Lavoro post-Covid: i Comuni la chiave per la ripresa
Il ruolo degli enti locali nel trasformare l’emergenza Covid in opportunità ed evitare deterioramenti strutturali nel mercato del lavoro
di federico bruni *
Già prima dell’emergenza Covid, l’asimmetria tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori limitava il potenziale di crescita del Paese. Vista la portata dell’impatto che la recessione del 2020 avrà sul mercato del lavoro, e la rapidità con la quale andrà arginata, gli enti locali avranno un ruolo importante nell’aiutare le imprese a ripartire. In questo senso sarà fondamentale: (i) supportare imprese e lavoratori nello sviluppare le competenze necessarie attraverso corsi di formazione, iniziative di connessione tra domanda ed offerta di lavoro e reti di condivisione tra piccole imprese; (ii) identificare le opportunità create dall’emergenza in termini di profili e competenze; (iii) riconoscere che le competenze necessarie alla ripresa potrebbero non essere le stesse dell’era pre-Covid; (iv) disegnare, calibrare ed implementare queste attività sulla base di informazioni quantitative e qualitative; (v) coordinarsi con tutti gli stakeholders al fine di minimizzare la duplicazione di iniziative e massimizzare l’impatto di questi interventi.
Il mercato del lavoro italiano mostrava criticità e significative asimmetrie di competenze già prima dell’emergenza Covid-19
Il 9 marzo, poche ore prima che venissero approvate le prime misure di contenimento dell’epidemia su larga scala, l’ISTAT pubblicava il rapporto annuale sul mercato del lavoro nel 2019. Nonostante i livelli di occupazione avessero raggiunto i massimi storici a metà anno, gli ampiamente noti problemi strutturali del mercato del lavoro italiano erano deteriorati ulteriormente già prima della pandemia[1].
Uno dei temi più citati da analisti e commentatori è l’asimmetria tra le competenze richieste dalle imprese e quelle offerte dai lavoratori (skills mismatch). Non solo molti italiani non trovano lavoro: coloro che lo trovano, spesso non ricoprono incarichi in linea con le proprie competenze o ambizioni. Questo non rappresenta un problema soltanto per i salari e la soddisfazione personale dei soggetti coinvolti. L’asimmetria di competenze è una delle fonti principali del nostro ritardo in termini di produttività del lavoro e potenziale di crescita rispetto ad altri paesi.
I dati OCSE [2] per il 2016 (riassunti in Figura 1) classificano l’Italia tra i paesi in cui questa asimmetria è più pronunciata, e indicano che circa due quinti della forza lavoro si dichiara sovra-qualificata o sotto-qualificata in rapporto al ruolo svolto. Allo stesso modo, una più recente informativa ISTAT sul 2019 ha misurato un notevole aumento dei posti vacanti in Italia dal 2016, con un incremento più marcato nelle micro-imprese (meno di 10 dipendenti) e nei servizi (ristorazione e istruzione in particolare).
Figura 1: Dati OCSE sulle asimmetrie di competenze (2016)
Da un punto di vista più aneddotico, ANPAL/Excelsior[3] hanno stimato che un terzo del mezzo milione di posti lavoro disponibili a gennaio 2020 ha avuto difficoltà ad essere “coperto”. Queste difficoltà sembrano essere in parte causate dalla mancanza di candidati (15,7% dei posti disponibili) ed in parte dalla scarsa preparazione dei candidati (13,8%). A gennaio 2020, queste asimmetrie erano più marcate nelle province del Nord-est dove mancavano figure tecnico-industriali, ma anche a Bari, Napoli e Palermo, dove le imprese riportavano difficoltà ad assumere cuochi, camerieri e camionisti.
Nei prossimi mesi sarà cruciale evitare deterioramenti permanenti nel mercato del lavoro
Nel primo mese di “lockdown” (marzo), il numero di occupati è rimasto relativamente stabile. Tuttavia, in un solo mese, il numero di coloro che non lavorano né cercano un lavoro, è aumentato di 300 mila unità: un aumento mai visto nella storia recente. A causa delle difficoltà nel raccogliere dati in questo periodo, stime regionali e settoriali non sono disponibili. Tuttavia, l’intuizione ed i primi dati raccolti sul prodotto interno lordo suggeriscono che il commercio non alimentare, il turismo, l’intrattenimento, la ristorazione e il trasporto privato siano i settori più colpiti in questi mesi.
A livello macroeconomico, le priorità di breve periodo sono evidenti: limitare la diffusione del virus, garantire la sicurezza dei lavoratori e mantenere un livello sufficiente di liquidità per imprese e famiglie. Tuttavia, questi primi dati sull’occupazione sottolineano l’importanza di impedire che questi temporanei ma radicali variazioni nel mercato del lavoro si traducano in cambiamenti strutturali nella nostra economia.
È fondamentale che coloro che hanno perso il lavoro, e/o hanno smesso di cercarlo, tornino a lavorare o a cercare attivamente un posto. Un fallimento in questo senso non diminuirebbe soltanto i salari e la domanda interna nel breve periodo. Rischierebbe soprattutto di compromettere ulteriormente il potenziale di crescita del Paese nel lungo periodo.
La pandemia e le connesse misure di contenimento potrebbero cambiare la natura dell’asimmetria di competenze sofferta da alcuni settori
La grande recessione ci ha insegnato l’importanza di preservare il capitale umano accumulato all’interno di aziende e settori. Se le conoscenze, le abilità e le competenze sviluppate dai lavoratori di un’impresa o di un settore specifico sono immediatamente disponibili alla fine della crisi, la ripresa può essere rapida e robusta. Se queste si disperdono in altri settori o nell’inattività, tornare a livelli pre-crisi diventa molto più difficile.
Tuttavia, questa recessione è differente. La pandemia e le connesse misure di contenimento (più o meno rigide) potrebbero accompagnarci per mesi, se non anni. Inoltre, queste settimane di confinamento forzato potrebbero cambiare, in modo più o meno permanente, abitudini, bisogni, aspettative e comportamenti di consumatori e lavoratori.
Negli ultimi mesi, molti hanno rivendicato la necessità di usare questa crisi come un’opportunità per ricalibrare alcuni aspetti disfunzionali della nostra economia che sarebbe stato difficile modificare in condizioni normali. Rendere trasporti, agricoltura e manifattura più sostenibili dal punto di vista ambientale. Incrementare la digitalizzazione di molti settori, per sfruttare il potenziale dei dati generati da aziende e consumatori e promuovere il lavoro agile. Ridurre l’esposizione globale delle filiere, al fine di aumentarne la resilienza in situazioni simili a quella che stiamo vivendo. Estendere i diritti a tutte le forme di lavoro e di cittadinanza, affinché tutti siano protetti allo stesso modo dai rischi del nostro tempo. Ricalibrare il turismo, il commercio e la cultura sulla qualità piuttosto che la quantità. Se queste ambizioni in chiave verde, digitale e sociale dovessero tradursi in realtà, sarà fondamentale sviluppare nuove competenze trasversali in questi ambiti.
In sintesi, come proposto da molti economisti, politici, giornalisti e policymakers, occorre supportare il mercato del lavoro non soltanto con liquidità ed ammortizzatori sociali ma anche e soprattutto con interventi mirati a fornire alle aziende le competenze di cui necessitano per ripartire e farlo al massimo del proprio potenziale: ridurre le asimmetrie che già affliggevano il mercato del lavoro pre-crisi ed essere particolarmente reattivi nel risolvere le nuove asimmetrie causate dalla crisi stessa.
Gli enti locali avranno un ruolo importante nel raggiungere questi obiettivi
In Italia, le politiche occupazionali attive sono gestite principalmente a livello regionale[4] e coordinate a livello nazionale, dove vengono definiti livelli essenziali delle prestazioni e allocati i finanziamenti necessari. In alcuni casi, le amministrazioni comunali più grandi (per esempio Milano e Bologna) sviluppano iniziative complementari collegate alle esigenze specifiche dei loro territori. Allo stesso modo, vi sono esempi di comuni di piccole e medie dimensioni che hanno coordinato e sviluppato politiche attive di respiro prettamente locale in concertazione con ANPAL, la regione ed i centri per l’impiego. I piani locali per il lavoro promossi da 14 partenariati locali in Calabria sono un esempio interessante in questo senso, così come l’importante ruolo attribuito alle amministrazioni comunali dalla legislazione che regolamenta i patti per l’inclusione sociale promossi dal ministero del Lavoro.
Nei prossimi mesi, i deterioramenti occupazionali nei settori e nelle regioni più colpite potrebbero raggiungere una scala senza precedenti nella storia recente. Allo stesso tempo, il governo nazionale, che pure sta mobilitando risorse anch’esse senza precedenti, dovrà intervenire in maniera incredibilmente fluida. La dimensione del problema e la rapidità con la quale andrà affrontato sottolineano l’importanza che amministrazioni regionali e comunali avranno, a fianco delle istituzioni nazionali, nel supportare le aziende a ripartire.
In particolare, visto che molti dei settori più colpiti saranno fortemente radicati a livello locale (ad esempio commercio non alimentare, turismo, ristorazione), gli enti locali avranno maggiore visibilità sulle competenze di cui le imprese che operano nei loro territori avranno bisogno. Allo stesso modo, se le ambizioni verdi, digitali, sociali e sostenibili della ripresa si materializzeranno, esse avranno una forte connotazione locale.
Cinque principi guida per massimizzare l’impatto delle politiche attive a livello locale
Intervenire su problematiche così radicate nella struttura dell’economia italiana richiederà sicuramente tempo ed alcune asimmetrie di competenze sono causate da distorsioni salariali o di cuneo fiscale su cui gli enti locali hanno poco margine di manovra. Inoltre, la natura degli interventi che gli enti locali potranno implementare dipenderà ovviamente dalle responsabilità e dai finanziamenti che il governo centrale deciderà di delegare e dedicare a questo scopo. Ad ogni modo, si possono identificare alcuni principi guida per gli enti locali che si muoveranno in questo spazio, sviluppati attorno a due domande fondamentali:
COSA FARE?
1. Attività di formazione commissionata ad enti terzi accreditati e convenzionati: regioni, provincie autonome, grandi comuni e città metropolitane hanno già esperienza in questo. Il voucher “just in time” promosso da Regione Toscana e le attività dell’ENAIP Veneto ne rappresentano due esempi di successo.
2. Attività di formazione fornita direttamente dagli enti locali: nel settore pubblico vi sono esperienze, conoscenze e competenze che, se messe a disposizione al di fuori di tale ambito, possono stimolare innovazione nei settori più colpiti dalla crisi. Per esempio, seminari tenuti da chi si occupa quotidianamente di sanità pubblica o di sicurezza sul lavoro[5], nei comuni e nelle ASL, potrebbero trasformarsi per lavoratori e piccoli imprenditori in opportunità di formazione ed innovazione in senso verde, digitale e sostenibile.
3. Connessione tra domanda e offerta di lavoro su base locale: il contesto nazionale è relativamente saturo di piattaforme online, sia private (e.g. LinkedIn) che istituzionali (e.g. centri per l’impiego). Tuttavia queste possono essere integrate da iniziative online ed offline su base locale o micro-settoriale. Inoltre, queste piattaforme contengono una sterminata quantità di dati ed informazioni che, attraverso partnerships locali e nel rispetto della normativa sulla privacy, potrebbero supportare il processo di identificazione dei profili e delle competenze di cui le imprese avranno bisogno.
4. Network tra imprese locali: una formula testata da decenni per imprese medie e grandi nella manifattura e nei servizi, ma non particolarmente sviluppata nel commercio locale, nella ristorazione e nel turismo. Gli enti locali potrebbero creare spazi fisici e virtuali per condividere storie di successo, innovazioni più o meno grandi, discutere buone pratiche e diffondere conoscenze e competenze sviluppate nello stesso territorio.
COME FARLO?
5. Identificare le opportunità generate dalla pandemia e dalle misure di contenimento. Ad esempio, nei prossimi mesi e probabilmente anni, saranno necessari molti profili con competenze nell’ambito della sicurezza sul lavoro, per allineare le attività produttive e commerciali con le misure di sanità pubblica. Allo stesso modo, i servizi sanitari e di assistenza della persona (degli anziani in particolare) genereranno una domanda di forza lavoro ancor più marcata rispetto a quella già prevista per il rapido invecchiamento della popolazione italiana.
6. Riconoscere che le competenze necessarie a ripartire potrebbero non essere le stesse dell’era “pre-Covid”. Bar e ristoranti che, in certe provincie (come Trieste, Perugia, Palermo e Bari), segnalavano la mancanza di cuochi e camerieri già a gennaio potrebbero necessitare di nuove competenze (e-commerce, sviluppo di app, fattorini) per affiancare nuovi modelli di business a quelli tradizionali. Analogamente, i settori che ad inizio anno si trovavano in difficoltà nell’assumere tecnici commerciali potrebbero aver bisogno di competenze relazionali più dinamiche, trasversali e digitalizzate per seguire i propri clienti in condizioni di confinamento più o meno rigido.
7. Disegnare, calibrare ed implementare queste attività sulla base di evidenza empirica di tipo quantitativo e qualitativo: le due fonti principali di dati numerici in termini di asimmetria di competenze sono le già citate pubblicazioni ISTAT (che dovrebbero tornare presto a presentare dati a livello regionale e settoriale) e ANPAL/Excelsior. Queste informazioni quantitative dovranno necessariamente essere completate da narrative qualitative raccolte sul territorio attraverso un dialogo regolare, trasparente e rigoroso con imprese, lavoratori ed organizzazioni di settore. La consultazione sul telelavoro avviata di recente da Regione Lombardia è un buon esempio di come tale dialogo può essere avviato.
8. Coordinarsi con tutti i soggetti coinvolti (stakeholders): come detto, in questa emergenza la rapidità di intervento è fondamentale. Tuttavia, è altrettanto importante assicurarsi che questi interventi siano coordinati a livello istituzionale (alla luce dei vari enti che possono intervenire nello stesso ambito), commerciale (nel contesto di un dialogo regolare e trasparente sulle asimmetrie di competenze a cui dare priorità) e delle parti sociali (la cui resistenza renderebbe questi interventi meno efficaci). In questo processo, sarà importante trovare un equilibrio tra rapidità e bilanciamento di interessi, così come minimizzare la duplicazione di attività similari tra diverse organizzazioni.
[1] Nel corso del 2019, l’Italia è rimasto il paese europeo con il più basso tasso di occupazione dopo la Grecia. I divari generazionali a favore della classe di età più adulta hanno continuato ad ampliarsi. I divari di genere sono rimasti elevati e l’asimmetria tra Nord e Sud è aumentata con un calo di 27 mila posti di lavoro nel Mezzogiorno, a fronte di un aumento di 112 mila nel Centro-Nord.
[2] È importante sottolineare che questi dati sono basati su sondaggi effettuati su un campione rappresentativo di lavoratori in ogni paese. Di conseguenza l’asimmetria di competenze è misurata come percentuale di forza lavoro che autodichiara di svolgere un ruolo non in linea con la disciplina in cui si è specializzata o per cui è sovraqualificata o sottoqualificata rispetto alle competenze richieste dal ruolo.
[3] Questi dati vengono periodicamente analizzati in un formato facilmente accessibile dal centro studi della CGIA di Mestre
[4] Tramite le Agenzie Regionali o attraverso modelli di governance basati su una rete di soggetti accreditati
[5] E ancora legislazione ambientale, regolamentazione degli esercizi commerciali e degli spazi pubblici, edilizia residenziale, commerciale e sociale.
* Federico Bruni è un economista specializzato in politiche sociali e sanitarie. Scrive qui in veste personale, come contributo esterno al CBLab