Quello che mi aspetto dalla politica

In un paese partitocratico quello che sarebbe giusto presentare ai cittadini come proposta politica “innovativa”

Matteo Tempestini
5 min readApr 18, 2017

Da cittadino italiano non partecipo attivamente a nessun partito politico, ma sono molto interessato alla vita politica del mio paese, dell’Europa e del mondo. Contrariamente a molti miei coetanei e col mio titolo di studio, io seguo il panorama politico italiano da almeno 18 anni (da quando ho iniziato a votare). Mi piace documentarmi, capire come la politica evolve, cercare anche di interpretarne le strategie, se pure da spettatore “esterno”. E’ bene quindi premettere che io non sono quindi uno di quelli che “sono tutti uguali” oppure di quelli che “non mi riguarda”: tutto quello che viene deciso dai governi (locali o centrali) nel nostro paese ci riguarda e la politica, se è vero che influenza i governi, allora ci riguarda. E paradossalmente più un cittadino è esterno alla politica più dovrebbe seguirla da vicino. Non perchè debba necessariamente “tesserarsi” o partecipare alle riunioni di partito, quanto perchè è bene in ogni caso farsi un’opinione e soprattutto è bene iniziare a dire quell’opinione se la si ritiene importante, non per compiacere una bandiera o un simbolo ma per confrontarsi con gli altri e discutere.

Nell’era delle Stories in 30 secondi, delle frasi ad effetto, delle GIF animate, delle emoticon e dei tweet a 140 caratteri si è infatti perso il piacere ed il gusto di discutere. Non solo di persona, ma anche online. I politici che si confrontano online ormai sono rari casi e danno per scontato che se cerchi confronto online lo fai solo per polemizzare, proprio perchè la cittadinanza non sa ancora usare il web per il dibattito. Si è persa completamente di vista la grande possibilità di confronto che oggi è abilitato delle tecnologie, una possibilità che fino a 10 anni fa era impossibile e dall’altra parte non si capisce che chi si confronta non è solo un TROLL ma può essere qualcuno che vuole confrontarsi.

Ma il web abilita molto altro, non solo un semplice “feedback” assimilabile ad una situazione “domanda-risposta”. Il web è abilitante per persone che vogliono realmente contribuire alla discussione su grandi temi riguardanti le politiche dei nostri territori. E che i governi lo vogliano o no è già nei fatti così. Anche in Italia. Si pensi a quanto accaduto per i Foo Fighters a Cesena per un semplice concerto, si pensi a quanto accade con Albo POP, progetto nato per la divulgazione delle notizie degli Albi Pretori Italiani. Si vada a vedere cosa accade per il progetto TerremotoCentroItalia nato per il coordinamento delle informazioni sul Terremoto italiano avvenuto tra il 2016 e il 2017.

Quando è nato il Movimeno 5 Stelle ho avuto come altri la grande illusione che effettivamente la politica italiana volesse rimettere in discussione un metodo che per anni era stato presentato come il migliore: la rappresentanza degli interessi degli elettori. Un metodo che in questo periodo storico non è più adeguato. Il motivo è semplice: l’elettore non si accontenta più di votare, vuole e può fare molto di più. Vuol dire la sua e vuole un pubblico che possa confrontarsi con lui su un certo tema che a lui sta a cuore.

E quel dire la sua opinione può significare contribuire alla vita politica del suo paese, può significare partecipare alla discussione pubblica, può voler dire anche solo dedicare 10 minuti del suo tempo alla “cosa pubblica”.

Molto presto però io (e anche molti altri) ci siamo resi conto che il modello proposto da Beppe Grillo trovava nel suo punto di forza il suo più grande limite ossia l’impossibilità di decidere quando “tutto è delegato a tutti”. Questo è secondo me il motivo per cui laddove i governi M5S sono chiamati a governare vanno incontro alle loro più paradossali contraddizioni, perchè chi fa politica può farla prodigando un metodo, chi governa è chiamato a decidere anche dove quel metodo non è radicato e non funziona.

Mi sorprende come altri partiti italiani non abbiano approfittato di questa grande sconfitta metodologica del M5S. Sarebbe bastato pochissimo per aprire seriamente al cambiamento anziché gridare al populismo restando fermi su posizioni più tradizionali. Sarebbe bastato dire:

“Ok, c’è un movimento che raccoglie consenso che apre alla partecipazione dei cittadini e non riesce a gestire questa partecipazione perché non la coordina, OK, creiamo qualcosa di analogo ma di coordinato e di veramente gestito.”

Sarebbe bastato usare gli attuali partiti come “contenitori” di qualcosa di molto più potente che facesse della rappresentanza un punto di forza ma la unisse alla partecipazione dove e quando possibile.

I partiti hanno scelto invece di andare verso le “pagine Facebook sponsorizzate”, verso i tweet propagandistici, verso le APP di partito. La politica ha scelto cioè di trasporre sè stessa in un mondo dominato dalle tecnologie ed i cittadini come me hanno quindi visto una politica che ha vissuto l’avvento delle tecnologie subendo il cambiamento anziché dominarlo a proprio favore. Quasi come se qualcuno avesse sparso in giro la voce che “stare su Facebook è bene”. Non posso quindi accettare l’idea di una “app di propaganda di partito” o peggio ancora di un candidato, anche se è mascherata da “innovativo social network”. Addirittura sento parlare di hashtag da divulgare per essere poi «ricondivisi» nella App del leader di turno. No, per favore, così no. Mi aspetto molto di più. Questa strada rappresenta non solo una scelta autoreferenziale (che io da esterno quindi non seguo) ma anche una scelta tutta basata sulla “forma” piuttosto che sul veicolare contenuti.

E’ evidente che il futuro della politica italiana si giochi sui metodi di contributo dal basso e non su un’ideologia definita da qualche rappresentante di partito. E’ evidente che o si lavora per avere contributi e idee alla base oppure si sceglie di stare in disparte. E lavorare alla base significa forse rimettere in discussione il metodo tradizionale di raccogliere consenso. Perchè, ci piaccia o no, io come altri abbiamo poco tempo di trovarsi nei circoli di partito per dire la nostra ma la diciamo tutti i giorni su Facebook, Twitter, Medium e altri luoghi dive invece riusciamo a stare. Vogliamo, per tutelare chi giustamente si trova nei circoli, evitare quanti sanno discutere in modo costruttivo online? E gli altri che potrebbero esprimersi online? Credo questa strada sia un giusto modo di abituare ed insegnare ai cittadini a contribuire alla vita del proprio paese esprimendosi e non nascondendosi. Questo non toglie assolutamente niente alla “rappresentatività della politica” che resta possibile laddove il cittadino senta la necessità di delegare e resta fondamentale per il “coordinamento” del progetto politico.

Questo non toglie nemmeno niente alle ideologie politiche tradizionali che come tali possono essere, anzi, maggiormente discusse ed ampliate se trovano consenso e idee valide.

Si tratta però di rimettere in discussione i metodi tradizionali, perchè è dai metodi che occorre secondo me partire per aprire a quel confronto con la cittadinanza. Come? Approfondendo le esperienze fatte da altri nel resto del mondo, valutando metodologie come la democrazia liquida (che non è quella diretta). Questo vuol dire analizzare cosa è Liquid Feedback e come viene impiegato ad esempio. Questo vuol dire riflettere su cosa sia la BlockChain e come possa essere impiegata per scopi civici. Questo vuol dire fare atti politici di coraggio: aprirsi significa rischiare di ricevere critiche visibili ad altri e quindi essere soggetti a discussioni. E’ quindi sicuramente una strada più complessa da percorrere…

…Ma è questa la democrazia o no? E’ questa la trasparenza, o no? E’ questa la partecipazione o no?

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