanciarsi, il centro sportivo che potrebbe migliorare il ricircolo di atleti tesserati, l’agenzia di sviluppo che vuole trovare sia nuovi clienti che nuove risorse in gamba da inserire in organico, lo studio di architetti che non sa come far conoscere i propri incredibili progetti internazionali, il franchising dentistico che sta aprendo un nuovo studio in una nuova città… potrei continuare. Piccole imprese, il vero tessuto del nostro paese.

Ora, perché dovrebbero leggersi ‘ste cento pagine, da cui NON impareranno né a gestirsi i social da sé né a organizzare una conferenza stampa da zero?

Per due motivi, principalmente:

· Perché, invece, potrebbero capire che i Social o la conferenza stampa non sono utili per loro, che sarebbe meglio fare altro, come contattare le testate locali per delle collaborazioni oppure dedicarsi all’e-mail marketing. Imparare a scegliere il proprio tono di voce, i propri canali, i propri contenuti;

· Perché una volta capito cosa serve loro, possono decidere o di imparare a farlo internamente, formando davvero una risorsa della propria azienda, oppure di esternalizzare il servizio a un consulente o un’agenzia: il tal caso, potranno avere almeno un minimo di conoscenza della materia, quell’infarinatura che permette di essere aperti di mente ma di non cascare dalle nuvole sentendo usare paroloni in marketinghese… e magari, di non farsi fregare dai venditori di fuffa.

Ecco, l’intento mio, umilissimo, era proprio questo: spiegare semplice e concreto, essere utile a chi non ha i mezzi, le risorse e le conoscenze di un grande marchio.

Non sarà certo un best-seller di chissà quale tiratura, ma so che le critiche arriveranno: ci saranno gli espertoni che lo leggeranno solo per dire che è “scritto troppo semplice, non spiega come fare le cose nel dettaglio, non dice nulla di innovativo”, e in effetti è così, difatti non era quello l’intento e non era l’espertone il target di lettore per cui è stato concepito.

Io non sono un guru, come posso parlare ai guru?

E se all’inizio mi sono un pochino impanicata, adesso invece le aspetto.

Le critiche fanno crescere, alcune perché sono vere e servono a migliorare, altre perché non sono vere e servono a far capire al mio piccolo impostore interiore che può deporre le armi.

Che non è vero che da un momento all’altro ci scopriranno, che forse non siamo così male a fare quello che facciamo. Non i primi della lista ma neanche gli ultimi degli s******, come cantava Elio.

Se non vogliamo credere in noi stessi e a noi stessi, almeno crediamo a chi ci circonda, a chi stimiamo: lavoriamo con persone in gamba. Se ci hanno assunto, se ascoltano le nostre opinioni, se qualcuno si è preso la briga di commissionarci un libro, beh, loro sono in gamba, e qualcosa ci hanno visto in noi.

Quindi forse — dico forse — allora un pochino, un minimo, siamo in gamba anche noi.

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Greta | Consulente Digital MKTG & Comunicazione

Da 14 anni nel settore Comunicazione&Marketing, focus sul Digital. Strategia Comunicazione | Media Relation | Blog | Contenuti | Eventi | Social | Formazione