Abbiamo bisogno di civic hacker come il pane

Matteo Tempestini
3 min readNov 17, 2016

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E’ ormai consuetudine del cittadino italiano lamentarsi del governo. C’è tutto un gruppo di personaggi più o meno noti che non fanno altro che spiegarci quanto sarebbero belle le nostre città se fossero diverse da come sono. Anche io l’ho fatto. Sognavo una Prato zeppa di tecnologie, di sensori, di schermi piatti etc….Ero un fanciullo inconsapevole ;-)

C’è un gruppo (devo dire molto numeroso) di persone che crede ancora che a forza di chiedere un cambiamento della pubblica amministrazione prima o poi plasmeremo una pubblica amministrazione “come piace a noi”.

Ci sono molte persone che credono che chiedendo dati aperti alle pubbliche amministrazioni saremo presto inondati di dati aperti.

Tutto questo implica un ruolo piuttosto “passivo” dei cittadini nei confronti del “governo” dove governo per me significa “governance del territorio in senso lato”.

Non credo sia più tempo di questo e per questo.

Noi non possiamo continuare a credere che lamentandoci, denunciando o peggio ancora accusando, la gestione della cosa pubblica diventerà come la vorremmo noi. E non sarà colpa di nessuno se non diventerà “perfetta”. Sarà certo migliorata dove troverà un’amministrazione consapevole della divulgazione delle tecnologie adeguate per gestire al meglio un territorio ma il supporto civico sarà sempre necessario. Perchè? Perchè è insito nell’azione di chi applica la tecnologia all’educazione civica essere rapidi, essere liberi da ogni vincolo burocratico, avere la possibilità di parlare e confrontarsi con chiunque bypassando qualunque processo.

Non facciamo l’errore di credere che in altri stati sia diverso. Negli Stati Uniti si parla esattamente di questo. Anzi, sono i governi che formalmente chiedono un supporto all’attivismo civico e a chi si sente più skillato in tecnologie per proposte concrete di sperimentazione ed integrazione ai servizi esistenti (si badi bene, non per avere servizi e prodotti gratis, ma per partecipazione e impegno civico, è profondamente diverso).

E questa azione di chi si muove all’interno dell’attivismo con una certa serendipity è propria di una figura che si chiama con un nome ben preciso, civic hacker.

Ed è quello di cui abbiamo bisogno come il pane. I civic hacker italiani.

Con TerremotoCentroItalia scopro ad esempio che in Italia ci sono tantissimi programmatori e persone che hanno dimestichezza con le tecnologie che non cercano altro che una causa nobile per cui applicarle per il proprio comune, regione, stato, mondo. Penso siano solo in attesa di qualche seria proposta dove impegnarsi.

Ovviamente lo si può fare dove questa cultura e questo impegno esiste. E in Italia esiste. Non è abbastanza sdoganato ma esiste.

Penso sia necessario sempre di più far emergere questa consapevolezza in modo che sia fortemente contaminante per le azioni di governo.

Mi permettano i sostenitori della trasparenza e dei diritti sugli opendata, ma io non voglio un paese dove i cittadini sono chiamati a chiedere i dati alla pubblica amministrazione per poi dover tristemente scoprire che i processi per produrli ed aggiornarli la pubblica amministrazione non ce li ha. Tanto vale darsi da fare per suggerire i processi e gli strumenti allora.

Io non voglio un paese di persone che sfoggiano le loro abilità da programmatori al di fuori di ogni reale esigenza delle persone. A chi serve?

Io voglio un paese dove chi sa usare le tecnologie mette questo sapere in reale condivisione con le amministrazioni, per le cause umanitarie, per chi si occupa di crisi. E voglio un paese di persone che attivamente si impegnano nel miglioramento delle cose tramite la tecnologia.

Io voglio un paese dove questo supporto diventa un processo continuo di contaminazione tra persone ed il mondo delle amministrazioni e associazioni.

Un processo che non porterà mai ad un governo perfetto, ma sicuramente sempre in continuo miglioramento. E soprattutto qualcosa di veramente partecipato, un paese dove il cittadino che sceglie di dare una mano effettivamente verifica in modo tangibile che può darla subito.

Per fare questo cosa serve? Sicuramente un impegno civico da parte di molti, ma anche moltissima umiltà nelle amministrazioni nell’ascolto di chi ha qualcosa da proporre e sperimentare (e devo dire ultimamente in molti dipendenti delle PA ho trovato questa umiltà nei miei confronti).

Poi iniziamo intanto a contarci su Github e su Facebook. E più specificatamente per i civic hackers di supporto alle emergenze in un gruppo Github chiamato EmergenzeHack e diamoci degli strumenti utili a tutti.

E vediamo cosa ne esce, l’idea l’ho chiamata HackForItaly.

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