11 storie, 11 gruppi, un sacco di dati e come raccontarli

Jim Pieretti
6 min readJun 8, 2023

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11 gruppi formati da bellissime persone che esibiscono con le loro bellissime mani un sacco di bellissimi Vademecum per l’ecosistema digitale delle università

Il Vademecum per l’ecosistema digitale delle università è il risultato di un lungo processo progettuale intrapreso dagli studenti del laboratorio di design della comunicazione magistrale presso l’Università IUAV di Venezia, in collaborazione con il dipartimento per la trasformazione digitale. Si tratta di un impaginato realizzato in formato tascabile (scelta motivata dall’etimologia latina dello stesso nome, vieni con me) che raccoglie al suo interno 11 capitoli dedicati a rispettivi temi dell’ecosistema universitario, ciascuno realizzato da un gruppo di 4–5 studenti; scegliere, seguire, realizzare, vivere, orientare, l’ambiente della docenza, scuola di dottorato/master/ricerca, biblioteche/archivi/musei, organizzazione di eventi, i servizi e, infine, i rapporti con le aziende/territori.

Poster di presentazione del Vademecum realizzato in occasione della Milano Design Week 2023

Il progetto, ambizioso, si prefigge innanzitutto due obiettivi. Il primo è quello di fornire una serie di dati che permettano al lettore di avere un’immagine quanto più fedele dello stato attuale dell’università italiana, evidenziando specificità e problemi tramite una serie di data visualization. Il secondo è fare in modo che proprio quel primo obiettivo non venga vanificato: implementare dunque un comparto visivo e narrativo che renda interessanti quelle pagine colme di nozioni e numeri, far sì che quell’immagine fornita rimanga.
Consideriamo per un momento il mondo dell’informazione in cui viviamo, dove il flow soverchiante di informazioni che riceviamo ogni giorno ci porta alla massima contraddizione in cui persone, fatti e vicende diventano numeri indistinguibili tra loro e che ci portano a reputare junk data alla pari di informazioni verificate. È in questo contesto che lo storytelling può essere lo strumento per un approccio critico verso l’informazione, uno strumento che faccia riemergere le storie dietro quei segni e ne ribadisca l’importanza. Proprio per questo la divisione in 11 gruppi di lavoro oltre a concentrare i singoli aspetti specifici corrispondeva soprattutto a 11 storie diverse: storie narrate tramite immagini, colori, forme e significati, che hanno lo scopo strategico di rendere memorabili quei dati che rappresentano. E in queste storie studenti diventano barche, avventurieri, astronomi, registi, o persino pixel mentre si osserva un istogramma che spiega l’andamento dell’iscrizione universitaria tra il 2010 ed il 2020 o un grafico a torta che indica le maggiori difficoltà riscontrate in un ateneo.
In questo, oltre ad un leitmotiv informativo e divulgativo, si ritrova il ruolo attivo di questo progetto: fornire ad altri, addetti ai lavori e non, una base di partenza solida da cui partire per progettare nuovi strumenti per l’ecosistema universitario con cognizione di causa. Una volontà progettuale che implica un’importante riflessione a monte: la prospettiva comunicativa per la quale il design possa essere uno strumento cosciente di innovazione sociale nell’ambito della pubblica utilità, e la consapevolezza che il piccolo progetto di un laboratorio di design non si debba limitare necessariamente ad un esercizio di stile confinato tra le quattro mura di un ateneo, ma può essere veicolo proprio di questa idea di progettare artefatti capaci di servire la collettività.

Il Vademecum nella sua versione stampata e definitiva. Qui sopra presentate due doppie pagine rispettivamente del capitolo “Dietro le quinte. Organizzazione di eventi universitari” e “Guida galattica per progettisti. Come navigare nella galassia oscura dell’università in totale sicurezza”

Venendo al progetto in sé, questo si è sviluppato in tre grandi momenti: la raccolta dati, l’elaborazione dei dati e la progettazione editoriale e narrativa. Come detto, particolare cura è stata riposta nella parte finale, ma non per questo si sono trascurate in alcun modo le prime fasi; d’altronde, senza informazioni verificate ed affidabili il progetto avrebbe perso il suo senso sin dal principio. Nel lavoro di ricerca la collaborazione con Designers Italia, concretizzatasi in due giornate di workshop all’inizio del corso, ci ha permesso di familiarizzare con le metodologie proprie della ricerca desk tramite la messa a disposizione di modelli e kit di design pensati per delineare al meglio la user research, strumenti che abbiamo utilizzato nel corso del lavoro e da cui abbiamo tratto target di riferimento, attori coinvolti e nel complesso una definizione precisa dell’ambito di ricerca.

Analogiche rappresentazioni della user research durante il workshop con Designers Italia

Un fil rouge che ci ha poi guidato e accompagnato in quella che è stata un’estensiva ricerca quantitativa su fonti autorevoli come Istat, Ustat e ANVUR così come su rapporti da parte di enti nazionali ed europei, coadiuvata ad un altrettanto estensivo percorso di approfondimento qualitativo tramite interviste composte ad hoc a gruppi selezionati di studenti, professori e lavoratori dell’ambiente.

La ricerca quantitativa si è spesso tradotta in numerosi momenti di raccolta dati matti e disperatissimi

Partendo dunque da una mole di dati notevole (complessivamente 679 fonti consultate e 189 interviste), il processo di elaborazione dei risultati è cominciato stringendo il cerchio, selezionando quelli che ritenevamo maggiormente degni di nota e che potevano essere meglio raccontati tramite una visualizzazione grafica; un processo che ha coinvolto l’utilizzo intensivo dei più amati fogli di calcolo e bacheche partecipative online come strumenti di lavoro condiviso. A seguire, i dati superstiti sono stati sottoposti a prove di rappresentazione con strumenti come Rawgraph, piattaforma open source creata in collaborazione con il Politecnico di Milano di visualizzazione dati che ha permesso di concretizzare quella moltitudine di numeri in una prima bozza di menabò.

E di bozze di menabò ne abbiamo realizzate tante, così come tante sono state le prove di stampa per verificare la leggibilità e l’efficacia delle rappresentazioni grafiche in quello che era un formato particolarmente minuto e desueto; giunti alla più impegnativa terza fase di progettazione editoriale e narrativa, la sfida era quella di coniugare testo, immagini e infografiche in una soluzione che risultasse coerente e diegetica alle parti: ed è qui che entra in gioco lo storytelling.
Memori delle lezioni di Vogler e di Freytag, abbiamo applicato classiche regole narrative come il viaggio dell’eroe e la scansione introduzione-climax-finale alla struttura di ogni capitolo dell’impaginato, coniugando la presenza di contenuti pregni di informazioni ad uno stile e un crescendo dell’azione che ne garantisse una lettura scorrevole, appassionata e soprattutto memorabile, riprendendo la premessa iniziale.

Una parete martoriata dal timone provvisorio del capitolo “Periplo” del Vademecum

Cercando di coniugare due posizioni apparentemente inconciliabili come il rispetto del dato matematico di uno statistico come Edward Tufte e la rappresentazione iconica di un illustratore come Nigel Holmes, le 544 pagine risultanti sono quasi un’antologia di storie, un Decameron (più uno) raccontato non con chiasmi ed enjambement ma con infografiche e pittogrammi Isotype.
E storie non di finzione, ma anzi la storia più difficile da raccontare degnamente oggi: il reale. Senza ovviamente la presunzione di essere esaustivi, ma al contrario di essere come già accennato un punto di partenza. Un modo di battere la strada e motivare una persona o un progettista a capire e operare nell’ambito, senza che sia just another person with an opinion”.

Articolo scritto con la collaborazione della collega Laura Leardini.

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