Apprendere dall’esperienza, suggerimenti per un hackathon

Ilaria Vitellio
8 min readDec 20, 2016

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Sono le 8.00 del mattino in una Milano nebbiosa e fredda. È il weekend prima di Natale, quello generalmente dedicato all’acquisto dei regali. Un gruppo di persone si aggira al Politecnico, inizia l’allestimento di un hackathon volto a risolvere i problemi che generano i cantieri e le trasformazioni urbane nell’uso quotidiano della città attraverso soluzioni che utilizzano open data. L’inizio è programmato per le ore 9.00, ma già alle 8.15 si vedono arrivare giovani visi assonnati coperti da sciarpe, che si trascinano borse, borsoni e scatoloni di varie forme. Li guardiamo perplessi, ma dobbiamo ancora finire: bisogna appendere le indicazioni su dove andare, organizzare le registrazioni, gonfiare i materassi e distribuire i cuscinoni, preparare i tavoli e dotarli di tutti i documenti necessari. Quando finalmente ci fermiamo, ci accorgiamo che in un baleno i tavoli sono stati occupati da pc, thermos, macchinette del caffè e schermi di varie dimensioni (c’è anche una tv collegata ad un portatile).

Era il primo segnale che i partecipanti all’hackathon erano più organizzati di noi e che quello che ci apprestavamo a fare tutti insieme si sarebbe trasformato in una interessante maratona digitale!

Proverò qui a riassumere il percorso di questa esperienza, organizzata in un tempo relativamente ristretto e da attori molto diversi (Università, Istituzioni, Associazioni) impegnati in una coprogettazione mobilitata dallo stesso orizzonte di risultato: non solo rispondere alle sfide poste, ma anche far emergere la domanda di dati aperti in grado di risolvere alcuni problemi urbani. L’intento è qui anche di restituire riferimenti utili a chi si accinge ad organizzare un hackathon con l’intenzione di non sfruttare la creatività e la competenza diffusa per propri fini e di incoraggiare la cultura dell’openness.

Milano@work

Milano@work è l’hackathon organizzato dal Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano con il patrocinio del Comune di Milano e il supporto dell’Associazione onData* nel quadro del progetto europeo OpenForCitizens (www.open4citizens.eu).

Alla maratona, che si è svolta il 17 e 18 dicembre, hanno partecipato 66 giovani (se ne erano iscritti oltre 120 ne dovevamo prendere 60) che si sono organizzati in 11 Team di sviluppo e lavorato per 25 ore consecutive. Continuamente supportati dai mentor di onData, i partecipanti hanno dialogato con funzionari della pubblica amministrazione e cittadini che, sulla base alle sfide poste all’hackathon, esprimevano problemi e suggerimenti. Tre sfide a cui rispondere che articolano problemi relativi ai disagi quotidiani che i cittadini vivono in una “Milano che cambia”.

Sono stati previsti due premi, uno per il miglior concept e l’altro per il prototipo funzionante di una nuova “app” mobile e/o accessibile tramite web.

Al fine di elaborare le soluzioni progettuali, gli 11 Team hanno utilizzato gli Open Data messi a disposizione dal Comune di Milano relativi ai cantieri diffusi in città, all’occupazione del suolo pubblico, ai ponteggi, alle autorizzazioni temporanee e alle pratiche edilizie, oltre che i dati raccolti da terze parti in formato aperto disponibili a livello comunale.

Alla conclusione della maratona di 25 ore, una Giuria composta da Lorenzo Lipparini, Assessore alla partecipazione e Open Data del Comune di Milano, Grazia Concilio del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, Mehdi Ben Taarit dell’impresa danese Dataproces e Bruno Monti, dirigente del Comune di Milano, ed io come vicepresidente dell’associazione onData, ha selezionato i seguenti progetti:

  • Il concept intitolato CantieriMIei del Team Buffet, volto a facilitare l’accessibilità di cittadini e commercianti residenti nelle aree circostanti i cantieri, ai supporti finanziari offerti dal Comune per alleviare il loro disagio;
  • Il prototipo intitolato AvvisaMI del Team MilanoFocus, una soluzione multipiattaforma che propone un insieme di servizi ai cittadini per scoprire, analizzare e segnalare cantieri e trasformazioni territoriali offrendo al tempo stesso ai funzionari pubblici un’opportunità di confronto dell’impatto previsto delle opere con quello percepito dai cittadini.

Una menzione speciale della Giuria è andata al giovanissimo Team Greppi composto di studenti di un istituto tecnico professionale informatico.

Cosa abbiamo appreso

(suggerimenti per un hackathon)

Riconoscere che la partecipazione ha un costo, sempre, anche all’hackathon.

Negli ultimi anni si è diffusa ampiamente la modalità dell’hackathon come evento lampo che in 24 ore è in grado di trovare soluzioni dirompenti a problemi dirimenti attraverso le tecnologie digitali. Nel panorama italiano, ma non solo, il calendario è affollato da questi eventi che, proposti da attori pubblici e privati, mobilitano conoscenze tecnologiche e creatività attorno a sfide più o meno stringenti. Così giovani partecipanti, in genere studenti universitari o neolaureati, si impegnano con tutte le loro forze nella risoluzione della sfida, dedicando tempo, competenze intellettuali e abilità digitali, lungo una maratona che metterà a dura prova anche la loro resistenza fisica. In molte di queste occasioni a tale impegno non corrisponde un riconoscimento economico, ma, nel migliore dei casi, voucher da spendere su qualche piattaforma di e-commerce. La moltiplicazione di eventi così fatti ha visto scivolare l’hackathon verso una modalità semplice di acquisizione di buone idee a costi bassissimi se non nulli, spesso senza ingaggio degli autori a cui viene riconosciuto il diritto intellettuale, ma talvolta non lo sfruttamento dell’opera elaborata. Riconoscere, anche economicamente, il valore dell’opera prodotta rende credibile l’impegno di tutti, di chi organizza e di chi partecipa, afferma la bontà del progetto, accredita le risorse intellettuali impegnate e riabilita l’hackathon come modalità innovativa di ricerca di soluzioni possibili.

In Milano@work i riconoscimenti sono stati 2.000 euro per la soluzione concept e 8.000 per il prototipo, non è molto, ma siamo convinti che la qualità dei partecipanti (altissima) e il loro costante impegno anche notturno (un gruppo era andato via a dormire a casa, ma dopo qualche minuto è tornato a lavorare con noi) sia dovuto anche a questo.

Se nell’hackathon volete competenze, capacità, creatività, impegno, siate disposti a riconoscerle anche economicamente, il tempo è denaro anche per giovani menti.

Utilizzare l’hackathon per fare altro, ad esempio sostenere la trasversalità della cultura openness e della condivisione

Molti hackathon organizzati da e con istituzioni, ma anche da privati, sollecitano l’uso di open data e di software open source. In questi casi l’organizzazione richiede una verifica dei dati aperti e una buona conoscenza dei software disponibili, e dunque la mobilitazione di competenze e attori che presidiano domini molto diversi (funzionari amministrativi, data scientist, informatici, etc.). Accade così, come è accaduto per Milano@work, che la verifica degli open data (operata dai tecnici del Politecnico e dai componenti di onData) comporti una revisione della struttura dei dataset con possibili riflessioni su tutto il processo di filiera di produzione del dato ed eventuali procedure correttive che ne scaturiranno. Ma accade anche che sia la stessa pubblica amministrazione coinvolta (l’Assessore alla partecipazione e Open Data del Comune di Milano) a chiedere espressamente che ogni Team, impegnato nella elaborazione delle soluzioni, indichi gli open data utili già disponibili e quelli da rendere tali, nella consapevolezza che una fertile politica di open data non si basa solo sull’offerta, ma anche e soprattutto sulla domanda, in particolar modo quando si tratta di problemi urbani. Muoversi inoltre dentro le pratiche della cultura openness implica anche promuoverne alcuni suoi fondamenti: ai partecipanti all’hackathon Milano@work è stato chiesto il rilascio del codice sorgente considerato come valore aggiunto di premialità.

Così, sempre dentro la prospettiva descritta, ma anche al fine di stimolare una partecipazione informata, prima dell’evento si sono condivisi con i partecipanti sia le sfide che i dataset di open data utili per risolverle.

L’hackathon, infine, come mi ha ricordato Piero Savastano, è stato anche l’occasione per diffondere presso i partecipanti l’importanza degli open data (di cui molti non ne erano a conoscenza), i quali hanno appreso anche alcuni elementi essenziali dello sviluppo web data driven. Ci viene restituito così il senso delle molte battaglie fatte, come comunità di Spaghetti Open Data a cui molti di noi partecipano, per l’apertura dei dati e la valorizzazione del patrimonio informativo pubblico che qui hanno avuto effetti anche sulla formazione di nuove generazioni di talenti.

L’hackathon può essere un’occasione per promuovere processi innovativi e opportunità di apprendimento reciproco, andando oltre la semplice richiesta di una soluzione al problema.

Sfruttare l’hakathon come luogo di interazione e occasione di investimento reciproco

Quasi tutti gli hackathon prevedono la partecipazione di giovani menti abili nello sviluppo di applicativi IT (creative designer, developer, data analyst, esperti di marketing, etc.) a cui si chiede di utilizzare le tecnologie digitali con creatività ed innovazione a beneficio di determinate persone o di cittadini e rispetto a differenti campi problematici (sanità, ambiente, mobilità, turismo, cultura, etc.). Il più delle volte le sfide sono di ampio respiro, altre più articolate, ma comunque non prevedono la contaminazioni tra saperi e competenze diverse.

Milano@work interviene a valle di un processo di ascolto dei cittadini sulle problematiche relative ai cantieri in città. Un processo attivato dal Politecnico di Milano nell’ambito del progetto europeo OpenForCitizens. Ciò ha permesso non solo di definire le sfide sottoposte ai partecipanti, accompagnate anche da una varietà di bisogni dei cittadini (informazione, partecipazione, monitoraggio, etc.), ma anche l’incontro durante l’evento tra questi, i funzionari amministrativi e gli sviluppatori. L’evento si è trasformato in un campo di incontro, di interazione tra competenze e abilità circoscritte in mondi generalmente lontani, generando condivisione di temi, problemi e opportunità.

Inoltre la dimensione partecipativa assunta durante tutto il processo culminato con l’hackathon ha abilitato un principio di responsabilità reciproca dell’investimento (in termini di tempo, impegno intellettuale, dedizione, etc) da parte di tutti i partecipanti (organizzatori, società civile e team) che si è anche tradotto nel vincolo del premio (gli 8.000 euro) allo sviluppo dell’applicazione funzionante proposta come prototipo entro 60 giorni dall’hackathon, andando oltre così il semplice evento.

Aprire l’hackathon a processi partecipativi densi aiuta a trovare soluzioni più prossime ai bisogni, ma richiede anche l’assunzione di un principio di responsabilità sui processi attivati.

*onData è una Associazione di promozione sociale volta alla diffusione della cultura openness ed è presieduta da Andrea Borruso. I suoi soci hanno partecipato alla progettazione dell’evento, nell’organizzazione complessiva e nella redazione del regolamento, alla sua comunicazione, alla verifica e descrizione degli open data disponibili, alla gestione dell’evento con tutoraggio dei partecipanti e infine al supporto alle procedure di test per il follow-up. I mentor sono stati: Vincenzo Patruno, Alessio Cimarelli, Marco Montanari, Matteo Brunati, Paolo Mainardi, Lorenzo Perone, Piero Savastano, Fabrizio Barbato ed io.

ondata.it

Foto di Lorenzo Perone, Ilaria Vitellio e Fabrizio Barbato.

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