Commissariato antibufale, un decalogo per evitare che la cura sia peggiore del male

Guido Scorza
9 min readJan 20, 2018

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La notizia è ormai nota, ha fatto in poche ore il giro del web e acceso un dibattito capace di imporsi all’attenzione dei media persino in giornate nelle quali la campagna elettorale monopolizza prime pagine di giornali e telegiornali: per contrastare il fenomeno delle fake-news, specie in vista della campagna elettorale, il Ministro dell’Interno Marco Minniti ha deciso di schierare gli agenti e gli esperti del Servizio della Polizia Postale e delle Comunicazioni.

L’iniziativa, come naturale che fosse, ha sollevato più perplessità che plausi persino all’interno dello stesso Governo con il Sottosegretario alle Comunicazioni Antonello Giacomelli, costretto a alzare la mano e far rispettosamente osservare che, forse, l’iniziativa meriterebbe di essere affinata e, soprattutto, più attentamente ponderata.

Governo a parte, in Rete e fuori dalla Rete, giornalisti, società civile e addetti ai lavori hanno correttamente rilevato, con sfumature e toni diversi, le tante ragioni di preoccupazione e gli altrettanti rischi di deriva dell’iniziativa.

In tutta franchezza l’operazione — che, peraltro, allo stato appare priva di una sicura base giuridica non esistendo una norma di legge che attribuisca al Ministero dell’Interno una specifica competenza in materia di contrasto a un fenomeno che non è sovrapponibile tout court a quello della circolazione dei contenuti illeciti online né attiene, sempre e comunque, a questioni di ordine pubblico — non convince e sembra porsi sulla scia di una lunga serie di iniziative “emergenziali” adottate un po’ in tutto il mondo per contrastare un problema che, tuttavia, è — e non da ora — endemico al sistema mediatico globale.

L’idea che un organo di Governo — non un Giudice, non un’autorità amministrativa indipendente -, specie in campagna elettorale, si erga a arbitro di ciò che è vero e ciò che non lo è porta inesorabilmente con sé il rischio di abusi e derive o anche — ma tanto è sufficiente a destare preoccupazione — di fastidiosi sospetti di abusi e derive.

Non c’è, naturalmente, ragione per dubitare che le intenzioni del Ministro dell’Interno siano buone e, anzi, che l’iniziativa abbia proprio l’obiettivo opposto: garantire che la cattiva informazione non inquini il gioco democratico specie in un momento tanto delicato per il Paese come la campagna elettorale.

Ed è per questo che resistendo alla facile tentazione di evocare la sospensione e il radicale ripensamento dell’iniziativa, in una logica costruttiva e di dialogo, sembra opportuno provare a mettere in fila qualche principio per scongiurare il rischio che la cura sia peggiore del male che si intenderebbe curare.

1. Pubblicare il “protocollo”

Il titolo del comunicato stampa con il quale si è annunciata l’iniziativa recita: “Protocollo Operativo per il contrasto alla diffusione delle Fake News attraverso il web in occasione della Campagna elettorale per le Elezioni politiche 2018”.

Sin qui, tuttavia, un vero è proprio protocollo non sembra essere stato pubblicato salvo che esso non si esaurisca nelle tre cartelle del medesimo comunicato nel quale si raccontano — in maniera generica — le tre fasi nelle quali si articolerà l’operazione.

Un’iniziativa tanto ambiziosa e che riguarda un tema tanto delicato come la libertà di informazione ha bisogno di essere fondata su un quadro — per quanto essenziale — di regole certe e trasparenti. Sarebbe, dunque, urgente pubblicare sul sito del commissariato online il testo del “protocollo” o, comunque, le regole di processo e di merito alle quali, segnalanti, Polizia, cittadini, giornalisti e editori dovranno attenersi.

2. Iniziativa a termine

Lo stesso comunicato stampa suggerisce che il protocollo operativo abbia per oggetto il contrasto al fenomeno delle fake news “in occasione della Campagna elettorale per le Elezioni politiche 2018”. E’ importante che l’operazione sia, per davvero, a termine e che, dunque, si chiuda il 4 marzo, al termine delle consultazioni elettorali. Siamo, evidentemente, davanti a un’iniziativa in deroga ai principi cui ci si dovrebbe ispirare nel maneggiare un bene tanto prezioso quanto l’informazione e, pertanto, la sua natura temporanea e eccezionale aiuterebbe, anche se in maniera modesta, a renderla democraticamente più digeribile.

3. Circoscrivere l’ambito di applicabilità del protocollo alle sole “notizie”

Non esiste una definizione di “fakenews” e, dunque, parlare di “contrasto al fenomeno delle fakenews” è pericolosamente ambiguo in assenza di un protocollo che perimetri più in dettaglio l’ambito di azione della polizia nello smascheramento delle bufale.

Specie in un contesto come quello elettorale, ad esempio, è fondamentale mantener ben distinto il contenuto di una notizia dal contenuto di una dichiarazione cui fa riferimento la notizia: una cosa è preoccuparsi della veridicità o falsità della notizia secondo la quale un leader politico ha reso una determinata dichiarazione e una cosa diversa è occuparsi anche di stabilire se la dichiarazione in oggetto sia vera o falsa. Il sindacato sull’attendibilità delle dichiarazioni dei politici — e, naturalmente, non solo dei politici — dovrebbe restare estraneo all’operazione. In caso contrario il rischio di strumentalizzazione politica dell’intera iniziativa è davvero enorme.

E sempre a proposito di perimetro dell’iniziativa, considerato l’obiettivo dichiarato — che, forse, ha, almeno in parte, giustificato la partenza affrettata — di proteggere le prossime consultazioni elettorali, varrebbe la pena di circoscrivere l’attività del commissariato online alle sole “fake news” suscettibili di ricaduta politica.

Il rischio che il commissariato anti-fake sia, rapidamente, travolto da una pioggia di segnalazioni su ogni genere di frivolezza in circolazione sul web sarà altrimenti incontenibile.

4. Limitare l’operazione alle sole notizie manifestamente false

Il comunicato stampa identifica l’obiettivo dell’operazione nell’intenzione di mettere a bordo campo “le sole notizie manifestamente infondate e tendenziose, ovvero apertamente diffamatorie”.

La definizione è un po’ zibaldonesca e accosta fattispecie radicalmente diverse.

In realtà — anche a prescindere dai dubbi e le perplessità sin qui avanzate — mentre appare digeribile la circostanza che la polizia bolli come false le notizie che riportano fatti manifestamente non veri non altrettanto può dirsi di un eventuale intervento degli agenti e degli esperti del CNIAPIC in proposito di “notizie tendenziose ovvero apertamente diffamatorie”.

Il carattere tendenzioso di una notizia manca, per definizione, di sicuri criteri oggettivi capaci di guidarne l’accertamento con l’ovvia conseguenza che ogni decisione al riguardo è, per sua natura, opinabile mentre la diffamazione è fattispecie in relazione alla quale l’Ordinamento già appresta rimedi, anche d’urgenza, sia in sede civile che penale con la conseguenza che non vi è spazio per diversi e ulteriori interventi.

Sarebbe, dunque, importante circoscrivere l’operazione al contrasto alle sole notizie manifestamente false.

5. Prove oggettive si, deduzioni no

Il comunicato con il quale è stata presentata l’iniziativa suggerisce che le segnalazioni saranno prese “in carico da un team dedicato di esperti del CNAIPIC che, in tempo reale, 24 ore su 24, effettuerà approfondite analisi, attraverso l’impiego di tecniche e software specifici per l’ OSINT in rete, al fine di individuare la presenza di significativi indicatori che permettano di qualificare, con la massima certezza consentita, la notizia come fake news (presenza di smentite ufficiali, falsità del contenuto già comprovata da fonti obiettive; provenienza della presunta fake da fonti non accreditate o certificate etc.)”.

La “sanzione” comminata alle notizie accertate come “fake” all’esito dell’istruttoria è elevatissima: la notizia è destinata a essere smentita da una fonte istituzionale come il Ministero degli Interni e a poter formare oggetto di richiesta di rimozione al gestore del servizio attraverso la quale è pubblicata.

Per una notizia significa una condanna all’inutilità.

Una condanna tanto pesante pronunciata all’esito di un’istruttoria necessariamente sommaria e al di fuori di qualsiasi “giusto processo” per essere democraticamente digeribile deve, almeno, essere basata su prove oggettive e incontrovertibili.

Le deduzioni legate, ad esempio, alla provenienza della notizia da “fonti non accreditate o certificate” non bastano.

Una notizia vera bollata come fake produce un danno democratico più grave di una notizia falsa lasciata in circolazione e della cui attendibilità si lascia che ciascuno si formi il proprio convincimento o che si occupino media e addetti ai lavori.

6. Notificare la segnalazione all’autore della notizia

Il comunicato che descrive l’operazione non dice nulla circa il coinvolgimento nel procedimento di verifica dell’attendibilità della notizia dell’autore o editore della stessa almeno laddove noto.

E’ una mancanza grave.

Un procedimento come quello di cui si discute che può condurre alla smentita di una notizia non può essere celebrato addirittura senza informarne chi quella notizia ha scritto e/o pubblicato e senza che questi abbia, almeno, la possibilità di difendere la bontà e l’autenticità di quanto ha scritto.

Che accadrebbe qualora in relazione a una notizia che coinvolge due leader politici e diffusa da uno dei due, l’altro smentisse? La notizia potrebbe essere per ciò solo “smentita” anche dal Ministero degli Interni senza neppure una parvenza di contraddittorio?

Non è uno scenario democraticamente sostenibile in un procedimento che è già, sotto troppi profili, in deroga ai principi costituzionali.

7. Inoltrare, per competenza, la segnalazione all’Autorità competente

Le fakenews, spesso — anche se non sempre — attentano a valori e diritti che hanno, per fortuna, già attenti e preziosi custodi nel nostro Ordinamento nelle Autorità amministrative indipendenti le quali, peraltro, dispongono di poteri che consentono loro anche interventi urgenti e cautelari: il Garante per la protezione dei dati personali, l’Autorità Garante per le Comunicazioni, l’Autorità per la concorrenza e il mercato, solo per citare quelle che più di frequente incrociano le rotte delle fakenews; e non sono le sole.

Mentre, a voler esser democraticamente poco sensibili, si può accettare l’idea che la Polizia intervenga laddove nessun altro, almeno nei tempi serratissimi necessari a scongiurare il rischio che una notizia falsa produca danni irreparabili, non si può fare altrettanto laddove la legge già identifica un’Autorità competente a occuparsi della fattispecie, attribuendole i relativi poteri.

Sarebbe, pertanto, opportuno che le regole dell’operazione prevedessero che quando la segnalazione concerna una sospetta fakenews di competenza di un’Autorità amministrativa indipendente, la Polizia si limiti a trasmettere gli atti a quest’ultima.

8. Revisione delle decisioni

L’iniziativa, per il momento — e stando al comunicato che l’annuncia — manca, completamente, di un sistema di revisione delle decisioni eventualmente errate.

E’, al contrario, pacifico che non esistono valutazioni, specie quando adottate in una materia tanto magmatica e incerta come quella delle fakenews, che siano, per davvero, a prova di errore.

Sbagliano i Giudici, sbagliano le Autorità indipendenti e, inesorabilmente, potrà accadere che sbaglierà anche la Polizia — specie in considerazione dei tempi serrati entro i quali sarà chiamata a intervenire — nel bollare una notizia come fake.

E’, dunque, fondamentale e irrinunciabile che il protocollo si arricchisca, sin dall’inizio, di una fase di eventuale revisione della decisione e di un modulo attraverso il quale chiunque — e innanzitutto l’autore della notizia — può contestare la decisione adottata dalla Polizia e fornire elementi utili a rivederla.

Non c’è giudizio senza appello. Non in democrazia.

9. Accettare anche segnalazioni anonime

Il modulo attualmente presente sul sito del commissariato online prevede che il segnalante debba necessariamente lasciare un proprio indirizzo email.

L’identificabilità e raggiungibilità del segnalante, in realtà, per un verso non appare necessario nell’ambito di un procedimento che non mira necessariamente a far valere un diritto dello stesso segnalante e, per altro verso, rischia di rappresentare un limite all’efficacia dell’iniziativa disincentivando chi, magari, a conoscenza della non veridicità di una notizia non voglia o non possa segnalarle la falsità mettendoci la faccia in ragione delle conseguenze che potrebbero derivargli.

Non c’è ragione per chiedere l’indicazione obbligatoria dell’indirizzo email e, forse, non è neppure corretto sotto il profilo della disciplina in materia di trattamento di dati personali.

10. Educare i segnalanti

“C’è più sicurezza insieme”, recita il comunicato stampa dell’iniziativa, sottolineandone il carattere partecipato e il ruolo fondamentale dei lettori online nel segnalare le notizie di dubbia autenticità.

Il vero e il falso in una notizia che rimbalza online — magari attraverso i social network e magari riassunta in una manciata di caratteri — sono concetti spesso sfuggenti persino per gli addetti ai lavori.

E’ importante che siano pubblicati esempi concreti, chiari, incisivi di cosa, nell’ambito dell’operazione, si intenda per fakenews e di cosa non si intenda e, quindi, di ciò che può essere segnalato e di ciò che, invece, non deve esserlo.

Il rischio in assenza di un’adeguata operazione di educazione dei segnalanti è che l’iniziativa naufraghi in una coda infinita di segnalazioni nella quale segnalazioni importanti e segnalazioni pretestuose o, semplicemente, sciocche si confondano in un tutt’uno indistricabile.

Ovviamente dieci regole di buon senso, purtroppo, non bastano per rendere efficace e democraticamente sostenibile un’operazione di contrasto al fenomeno delle fakenews ma, considerato che ormai il treno è partito, vale forse la pena che ciascuno faccia la sua parte per evitare che deragli.

Questo post resta aperto ai commenti di tutti per far diventare le dieci regole venti o, magari, cinque e provare a dare un contributo a un problema che non può che stare a cuore a tutti indistintamente.

Post originariamente pubblicato qui su L’Espresso

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Guido Scorza

Responsabile Affari Regolamentari, Team digitale, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Avvocato, docente di diritto delle nuove tecnologie, giornalista