Questa storia non vi piacerà. Tre anni di Stregoni

Johnny Mox
10 min readJun 20, 2019

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di Johnny Mox

Teatro Camploy — Verona (Ph. Ana Blagojevic)

Da tre anni sono uno Stregone.

Mi alzo la mattina prestissimo, controllo la posta o whatsapp e al posto dei miei contatti tradizionali trovo messaggi vocali in Pidgin, il broken english mescolato con i dialetti africani. Trovo canzoni, preghiere, fotografie e richieste di aiuto.

Che cosa facciamo con Stregoni

Suoniamo con gli ospiti dei centri migranti. Negli ultimi tre anni con Above the Tree siamo stati praticamente ovunque in Italia e poi abbiamo avuto la fortuna di intraprendere un viaggio che ci ha portato a Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo, Copenhagen e Malmö. Stregoni non è mai stato un progetto di “contaminazione” o di “meticciato”. Non facciamo arte migrante, ci interessano le persone. E ci interessa conoscerle. La musica è costantemente al servizio di un solo scopo: entrare in contatto, stabilire una connessione con chi arriva in Europa.

Ecco perché da subito, per una scelta precisa, non abbiamo mai avuto una formazione stabile. Suoniamo sempre con ragazzi del posto e in ogni città ricostruiamo una band diversa. Tutti sono benvenuti e chi non suona può godersi il concerto sotto il palco.

Da quando il progetto è partito abbiamo suonato con quasi 5000 persone diverse, tutte richiedenti asilo provenienti da Mali, Nigeria, Etiopia, Gambia, Senegal, Siria, Niger, Iraq, Afghanistan, Costa d’Avorio, Guinea, Sierra Leone, Sudan, Somalia, Eritrea, Benin, Libano, Pakistan, Palestina.

Siena — Live Rock Festival (Ph Pasquale Modica)

Che cosa abbiamo visto

Il ritratto è quello di un’umanità straripante: una voglia travolgente e disperata di vivere e dare una svolta positiva alla propria vita, ma non prendiamoci in giro: i limiti sono enormi. Per ciò che resta del sistema di accoglienza e per come è gestito, le prospettive di integrazione sono scarsissime e sono pochi gli stessi migranti che riescono ad orientarsi e a cogliere la complessità del quadro politico europeo.

Che musica facciamo.

Il suono di Stregoni cambia al variare delle persone che di volta in volta vanno a comporre la band. E’ come avere una scatola che continua a svuotarsi e a riempirsi. Se sul palco ci troviamo con ragazzi provenienti dal Centro-Africa il linguaggio sarà prevalentemente quello del rap e dell’afro-pop, se invece le zone di origine sono Pakistan o Afghanistan il sound prenderà pieghe diametralmente opposte.

Tutti i concerti cominciano allo stesso modo: viene chiesto ad uno dei ragazzi di mettere una canzone dal proprio smartphone. Io ne faccio un loop e sul quel frammento sonoro cerchiamo di costruire qualcosa di diverso improvvisando, tentando gradualmente di far emergere la sensibilità delle persone che si trovano sul palco.

Abbiamo fatto dei concerti memorabili suonando con musicisti incredibili e altri live per nulla memorabili suonando con musicisti per nulla incredibili. A noi non importa. Ogni volta è una lotta, ogni volta bisogna rifare tutto da capo.

Non sei venuto a sentire l’ennesimo cantautore che scrive il pezzo impegnato sui migranti sepolti nel Mediterraneo. Stregoni lavora sulla struttura, è la band l’oggetto politico di tutto il progetto, la costruzione di una band: dimostrare che è possibile farlo.

Milano — Santeria Social Club (Ph Teo Segale)

L’Errore è sacro

La difficoltà è un aspetto cruciale del progetto ed anzi, assume un ruolo chiave quando viene rappresentata sopra il palco. In un’epoca di sovraccarico di segni, di photoshop e filtri, dove tutto si può ritoccare e post-produrre, scegliere di mettere in scena l’errore, le incomprensioni e la fatica a capirsi, ha un significato e un impatto enorme: perché l’accoglienza è esattamente questo: fatica, impegno e costante ridefinizione del sé.

Se c’è una cosa che ho imparato da Stregoni è la libertà di sbagliare. Abbiamo provato a sfidare i nostri limiti, a guardare agli altri e a noi stessi per quello che siamo, liberi di non capire, liberi di arrabbiarci e di porre interrogativi in uno sforzo continuo nella tensione verso gli altri. La forma che abbiamo scelto, non solo per i live ma per tutto quello che produciamo, rispecchia esattamente questo tipo di ricerca. Come nella vita vera, come in ogni relazione, serve un tempo per conoscersi, studiarsi, annusarsi e se necessario, sbagliare tutto e ricominciare.

Stregoni è nato da subito rifiutando l’idea di band stabile proprio per questo. Siamo un laboratorio perenne senza membri fissi: quello che ci interessa è creare le condizioni per avere uno spazio di confronto più grande del palco, più grande della sala in cui il pubblico assiste all'esibizione. Troppo facile scrivere una bella canzone di sensibilizzazione: non c’è niente da sensibilizzare; questa gente è qui, vive tra noi e ha bisogno di risposte, di azione.

A Lamin, Precious, a Melody e a Boubacar, non interessa nulla delle nostre campagne social con i post-it gialli appiccicati in faccia. Non interessa nulla delle cene etniche o delle iniziative di sensibilizzazione che organizziamo. A loro interessa vivere senza rischiare di essere ammazzati, trovare un lavoro, comprare un’auto e nella migliore delle ipotesi vestiti di marca e catene d’oro. Il tutto possibilmente continuando a fare il Ramadan o seguendo su youtube i loro stand-up comedians preferiti.

L’integrazione parte da qui. Dal riconoscimento reciproco di questa realtà oggettiva. Occorre lasciare entrare il conflitto nella nostra vita democratica, occorre accettare la sfida, perché ora che il velo del politically correct è stato fatto a brandelli, la violenza sta entrando nel corpo sociale avvelenandolo con una rapidità spaventosa.

Il punto di vista dei “newcomers”, costantemente sotto-rappresentato, è fondamentale per riuscire a comprendere il quadro generale di una crisi umanitaria e politica senza precedenti per il nostro continente. Fino a che saremo sempre e solo noi a porgere il microfono ai nuovi arrivati continueremo a collezionare solo sconfitte. Stregoni è nato per fare in modo che queste persone il microfono se lo prendano da sole, che prendano in mano la propria vita.

Centrale Fies — (Ph Alessandro Sala)

Il nemico

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i problemi più grossi non li abbiamo avuti con leghisti, neofascisti o con i commenti online. Il nemico invisibile contro cui lottiamo dal giorno in cui siamo partiti con questa avventura è la Nostalgia, un muro spesso e molle, difficile da infrangere. La nostalgia non serve solo al marketing o alla politica. In Europa, così come in molte altre parti del mondo, questo sentimento minaccia la convivenza di gruppi diversi all’interno dello stesso territorio perché distorce la realtà. Un tempo si trattava di una semplice distorsione del passato: oggi, data l’assenza di alternative e di ideologie, la nostalgia sta facendo a pezzi anche il presente e il futuro. Non si tratta solo dei filtri di Instagram, della retromania. La nostalgia agisce molto più in profondità, soprattutto in chi, come nel caso dei ragazzi che suonano con noi, ha dovuto affrontare una migrazione.

Tutti i rifugiati che hanno abbandonato la loro terra condividono un profondo senso di struggimento nostalgico, un disorientamento a cui non viene data alcuna risposta. Non hanno solo perso la casa, hanno perso un’idea di presente, di quotidianità, a cui restano appesi con i loro smartphone, vagando in città come zombie in cerca di wi-fi. Il corpo è in Europa, certo, ma la testa è ancora in Africa, in Asia.

Sgombero del Campo di Marco di Rovereto / Aprile 2019 (Ph Johnny Mox)
Finale Emilia — Festa del Ringraziamento (Marco Pak Pasqualotto)

Don’t take my kindness for weakness

Il presente va conquistato. E in questi anni abbiamo capito che la partita dei nuovi arrivati e della generazione dei millennials si gioca sullo stesso campo: anche perché con i migranti e con il tema dell’accoglienza si vincono le elezioni, si disintegra l’opinione pubblica. Lo abbiamo già visto accadere e succederà di nuovo come accadde alla fine degli anni ’80 con la prima crisi delle Banlieu in Francia, quando le classi operaie votarono in massa per Le Pen, voltando le spalle ai socialisti.

Mettere i penultimi contro gli ultimi è un atto vile, ma ha sempre funzionato. Invece che scommettere sull'impoverimento e sull'umiliazione di queste persone, mai come oggi occorre scommettere sulla loro ricchezza.

Lamin, Boubacar e tanti altri come loro, sono qui per garantire un futuro a sé stessi e alle loro famiglie. Se scommettiamo sulla ricchezza di Boubacar, scommettiamo anche sulla nostra ricchezza, se mettiamo in comunicazione i nuovi arrivati con la generazione iper qualificata e precaria risolviamo due problemi. Senza contare la questione demografica.

Se mio fratello ha una concessionaria di auto e tra 4 anni si presenta Boubacar dal Mali a comprare una macchina usata, non avremo forse vinto tutti quanti?

Se puntiamo sulla povertà e sull’umiliazione invece, la risposta non tarderà ad arrivare.

Noi facciamo il tifo per Boubacar, ma non è più sufficiente: perché il clima è precipitato.

Padova — Summer Student Festival

La Diga

C’è un grosso buco, una crepa che si allarga ogni giorno ed è un cratere politico che rischia di inghiottire tutti quanti.

La violenza che per molti anni abbiamo tenuto a debita distanza, nei racconti dei palloni cuciti a mano dai bambini di Taiwan, la violenza strutturale del sistema in cui viviamo, con lo sfruttamento sistematico delle risorse in ogni parte del mondo oggi tracima, uscendo allo scoperto in maniera brutale.

E’ come se implicitamente avessimo accettato il superamento di un limite morale. Ma la forza della civiltà occidentale non riguarda solo la tecnica, l’industria e l’organizzazione democratica . Esiste un nocciolo, un patto di cittadinanza sigillato dal diritto, attorno alla quale per anni la società è riuscita a non disgregarsi ed è in nome di questi principi che di fatto fino ad ora abbiamo tentato in ogni modo di “giustificare” il dominio occidentale. Semplicemente vendendo l’idea che la vita e i consumi in Europa e Usa fossero un sogno alla portata di tutti quanti.

Lo slogan “America First” o il nostro “Prima gli italiani” di fatto non sono nient’altro che un’ammissione di debolezza, così come la disastrosa gestione europea dei flussi. Il prezzo da pagare è già oggi altissimo. Chiudendo le porte in faccia a queste persone abbiamo da tempo spalancato i portoni alla povertà e alla miseria.

Non possiamo permetterci di vedere queste persone solo come vittime, non possiamo più continuare solamente con “L’orto dei Profughi”, il “laboratorio artistico dei Profughi”. Al netto della propaganda anti-straniero, gli italiani chiedono più sicurezza e più regole perché si sentono minacciati e lasciati soli. E indovinate un po’ come si sentono i migranti? Arrivano tutti da soli, nei centri accoglienza sono soli all'interno del gruppo allargato dei loro connazionali. Il parallelo nella musica è ancora più spietato. Sono tutti “solo artist”, per lo più rapper o cantanti: il modello è quello del ni**a che ce l’ha fatta da solo contro tutti. Nessuno cerca compagni per formare alleanze, eppure sul palco con Stregoni, dove sono costretti a confrontarsi con gli altri, la musica torna ad essere un’esperienza travolgente.

L’obiettivo qui non è tenersi per mano in un grande girotondo multiculturale. L’obiettivo reale, ambizioso e risoluto, è arrivare finalmente ad ignorarsi. Entrare in un ufficio, in una scuola e nemmeno accorgersi che c’è una persona di colore. Iscriversi in palestra, andare a fare la spesa senza mai rivolgersi la parola. Sedere uno accanto all'altro al parco e non notare niente di strano.

Mai come in questo momento c’è bisogno che questi ragazzi e queste ragazze siano attivi, coscienti della loro situazione e di quello che sta accadendo in Europa. Mai come in questo momento spetta a noi farci argine e diga, assumendoci il compito di aiutarli e di dare un indirizzo preciso, anche di tipo economico e politico. Se chiudiamo tutte le porte a doppia mandata e tappiamo anche l’ultimo buco, sarà l’intera diga a non reggere più, travolgendo ogni cosa.

E non serve uno Stregone per fare una profezia del genere.

  • Le storie sono vere. Tutti i nomi usati sono nomi di fantasia
Roma — Baobab Experience
Tafuzzy Days — Riccione
Paris — Stalingrad Subway Station
Kora Player — Parma Fattoria di Vigheffio
Trieste — Teatro Miela
Amsterdam Canals with Wasim
Lecce — Sabir Festival
Modena — Dude Club
Viterbo -Spazio Biancovolta
Trento — Muse
Paris — Theatre de Verre
Biella — Castello Brich di Zumaglia
Copenhagen — Kongelunden Center
Osimo — Loop (Ph Cristiana Rubbio)
Molenbeek / Bruxelles — Le Petit Chateau
Togo (ph Joe Barba)
Fermo CSV — Ph Johnny Mox
Arezzo — Karemaski (ph Gabriele Spadini)
Em Slim — Monza
Smart Lab — Rovereto (Ph Leonardo Menegoni)
Malmoe — Kontrapunkt

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Stregoni Senators:
Gilbert, Modou, Precious, Jayslot, Emslim, Naeto, Rap Tyga, Godspower, Jobe, Lazyboy, Evan Tip, Aimiuwu Nelson Osarobo, Idris

Un ringraziamento particolare a tutte le persone che fino a qui ci hanno aiutato:
Joe Barba, Pentagon Booking, Walter e i ragazzi del Locos, Sericraft, Cinformi, Atas Onlus, Centro Astalli, Roar Trentino, Baobab Experience, Giulio Deboni, C+C=Maxigross, Michael Pancher, Simone Gottardi, Sebastiano Martinelli, Stefano Negri, Filippo Biagianti, Andrea Parente, Anush Hamzehian, Alessandro Comodin, Prima l’italiano, Festa del Ringraziamento, Design for Migration, Centrale Fies, Giulia Pedrotti.

Stregoni
A project about music & migration curated by Johnny Mox and Above the Tree

Info
https://www.facebook.com/stregoniband/
http://designformigration.com/portfolio/stregoni/

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