La creatività è tutto. Ma il mio tema all’esame sarà in bianco e nero.

Barillà Giorgio
10 min readMay 4, 2017

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In terza media ho iniziato a manifestare a tutti il mio interesse nel mondo digitale. I miei professori hanno colto la palla al balzo per consigliarmi di iscrivermi a un istituto tecnico industriale per studiare informatica e programmazione. Lo feci.

Alla fine del secondo anno di scuola superiore, l’unica materia insufficiente che avevo era proprio informatica. Decisi di cambiare totalmente e spostarmi in un altro settore che ho imparato ad apprezzare nel biennio: la chimica.

Il corso dedicato alla chimica nella mia scuola si chiama “Biotecnologie ambientali” e riguarda tutte le materie che interessano l’ambiente.

Ora sono in quinta e dopo tre anni di frequentazione non mi potrebbe interessare di meno delle biotecnologie ambientali — o almeno, non mi potrebbe interessare di meno di studiarle a scuola.

A questo punto però sorge un dubbio.

Ma ce l’avrò io un interesse?

Ero “destinato” all’informatica ma ho dimostrato di essere un pessimo programmatore. Ero interessato alla chimica ma nel tempo ho imparato quanto non fosse neanche questa la mia materia accademica ideale. E allora… qual è la materia per me?

Qual è il mio posto all’interno della scuola?

Una risposta a questa domanda io l’ho trovata. Ed è una risposta piuttosto accusatoria. Però non mi sento né immaturo né inopportuno ad analizzarla in questo articolo, per cui ho deciso di farlo.

So che molte persone saranno in disaccordo con quello che dirò, e va benissimo così, ma mi piacerebbe che questa riflessione arrivasse comunque a chi non la condivide in pieno.

È la scuola il problema

La scuola è un classico modello industriale di un centinaio di anni fa. Tutti in fila, seguendo logiche precise, alla ricerca dell’automazione dell’individuo e della conformazione ad una norma precisa che determina l’intelligenza.

E nel periodo in cui è nata, la scuola doveva essere questo. Funzionava benissimo e faceva quello che doveva fare: toglieva l’ottica individuale e la creatività per dedicarsi alle attività più utili al lavoro in fabbrica o in ambienti similari.

Il problema è che nel mentre ci siamo evoluti.

Ora non abbiamo più bisogno di essere automi, perché gli automi esistono e sono fatti di metallo — non di pelle umana.

Ma allora perché i sistemi educativi non si sono evoluti?

Perché la scuola rimane un posto in cui rinunciare alla propria individualità, alla propria creatività, e dedicarsi ad attività noiose che non ci formano ma anzi, di fatto, ci fanno solo perdere tempo?

Alcuni Paesi hanno fatto molti passi avanti a riguardo, non fraintendermi.

La Finlandia, ad esempio, ha un tasso di abbandono scolastico bassissimo. Questo perché gli studenti lì non vedono la scuola come un enorme blocco di mattoni dove annoiarsi per 6 ore al giorno, ma come un’opportunità formativa efficiente per loro e per il loro futuro.

Come ci riescono? Riformando.

Riformando in base al tempo in cui ci troviamo.

Perché se continui a fare la stessa cosa nel tempo mentre tutto il mondo cambia, non puoi che aspettarti che quel qualcosa che continui a fare nel vecchio modo fallisca. Soprattutto se quel qualcosa che continui a fare riguarda tutta la popolazione e non solo una nicchia di persone.

Infatti facciamo una cosa: torniamo all’Italia.

Cosa succede qui?

Il contrario di ciò che accade in Finlandia.

Gli studenti vedono la scuola come un ostacolo e non come un’opportunità. I banchi di scuola sono dei cuscini di legno, le uscite scolastiche sono pari a zero così come il contatto con il mondo esterno, le interazioni sociali sono inesistenti. Addirittura nelle classi si inneggia alla socializzazione ma, mi raccomando, stando totalmente in silenzio perché “serve rispetto”.

E la colpa non è dei professori.

O meglio, a volte lo è, ma il loro comportamento è comunque succube al sistema che abbiamo creato. Infatti, nel nostro Paese, i professori hanno un riconoscimento infimo — l’esatto contrario di quello che avviene in Finlandia dove sono riconosciuti con un alto status social e ricompensati di conseguenza.

A riguardo, Ken Robinson ha scritto delle frasi stupende sottolineando come nessuna scuola sia meglio dei professori che ci insegnano al suo interno.

Il ruolo del professore

Citando lo stesso Robinson,

“Se gli studenti non imparano, non c’è istruzione. La chiarezza degli obiettivi è essenziale”

Se infatti in Finlandia i professori sono spronati a fare del loro meglio sia per il livello sociale conferitogli che per lo stipendio a fine mese, qui la situazione è molto diversa e i professori nel corso del tempo paiono dimenticarsi della loro importanza cruciale a scuola.

Il ruolo del professore infatti non è quello di sputare informazioni su un argomento per un’ora, ma essere certo di creare un ambiente favorevole all’educazione e all’apprendimento di ogni singolo studente.

Il principale obiettivo della scuola infatti non è fornire allo studente un set di capacità standard, quanto dare allo studente o alla studentessa la possibilità di esprimere le proprie capacità su un terreno florido di opportunità. Successivamente, come ogni studio pedagogico al mondo dimostrerebbe in due secondi, l’ambiente così costituito (di accoglienza e ascolto), favorirebbe l’apprendimento di cui la scuola dovrebbe farsi portavoce.

Usciamo però dall’utopia, e torniamo alla nostra scuola.

Quella di tutti i giorni.

E anzi, andiamo più sul personale. Parliamo della mia scuola.

Io ogni giorno sto 6 ore in classe con dei professori che sono convinti di star insegnando, quando in realtà stanno solo parlando a loro stessi.

Perché, è opportuno ripeterlo, se stai parlando ma nessuno sta capendo, non stai insegnando ma sputando parole nell’aria.

In queste 6 ore io mi mordo le unghie, arrotolo i capelli, dormo un pochettino sul banco, fisso il vuoto aspettando che l’ora finisca e ogni tanto mi metto un libro davanti. Insomma, uno studente modello, vero?

Peccato che poi io torno a casa. Esco da quella grande cella che è la scuola per me in questo momento e torno a casa.

A casa io studio tantissimo. Mi informo ogni giorno sulle nuove tecnologie, anche per l’apprendimento. Studio corsi su Udemy e Skillshare. Creo corsi, presentazioni e progetti sul Web (come ad esempio il mio portale sul guadagno alternativo).

Insomma, a casa ho sempre qualcosa da fare e lo faccio con i miei mezzi e con gli strumenti che ho a disposizione. Quelli del Mondo reale.

Penso che questo sia un fattore essenziale che ogni prof deve comprendere: la mia realtà quotidiana è diversa dalla sua. E questo è un fatto che non si può cambiare e che non deve essere demonizzato.

Io uso il cellulare ogni giorno. Perché al posto di demonizzarlo come strumento in sé non provi a capire a cosa serve e a trovare un modo per sfruttarlo a vantaggio dell’educazione?

Io uso il computer ogni giorno. Perché al posto di dirmi di staccarmi un po’ e scrivere su un foglio di carta non provi a far spuntare la mia individualità e creatività spontanea nell’utilizzarlo?

Penso che il vero ruolo di un professore sia capire i bisogni della sua classe di studenti e spronare ad utilizzare i mezzi individuali più efficaci per raggiungere un obiettivo comune: l’apprendimento.

E mai come ora riesco a comprendere come sia stata la mancanza di questi elementi a conseguire il mio distacco completo dalla scuola.

Il Flipped Learning

Alcuni professori, però, si sono ribellati a questo.

Perché non si risolve tutto pensando che il mondo faccia schifo e tutti si uniformino a qualcosa di così insensato.

Infatti, non tutti i professori obbligano i loro alunni a fare le cose come vogliono loro o come una regola ha imposto.

Alcuni professori hanno deciso di lasciare agli alunni la possibilità di utilizzare le nuove tecnologie per imparare meglio un argomento, esporlo meglio alla classe o prepararsi meglio per un esame.

Questi professori credono nel “Flipped Learning”, ovvero nell’apprendimento capovolto.

L’apprendimento capovolto implica che gli studenti si immergano completamente nello studio, attraverso i metodi e gli strumenti più comodi e divertenti per loro, e apprendano. Dopo di che, l’insegnante si integra come consulente personale di ogni studente, pronto a rispondere alle domande e vivere insieme agli studenti l’esperienza dell’apprendimento.

Quest’ottica è totalmente diversa da quella che conosciamo oggi.

Nel Flipped Learning l’insegnante diventa educatore a tutti gli effetti e svolge un ruolo da moderatore, lasciando agli studenti molto più spazio per condividere passioni, esperienze e competenze.

Questo rappresenta secondo me un enorme passo avanti nell’evoluzione del sistema educativo, in quanto ha due punti stupendi:

  1. È attuabile da subito. Niente vieta ad un insegnante di far svolgere compiti in modo alternativo e suggerire metodi di studi personalizzati ed individuali. Per “capovolgere una classe” non è necessario un cambio istituzionale del modello scolastico, ma solo la volontà da parte dell’insegnante di prendere il rischio e innovare il proprio metodo educativo per renderlo più accogliente.
  2. Rende gli studenti parte attiva della scuola. In questo momento, gli studenti sono ascoltatori passivi in classe. Attraverso l’apprendimento capovolto ogni studente diventa centro di idee creative che può sprigionare come vuole, e questo non sacrifica l’apprendimento accademico tradizionale che verrebbe comunque valutato dall’insegnante.

Trovo che il flipped learning sia uno dei grandi passi di cui il nostro sistema educativo ha bisogno.

I passi successivi potrebbero avvicinarsi di più ad alcuni modelli scolastici Americani (purtroppo, causa fondi, privati), in cui si da agli studenti la reale possibilità di organizzare il proprio istituto come direttori e non solo come membri attivi di una comunità.

Ma parliamo un attimo del mio tema in bianco e nero

Lo storytelling digitale (narrazione di una storia attraverso nuove tecnologie) è il mio pane quotidiano.

Fare un tema su un foglio a righe con una penna nera no.

Lo so qual è l’obiezione: è un punto di partenza che insegna come creare dei contenuti utilizzabili poi con altre tecniche. Ed è vero.

Tuttavia, a quella logica manca sempre un punto: il tempo.

Io a scuola sto perdendo una quantità infinita di tempo. Negli ultimi anni di superiori, sono stato seduto su un banco disconnesso dalla mia realtà a casa per oltre 4500 ore.

4500 ore è il tempo necessario per certificarsi con 20 diplomi Universitari (accreditati ufficialmente) su Coursera.

In queste 4500 ore, ne ho scritti tanti di temi. Sempre con la tipica penna nera e il foglio a righe rigorosamente a margine largo.

A breve, avrò l’esame. Per l’occasione, dato che sceglierò il tema argomentativo, ho chiesto al mio professore di italiano se avrei potuto usare il computer. Dato che questo è concesso solo agli studenti con disturbi nell’apprendimento, mi è stato detto di no.

E questo mi ha fatto riflettere molto.

Inoltre, oggi ho scoperto Paint 3D, uno strumento per creare oggetti in tre dimensioni per poi stamparli con la stampante apposita.

E mi sono chiesto: ma quante risorse stiamo buttando via?

Quanta creatività stiamo buttando via?

È pieno di aziende là fuori che regalano i propri strumenti agli studenti, per farli creare e imparare di più. Ci sono una quantità innumerevole di opportunità nel mondo digitale e fisico per apprendere più in fretta, meglio e con un senso di comunità maggiore.

E con tutto questo là fuori… con tutte queste risorse umane… io devo scrivere un tema in bianco e nero?

Ma siamo seri? Ma perché?

Perché devo conformarmi a uno strumento che ritengo noioso e contro producente per creare un qualcosa di mio — ovvero una mia idea, nel caso del tema argomentativo?

Qual è il senso?

Se la nostra idea di maturità è l’essere in grado di annoiarsi con stile e creare qualcosa con gli strumenti che riteniamo meno adeguati per farlo, allora dobbiamo seriamente ripensare la nostra idea di persona matura.

Nota: questo è chiaramente il prospetto individualizzato a me. È chiaro che ogni studente ha modalità diverse di apprendimento e a qualcuno quel foglio a margine largo potrebbe piacere tantissimo. Il punto della critica è proprio questo.

Conclusioni

La scuola italiana è lontanissima dal riformarsi e dall’accettare un profilo educativo più individuale e creativo.

Eppure, prima o poi dovrà arrendersi e rendersi conto che tutte le evidenze sull’apprendimento non possono cancellarsi solo perché ci si trova in un istituto scolastico.

È impressionante come ancora oggi demonizziamo tutto ciò che gli studenti fanno fuori da scuola invece che cercare di comprenderlo per cercare di introdurre gli studenti nell’ambiente educativo — e non solo nell’apprendimento di un singolo argomento che dimenticheranno il giorno prima.

Per concludere con un esempio favoloso, mi piacerebbe tirare di nuovo in ballo la mia storia personale e dire che…

In questo momento, il mio più grande ostacolo allo studio, è la scuola.

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Barillà Giorgio

Internet Marketer | Online Teacher | Human Rights Activist