Il panopticon dell’Agenda Digitale | Bazaar

Blockchain, smart contract e neoliberismo. | «Più impersonale ed automatizzato risulta il meccanismo di oppressione, minori gli spazi a disposizione degli oppressi ed i soggiogati per forme di opposizione politica e sociale».

kairobi
SMARTONNO
29 min readApr 26, 2019

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pubblicato da Bazaar su Orizzonte48

L’Agenda Digitale: ossia il panopticon dell’agenda neoliberale

«La Camera dei deputati del Parlamento italiano ha approvato il cosiddetto “decreto semplificazioni” che contiene le definizioni legali di blockchain, o meglio, “tecnologie basate su registri distribuiti” (DLT) e degli smart contract, con le relative linee guida.» cryptonomist.ch

1. L’agenda digitale presenta sé stessa, come ogni programma di riforme sociostrutturali neoliberiste, come una forma di progresso tecnologico che semplificherà la vita dei cittadini, pardon: utenti.

Questa “agenda” è un documento programmatico che va ideologicamente inquadrato in quell’ambito di provvedimenti volti alla privatizzazione dello Stato e al controllo totalitario del lavoro e di tutte le attività e funzioni in cui l’individuo sviluppa la propria personalità; ovvero, l’agenda digitale è un’agenda politica.

Inquadriamo innanzitutto il fenomeno della digitalizzazione nell’ambito privato.

La secolare propaganda del progressismo liberale — trita e ritrita — si presenta sempre con i medesimi ideologemi:

a) Il progresso scientifico permette a tutti di vivere da borghesi benestanti (e se voi invece no — ça va sans dire — è perché non meritate).

Chi riceve il messaggio dà così per scontato che il consumo di massa non abbia a che fare con particolari scelte politiche e che, a loro volta, queste scelte abbiano a che fare con lotte tra classi o durissime dialettiche tra sezioni del medesimo ceto, tra gruppi d’interesse.

I consumi di massa possono essere ottenuti e mantenuti in almeno due modi che possono avere risvolti politici e sociali contrapposti:

(I) vengono aumentati i salari in modo che la domanda aggregata cresca (tutti i lavoratori diventano mediamente più ricchi e possono comprare beni volti a migliorare la qualità della loro vita).

(II) vengono tenuti bassi i costi di prodotti e servizi con un’elevata disoccupazione a esercitare pressione al ribasso sui salari (generalmente col fine di competere sui mercati internazionali, a beneficio di chi fa profitti con le esportazioni o a beneficio di chi investe dall’estero. Quest’ultima figura preferisce la svalutazione interna agli aggiustamenti di competitività tramite svalutazione monetaria che erode gli eventuali utili da investimento: ogni riferimento all’euro non è casuale).

Man mano che i salari diminuiscono, i consumi di massa vengono mantenuti artificiosamente alti tramite l’aumento del credito al consumo: i lavoratori risparmiano sempre meno e si indebitano.

b) La tecnologia permette di abbattere i costi semplificando i processi della produzione (e “la vita” tout court… ).

Poiché in una società veteroliberale — come quella contemporanea — vige il dogma della legge di Say, chi si dota di nuova tecnologia ritiene che automaticamente abbatterà i costi e aumenterà i profitti.

Poco importa se le nuove tecniche produttive messe a disposizione verranno acquistate anche dai concorrenti e che la vera innovazione che dà vantaggi competitivi è quella che nasce all’interno dell’impresa o, su tutto, dagli investimenti dello Stato.

In realtà, il punto è che chi non si dota della tecnologia prodotta e venduta da oligopoli ben connotati nazionalmente rimane escluso dagli affari, ovvero dalle relazioni sociali più importanti per la sopravvivenza. Si pensi ad esempio alle suite da ufficio o alla posta elettronica.

(Le altre relazioni fondamentali per la sopravvivenza non sono quelle che si occupano di produzione, ma di ri-produzione della vita: anche di queste il totalitarismo neoliberale si sta già occupando)

NOTA: quando vengono venduti i prodotti ad alta tecnologia, non viene venduta la tecnologia in sé, ossia, il know-how, il cui controllo costituisce il reale vantaggio. Il soggetto-utente si trova quindi in una situazione detta di lock-in: le sue attività sono esternamente vincolate da un fornitore che dispone della tecnologia — e delle interfacce — per poter operare ed avere rapporti economici e sociali. I costi dall’uscire dal vincolo sono talmente alti da scoraggiare altre soluzioni.

c) L’innovazione è cool, à la page — sempre e comunque — di qualsiasi tipo essa si tratti e qualsiasi utilità essa abbia; è un sinonimo di moda, ma può contare anche sull’allure che le conferisce il mito del progresso: la tecnologia è una moda che non ritorna mai. (E alla quale, come abbiamo visto sopra, chi non si adatta è fuori, out. O fichi o perduti: non ci sono vie di mezzo).

2. In particolare, quando si ha a che fare con l’informatica — intesa in senso ampio come disciplina che si occupa di elaborare, gestire, archiviare e scambiare automaticamente le informazioni digitalizzate — si parla di una tecnologia nei suoi fondamentali pressoché invariata dalla sua nascita, ma che — grazie allo sviluppo dei materiali, dell’elettronica, e delle scienze che ne permettono le applicazioni — è diventata pervasiva tanto nella sfera professionale, quanto nella sfera privata. E, con l’agenda digitale, la sua pervasività viene programmaticamente estesa anche a quella pubblica.

Sugli effetti sociologici ci sarebbe da discuterne diffusamente; ci si limita a far notare che gran parte delle informazioni che profilano la persona — fisica o giuridica che sia — viene mediata automaticamente da dispositivi elettronici per poi essere digitalizzata e archiviata.

Ciò che Internet e la potenza di calcolo permettono ora è soprattutto l’incredibile quantità di livelli di astrazione che separano l’individuo dai dati che scambia: questi dati vengono archiviati e duplicati un numero indeterminato di volte su diversi — e perlopiù sconosciuti — dispositivi fisici che sono gestiti automaticamente da software, anch’essi perlopiù sconosciuti.

Gli oligopoli che producono e controllano le infrastrutture fisiche ed informatiche rappresentano un mercato altamente concentrato e caratterizzato da significative barriere all’entrata: i clienti sono per lo più esternamente vincolati (v. sopra) e le norme giuridiche tendono a blindare la discrezionalità con cui de facto vengono gestiti i dati digitalizzati che riguardano i portatori di interesse delle imprese o le relazioni sociali dell’individuo. Ad esempio l’evoluzione delle norme sulla privacy non rappresenta altro che un’evoluzione degli strumenti con cui gli oligopoli si difendono giuridicamente dai danni che possono cagionare nella gestione dei dati a loro affidati.

Insomma, la struttura totalizzante del neoliberalismo digitale è presto descritta:

(a) il capitale oligopolistico controlla sempre più il flusso delle informazioni;

(b) il diritto si sovrastruttura secondo questi rapporti di forza;

© la politica si appiattisce alle esigenze del capitale oligopolistico rappresentato dalle istituzioni sovranazionali;

(d) vengono recepite direttive e linee programmatiche da parte di organismi sovranazionali e promulgate leggi a favore della diffusione della digitalizzazione;

(e) le informazioni danno strutturalmente un vantaggio competitivo al capitale sempre più monopolistico;

(f) il capitale sempre più monopolistico schiaccia politicamente sempre più qualsiasi istanza lavorista, imprenditoriale e democratica in tutto il globo;

Si torna ad (a).

3. I Servi della Gleba Digitale

Le proteste e i rilievi del Garante per la Privacy non sono serviti ad evitare l’avvio del sistema di fatturazione elettronica in Italia.

I disagi sono enormi, come sempre capita quando l’interazione umana nella gestione di servizi pubblici o privati è sostituita da interfacce automatizzate.

Quello che sta avvenendo socioeconomicamente — definito il capitale come «rapporto sociale mediato da cose» — è il feticismo portato al parossismo: la relazione di dominio fondamentale tra chi è proprietario e vive di rendita, e chi deve lavorare per vivere, viene completamente mimetizzata e offuscata — oltre che da astrazioni economico-finanziarie — da astrazioni di carattere tecnologico.

Diventa di fatto impossibile personalizzare il potere economico e, di conseguenza, la sua influenza sulle decisioni politiche diventa incomprensibile, cristallizzando l’irresponsabilità assoluta di chi prende le decisioni che contano: in breve, chi vive di rendita si assicura un potere politico sempre più al riparo del processo democratico e un controllo assoluto su chi deve lavorare per vivere.

4. Elementi di «oppressione digitale»

La tecnica non è neutrale: nasce sociopoliticamente orientata per raggiungere gli obiettivi di chi ne finanzia lo sviluppo e la diffusione.

4.1 Il primo elemento fondamentale da considerare dalla prospettiva del conflitto è che la digitalizzazione di massa — come tutte le grandi rivoluzioni tecniche — aumenta in modo importante il potere dei proprietari dei mezzi di produzione sui lavoratori: la conseguenza principale è la pressione esercitata sul livello dell’occupazione. In sintesi, la retorica intorno all’agenda digitale ha come obiettivo principe aumentare la disoccupazione; la produttività aumenta ma la quota di ricchezza che va a remunerare il lavoro no: semplicemente l’automazione dei processi — senza l’intervento delle istituzioni democratiche — distrugge posti di lavoro.

(Chiaramente, seguendo questa traiettoria, chi, disoccupato, rimarrà fuori definitivamente dal processo produttivo, verrà malthusianamente gestito)

4.2 Il divario digitaledigital divide — non è altro che un elemento retorico parte del framing neoliberale che ha l’unico scopo di accelerare — fate presto! — la diffusione di alcune tecnologie studiate per il consumo di massa (non si sono mai sentite potenze imperialiste spronare a colmare il divario tecnologico in ambito industriale o militare), la difficoltà o impossibilità d’uso delle quali può essere addebitata a presunte incapacità e ignoranza degli utenti: insomma, la solita strategia blame the victim.

(Se non si hanno gravi problemi di relazione, chiunque preferisce interfacciarsi con una persona umana piuttosto che con una macchina. Così, per inciso: dire l’ovvio è notoriamente rivoluzionario)

4.3 Qualche riflessione sulle crittovalute l’avevamo già fatta qualche anno fa.

La tecnologia sottostante, la c.d. blockchain, nasce ab origine con l’obiettivo di bypassare qualsiasi “certificatore terzo” che controlli (vigili, redima: insomma, istruisca) qualsiasi tipo di transazione economica o processo giuridico e politico.

Per “certificatore terzo” rispetto alle parti in dialettica si intende il notaio, il giudice, la banca centrale… insomma, lo Stato.

Lo Stato è quell’ente costituito da innumerevoli istituzioni che esercita il potere politico (la sovranità) in un determinato territorio.

Nel modello di democrazia sostanziale delineato dalla nostra Costituzione, come negli anni hanno spiegato le voci più raffinate del costituzionalismo italiano, lo Stato è ente strumentale all’esercizio della sovranità del popolo. È intuibile che i detentori del potere economico non gradiscano un simile assetto e siano ben disposti ad approfittare di ogni occasione per ribaltarlo sempre più irreversibilmente.

Con il ricatto del libero movimento di capitali, il movimento forzato di lavoratori (emigrazione, immigrazione), e con gli accordi monetari la globalizzazione finanziaria ha già sottratto (e non semplicemente “limitato”) importanti prerogative sovrane agli Stati democratici. (Che non per questo sono sparite, ovviamente: sono solo state rese democraticamente irraggiungibili).

Sono pochi gli Stati che si sono sottratti dal cedere importanti porzioni di sovranità agli oligopoli privati: tra questi ricordiamo la Russia, la Cina e l’Iran.

Non ci meraviglia quindi leggere sulle colonne dei giornali iraniani che: «la tecnologia blockchain può aiutare a migliorare l’economia nazionale» — E che: «Questo è possibile rinforzando l’infrastruttura della tecnologia blockchain con l’aiuto del governo e del settore privato». Così afferma Alireza Daliri, capo di un dipartimento della scienza e della tecnologia iraniano.

Viene poi ricordato che «secondo l’ultimo report dello Europe Union Blockchain Observatory and Forum (EUBF) le blockchain, affinché realizzino il proprio potenziale all’interno delle istituzioni statali, queste devono concentrarsi sulla tecnologia per costruire due cose: l’identità digitale e la versione digitale delle proprie monete nazionali.»

«L’identità digitale è la componente fondamentale e un’area chiave su cui i governi devono concentrarsi» — si legge nel rapporto — «Un altro elemento importante … consiste nell’avere versioni digitali delle valute nazionali sulla blockchain, ad esempio attraverso le valute digitali di banche centrali basate su blockchain (CBDC)».

Inutile ricordare che monete emesse tramite la tecnologia blockchain sono per costruzione deflattive ed emesse secondo un algoritmo che elimina tecnocraticamente il conflitto intrinseco che ci dovrebbe essere tra capitale e lavoro per regolare l’inflazione e, quindi, l’occupazione.

5. Perché la blockchain è così importante.

«Il dominio delle leggi che si autoeseguono non avrà più bisogno di alcuna sanzione statale, perché le funzioni di coordinamento del mercato mondiale bastano a una integrazione pre-statale della società mondiale» Habermas, 2005

Uno spazio per una dialettica politica volta a equilibrare il conflitto sociale è fondamentale per chi si ritrova in posizione di svantaggio e rivendica diritti economici, politici o sociali; per chi è in posizione di forza il conflitto genera un’alea e preoccupazioni che disturbano la sicurezza della propria posizione, la certezza del proprio privilegio.

Poiché la concentrazione dei privilegi è direttamente proporzionale all’oppressione che grava sui ceti che ne sono sprovvisti, le leggi, le politiche economiche e sociali — e, in generale, tutte le istituzioni e gli istituti — risulteranno sempre più vessatori verso questi ultimi. I ceti subalterni saranno però sempre più motivati a reagire alla sottrazione di diritti, di tutele e di benessere.

Più impersonale ed automatizzato risulta il meccanismo di oppressione, minori gli spazi a disposizione degli oppressi ed i soggiogati per forme di opposizione politica e sociale.

In pratica la stessa depersonalizzazione della sociologia delle transazioni e degli scambi è in re ipsa una forma di oppressione.

La tecnologia è in se stessa strumentale, da una parte alla deresponsabilizzazione di coloro che prendono decisioni politiche, dall’altra all’atomizzazione degli oppressi, le cui relazioni sociali vengono mediate da interfacce impersonali che annichiliscono sul nascere qualsiasi dialettica: ovvero non è più lo Stato — inteso come ente in relazione dialettica con la comunità sociale nel suo insieme — a mediare, quando serve, i rapporti sociali conflittuali, ma è il proprietario della tecnologia che si fa Stato e mediatore occulto.

5.1 Traiamo da questo sito specializzato — ben rappresentativo della propaganda volta a promuovere la tecnologia blockchain in tutto il mondo — i termini essenziali in cui si pone il conflitto politico all’epoca della digitalizzazione.

Secondo l’autore, le blockchain offrirebbero:

«una nuova forma di democrazia, realmente distribuita e in grado di garantire a tutti la possibilità di verificare, di “controllare”, di disporre di una totale trasparenza sugli atti e sulle decisioni, che vengono registrati in archivi immutabili e condivisi che hanno caratteristica di essere inalterabili, immodificabili e dunque immuni da corruzione

Gli ideologemi neoliberisti emergono subito con chiarezza: il significante “democrazia” svuotato da qualsiasi valore politico, il mito del controllo disintermediato (o meglio, intermediato da coloro che monopolizzano i processi transattivi e che esercitano — loro sì — un controllo diretto sugli operatori), gli slogan demagogici di trasparenza e corruzione socialmente decontestualizzati.

Si tratta, a dire la verità, di mitologie che si agitano fin dalle origini del liberalismo. Godwin, lettore attento di Adam Smith, si era fatto sostenitore di un ordine anarchico, in cui “la politica e la giustizia come istituzioni sociali possono essere eliminate dalla società”, basato sull’introiezione, in chiave di interesse individuale, delle leggi del mercato da realizzare grazie a una sorveglianza reciproca continua (oggi si direbbe trasparenza): “il suo anarchismo democratico si trasforma direttamente in un totalitarismo dal volto umano: quello della costrizione invisibile, onnipresente, senza limiti, che la società fa pesare su se stessa” (P. Rosanvallon, Le libéralisme économique, Éditions du Seuil, Parigi, 1989, pag. 152).

Che i dati personali possano essere resi disponibili in archivi immutabili e pubblicamente condivisi è però un’ottima notizia solo per chi è proprietario del panopticon, ovvero per colui che esercita un controllo diretto sugli operatori.

5.2 «La Blockchain sta facendo con le transazioni quello che Internet ha fatto con le informazioni e lo sta facendo grazie a un processo che unisce sistemi distribuiti, crittografia avanzata e teoria dei giochi.»

La “teoria dei giochi” è un altro fondamentale marker neoliberale; che la “crittografia avanzata” e i “sistemi distribuiti” siano di fatto strumenti tecnici usati per bypassare lo Stato, inteso come ente idealmente posto al servizio degli interessi generali, per rimpiazzarlo con sistemi automatizzati volti a trattare operatori ineguali con medesime regole, non emerge ovviamente dal marketing, ovvero dalla propaganda.

«La Blockchain è un nuovo paradigma per la gestione delle informazioni che permette di garantire la reale immutabilità dei dati perché in grado di garantire e certificare la storia completa di tutti i dati e di tutte le operazioni collegate a ciascuna transazione.»

Poiché l’immutabilità dei dati è una caratteristica riservata ad operatori ineguali, il punto fondamentale da evidenziare rimane che — per costruzione — le classi di identità digitale riferibili ai ceti subalterni non godranno mai dei diritti alla privacy e all’oblio dei dati riferiti alle loro persone, mentre chi il sistema lo controlla potrà restare anonimo, invisibile, e sfruttare il panopticon con tutta la discrezione e l’efficienza possibili.

5.3 «Trattandosi di un impegno importante [risolvere i problemi matematici necessari per far funzionare l’infrastruttura], come detto con importante dispendio di energie, è un impegno che necessita di essere remunerato e incentivato. Nelle Blockchain “Private” o Permissioned questo ruolo è svolto, in funzione della goveranance, dall’autorità che attiva la Blockchain stessa.»

La questione dell’energia è determinante: per alimentare le infrastrutture che permettono le blockchain servono enormi quantità di energia, il cui impiego viene remunerato con una forma di rendita. È evidente che chi dispone di grandi risorse finanziarie o chi controlla direttamente la produzione di energia (spesso i soggetti coincidono) — investendo in queste infrastrutture — avrà un’influenza sugli scambi del tutto incompatibile con qualsiasi sistema socioeconomico basato su principi di equità.

5.4 «Le Blockchain Permissioned possono unire i valori di trasparenza, di immutabilità e di sicurezza delle Blockchain garantendo a determinati soggetti come Banche, imprese e Pubbliche Amministrazioni la possibilità di un controllo, anche rilevante e sostanziale, sulle modalità di esecuzione delle transazioni.»

I soggetti privati come gli istituti di credito potranno esercitare anche una prerogativa sovrana come l’emissione della moneta sostituendosi agli Stati e senza neanche aver la necessità di esercitare questa sovranità su un territorio fisico.

I soggetti privati e lo Stato, sempre più catturato e privatizzato, potranno gestire in maniera stringente e senza alcuna partecipazione terza nel processo decisionale — essendo avulso da qualsiasi dialettica politica — la regolazione delle transazioni e dei dati ad esse associati.

5.5 L’attuale governo ha ritenuto opportuno dare una definizione legale al «Distributed Ledger Technology [l’archivio centralizzato ma fisicamente distribuito concepito] come […] un nuovo rapporto tra persone e informazioni

Il “nuovo rapporto tra persone e informazioni” consiste in una totale disarticolazione del rapporto tra soggetti titolari di diritti e informazioni che li riguardano, con l’effetto di consentire, in pratica, l’espropriazione di qualsiasi dato riservato dell’individuo, e quindi un controllo totalitario sulle sue azioni e un monitoraggio costante della sua personalità: fatti in sé già evocativi della qualità della tutela di cui godrebbe il cosiddetto «cittadino digitale».

Ci troviamo di fronte ad un enorme passo verso l’asservimento economico e politico: un processo per cui il soggetto debole non è di fatto più titolare di alcun diritto, ma solo di obblighi.

5.6 «Il processo di validazione della Blockchain prevede una fase di verifica e di approvazione basata su risorse di calcolo che vengono messe a disposizione dai partecipanti alla Blockchain e che sono finalizzate alla risoluzione di problemi complessi o puzzle crittografici e che permettono di disporre di un Consenso Distribuito e non più di un consenso basato su un intermediario terzo o su un ente o istituzione centralizzata. Coloro che partecipano alla risoluzione del problema e che dunque concorrono alla validazione del processo e della transazione sono chiamati Miner e il loro intervento, che necessita per essere svolto di importanti risorse, viene remunerato attraverso l’emissione di una moneta virtuale o cryptocurrency

Viene quindi sottolineato che — poiché questi miner, i fornitori di energia/potenza di calcolo, saranno per costruzione sempre più identificabili con i grandi soggetti economico-finanziari — “l’intermediario terzo”, ovverosia lo Stato “centralizzatore”, risulta così bypassato (lasciando il dominio incontrastato agli oligopolisti). Ci troviamo di fronte al sogno del liberismo più sfrenato e fanaticamente antidemocratico.

Il “consenso distribuito” non ha alcuna attinenza ovviamente col consenso democratico in senso politico — che al limite è tutelato e si esprime proprio attraverso le istituzioni statuali — ma ha una valenza squisitamente tecnico-procedurale per cui ciò che viene garantito altro non è che il controllo sulle attività dei soggetti partecipanti. E chi controlla? Ovviamente i grandi proprietari dell’infrastruttura e i grandi fornitori di energia.

5.7 «La crittografia che accompagna il bitcoin e in generale le diverse declinazioni della Blockchain permettono di gestire l’identità della cryptovaluta, con un suo specifico codice ID, un suo nome e cognome e una sua storia

Nell’ecosistema digitale il tema del controllo è quello fondamentale: è evidente che, per analogia, l’identità della crittovaluta, essendo una banale chiave crittografica (ovvero un codice alfanumerico), può essere associata tanto ad un portafogli digitale quanto ad una persona (che magari questo portafogli lo possiede: fondamentale nel caso in cui il contante venisse eliminato).

È immediato capire che chi, direttamente o indirettamente, controlla in questo sistema (la base dati, gli archivi), può avere accesso alla “storia” che può consistere nella vita stessa di una persona.

Rimane semplicemente da certificare la corrispondenza tra “nome e cognome” e “ID”, l’identità digitale: come si fa a mettere in relazione un’identità digitale con quella fisica di una persona, certificandone il legame?

Semplicemente inserendo materialmente un supporto fisico su cui è memorizzata questa ID — che non è altro che una sequenza di caratteri, ovvero di “bit” — direttamente nel corpo umano.

5.8 «la Blockchain Bitcoin piuttosto che altre criptocurrency sono quanto di più tracciabile e sicuro ci possa essere.»

Le classi di identità che apparterranno a persone dei ceti subordinati potranno essere tracciate nel modo più “sicuro” e preciso possibile. E, quindi, controllate.

«Se poi si sostituisce il concetto di curriculum associato a una moneta con il curriculum associato alla storia di una materia prima, ad esempio nel mondo del fashion o del food si può immaginare quali straordinarie potenzialità si aprono. Il chicco d’uva che può raccontare tutta la sua storia, dal momento in cui viene colto al momento in cui arriva sul tavolo del ristorante o nello scaffale del retailer. E se si pensa che tutti coloro che partecipano alla Blockchain lo possono vedere e che la storia, una volta approvata è immutabile e accessibile a tutti, ci si rende conto che siamo davanti a una tecnologia che non porta solo a un cambiamento di performance, ma un cambiamento di paradigma. La Blockchain non risolve solo il Double Spending ma tutta una serie di temi legati all’identità univoca e sicura.»

Chiaramente il “curriculum associato ad una moneta” può, come abbiamo visto, essere “sostituito” “con il curriculum associato alla storia” di una persona umana.

La “straordinarie potenzialità” volte all’oppressione segnano effettivamente, se non “un cambio di paradigma”, un vero e proprio salto di qualità. In senso orwelliano e totalitario

L’Agenda Digitale: blockchain, smart contract e deliri punto zero.

6. I contratti stupidi chiamati “intelligenti”

«Facciamo un esempio: supponiamo che l’automobile sia pagata a rate. Se l’acquirente dovesse “bucare” una rata, grazie alla tecnologia blockchain il contratto “intelligente” non consentirebbe più l’uso dell’auto, la quale verrebbe bloccata a distanza, fino alla regolarizzazione dei pagamenti.» beppegrillo.it

Vediamo come viene spiegata questa tecnologia dalla nostra fonte di riferimento:

«Un token è un asset digitale basato sulla blockchain che può essere scambiato tra due parti senza che sia necessaria l’azione di un intermediario. Un token può essere visto come un insieme di informazioni digitali che è in grado di conferire un diritto di proprietà ad un soggetto sull’insieme stesso di informazioni che sono registrate su una blockchain e che possono essere trasferite tramite un protocollo. […] I token creati grazie a Ethereum hanno differenti attributi che permettono la gestione di smart contracts allo scopo di fissare in modo sempre più vincolante e sicuro l’accordo tra le parti.»

I “contratti intelligenti” — aka “smart contracts” — sono così “intelligenti” che non permettono di far nulla che richiederebbe l’intelligenza umana se non blindare le obbligazioni tra parti contraenti: il discorso sociologico è simile a quello fatto in precedenza.

La retorica privatista non seduca: in un ordinamento a Costituzione democratico-sociale “solo una cieca credenza nelle massime individualiste consente […] di differenziare in modo certo dal diritto pubblico” (A. Somma, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, Giappichelli, Torino, 2003, pag. 39) il diritto privato.

Quindi la privatizzazione delle funzioni statali, ossia l’automatizzazione di procedure sanzionatorie o premiali in funzione della conformità che può essere imposta dalla parte forte “statualizzata” al soggetto debole, con espulsione dell’intervento di controllo di corrispondenza al diritto, anche costituzionale, esercitato dal giudice, ha una portata intrinsecamente eversiva.

6.1 «Smart Contract fa riferimento a degli standard di comportamento e di accesso a determinati servizi e viene messo a disposizione, accettato e implementato come forma di sviluppo di servizi tradizionali»

Gli “standard di comportamento” possono essere tanto quelli di un avvenuto pagamento per usufruire di un particolare prodotto o servizio, oppure qualsiasi altra prassi (come, ad esempio, l’essersi vaccinati) che vincolerebbe “l’accesso a determinati servizi” (ad esempio al godimento di servizi sociali).

«Stop alla frammentazione dei sistemi informativi: servono strumenti nuovi.» — Tuona la «Direzione generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute». Chiaramente usare un archivio per funzioni anagrafiche su blockchain, e, magari, attivarci poi degli smart contract, è una tentazione a cui un sistema, per vocazione totalitario come quello capitalistico-liberale, difficilmente potrà resistere.

In questo video il prof. Oliver Hart — premio Nobel per le ricerche condotte sulla contrattualistica — è piuttosto tranchant:

https://www.youtube.com/watch?v=Ee_3Nvl-lGE

In sintesi: si può pensare che questa tecnologia possa «automatizzare alcune cose» come, ad esempio, «alcuni contratti di assicurazione», ma, ovviamente, questa non serve a risolvere quei problemi contrattuali complessi che preoccupano le relazioni economiche più importanti; ovvero l’automazione non dà un aiuto sul come scrivere i contratti, ovverosia su quali contenuti perfezionare.

Quindi questi “contratti intelligenti” non servono a redigere contratti intelligenti: allo scopo l’automazione è pressoché inutile.

A che servono, quindi?

Sicuramente a rendere automatiche, e quindi indiscutibili, una serie di obbligazioni con condizionalità utili a disciplinare il comportamento secondo dettati normativi imposti unilateralmente.

6.2 «Token di classe 3 — Si tratta in questo caso di token che possono svolgere una funzione mista. Sono token che rappresentano diritti di comproprietà ovvero che rappresentano una proprietà ma conferiscono anche diritti diversi, come ad esempio il diritto di voto, o diritti di tipo economico per i rappresentanti legali o soci di una società, etc. In questa tipologia di token il titolare non ha un diritto esercitabile direttamente verso l’emittente del titolo o verso un terzo.»

Il diritto di voto visto come un diritto di “comproprietà” è innanzitutto una manifestazione di invasione del diritto privato nella regolazione del sistema elettorale: il più importante dei diritti politici è il diritto di voto, e il suffragio universale è il fondamento delle democrazie moderne.

Le votazioni — qualcuno dirà — sono uno strumento decisionale che può essere usato in tantissime situazioni e che — a parte alcune forme di sondaggistica on line — non necessitano di particolari apparati tecnologici. Inoltre, è scientificamente dimostrato che il voto elettronico è intrinsecamente insicuro.

Eppure c’è chi si è lanciato a promuovere questa tecnologia in nome della sua capacità di rendere “più pulito” — altro ideologema neoliberista — il processo elettorale.

6.3 «La emissione e la gestione di ‘Token etichettati’ o Token+ o anche Labelled Token (LB) è una procedura che associa ai Token una serie di metadata per i quali lo scambio è condotto su un mercato secondario: […] è singolarmente e univocamente etichettato ed è dotato di metadati associati;

1. non è frazionabile;

2. ‘esiste’ in forma digitale sulla blockchain;

3. può essere seguito anche singolarmente nel suo percorso/storia di ‘catena di proprietà’;

4. può essere gestito con modalità diverse per singola etichetta in funzione del significato/valore dei token»

Il far west di possibilità che si aprono non lasciano presagire nulla di buono per chi ha una minima coscienza dei problemi socioeconomici che investono, da decenni, la stragrande maggioranza delle nazioni del pianeta e che non trovano certo una soluzione nella tecnica: la soluzione — non si finirà mai di sottolinearlo — rimane sempre e solo politica.

La tecnologia, essendo pensata e promossa in una società oppressiva e nichilista come quella neoliberale, può solo portare al parossismo totalitario un sistema sommamente ingiusto, blindandolo dai contraccolpi degli immensi costi umani e sociali che impone.

La tecnologia viene usata per poter creare un’infrastruttura in grado di supportare istituzioni totalitariamente repressive e, tramite l’occhiuta sorveglianza propria di un panopticon globale, questa è in grado di controllare l’energia esplosiva della sofferenza sociale.

«le Permissioned Ledger rispondono alle necessità di un aggiornamento diffuso su più attori che possono operare in modo indipendente, ma con un controllo limitato a coloro che sono autorizzati. Le Permissioned Ledger permettono poi di definire speciali regole per l’accesso e la visibilità di tutti i dati. In altre parole le Permissioned Ledger introducono nella blockchain un concetto di Governance e di definizione di regole di comportamento

Il fulcro rimane poi la possibilità per privati — e per strutture statali privatizzate — di gestire anche tecnicamente, nel modo più unilaterale possibile, il rapporto coi loro portatori di interesse.

Una corporation potrà automatizzare procedure con cui disciplinare automaticamente i portatori di interesse più deboli: tendenzialmente quelli della classe lavoratrice.

Per comprendere cosa si possa intendere con “disciplinare” si pensi a cosa ha comportato la disciplina fiscale ed i relativi vincoli di bilancio nella amministrazioni locali, vincoli impliciti nella privatizzazione dell’emissione monetaria come codificato nelle strutturalmente deflattive crittovalute. Le esigenze fiscali dei comuni, ad esempio, hanno portato ad un inasprimento del livello sanzionatorio gravante sugli automobilisti tramite processi di automatizzazione del rilevamento delle contravvenzioni: il fatto che ad un pubblico ufficiale come il vigile urbano sia stata preferita una tecnologia proprietaria privata ha comportato — come è esperienza comune — dubbi benefici alla collettività se non, appunto, una maggior disciplina nella circolazione.

In Cina un sistema che disciplina il comportamento di persone fisiche e giuridiche — individuate da un codice identificativo di diciotto cifre — è già esistente: in questo caso il sistema di crediti sociali rimane una prerogativa sovrana di uno Stato.

Con la tecnologia blockchain il sistema dei crediti sociali potrebbe venire privatizzato e globalizzato.

6.4 Premesse

«le probabilità di vincere la Proof of Work [il sistema di certificazione] sono direttamente proporzionali alla capacità di calcolo di cui si dispone, si nota che la blockchain Bitcoin è esposta un rischio di squilibrio in favore di coloro che possono disporre di maggior potenza di calcolo»

Come già si accennava, la “potenza di calcolo” è monopolio del grande capitale finanziario: va da sé che questa tecnologia abbia il pesante difetto di presentarsi ingannevolmente come fosse in re ipsa una forma di democratizzazione mentre ha, in nuce, la predisposizione al monopolio. Un monopolio che si eserciterebbe su infrastrutture potenzialmente tanto invasive.

6.5 Il delirio

«lo Smart Contract è basato su un codice che “legge” sia le clausole che sono state concordate sia la condizioni operative nelle quali devono verificarsi le condizioni concordate e si autoesegue automaticamente nel momento in cui i dati riferiti alle situazioni reali corrispondono ai dati riferiti alle condizioni e alle clausole concordate

«proprio perché l’assenza di un intervento umano corrisponde anche all’assenza di un contributo interpretativo lo Smart Contract deve essere basato su descrizioni estremamente precise»

«Lo Smart Contract è di fatto “figlio” dell’esecuzione di un codice da parte di un computer. È un programma che elabora in modo deterministico (con identici risultati a fronte di identiche condizioni) le informazioni che vengono raccolte. In altre parole se gli input sono gli stessi i risultati saranno identici. Questo punto è estremamente rilevante perché se da una parte rappresenta una certezza e una sicurezza in quanto garantisce alle parti una assoluta “certezza di giudizio oggettivo” escludendo qualsiasi forma di interpretazione, dall’altra sposta sul codice, sulla programmazione, sullo sviluppo il peso e la responsabilità o anche il potere di decidere.»

Quando «i contraenti lo accettano ecco che gli effetti non dipendono più dalla loro volontà

Nel momento in cui, magari tramite la logica del silenzio-assenso, o a causa di atti unilaterali da parte di oligopolisti, la parte debole è costretta ad “accettare” i contenuti di un contratto, i rapporti di forza verranno cristallizzati tagliando fuori la protezione giurisdizionale che potrebbe essere offerta dal giudice alla parte debole.

Paradossalmente, si potrebbe valutare che l’asserzione hacker — piuttosto naïve — per cui: «Bisogna riconoscere che con la crittografia nessuna illimitata capacità di esercitare violenza potrà mai risolvere un problema di matematica» sia sociopoliticamente da considerare nel suo aspetto dialettico: i liberali classici — come tutti gli elitisti — concepiscono come unica e vera minoranza da difendere dalla violenza e dall’arbitrio della maggioranza, quella della classe agiata, dei rentier.

Si possono immaginare scenari di rivolta degli oppressi a cui i dominanti assediati potrebbero rispondere: “non ci possiamo fare niente: anche a volerlo non possiamo modificare il tal evento”.

Una similitudine con la realtà già in essere può essere ricercata con i contratti di fornitura di energia o di servizi nel settore delle telecomunicazioni: qualsiasi problema l’utente dovesse incontrare col servizio, questi dovrà confrontarsi con infiniti processi automatizzati. Qualsiasi lamentela non avrà mai sfogo con una persona umana, se non, dopo innumerevoli tentativi, con un anonimo operatore di call center pagato per ascoltare invettive e proteste. (Operatore magari precario e che non parla bene neanche la lingua dell’utente: la magia delle delocalizzazioni nel mondo globalizzato…).

Gli scenari che si possono ipotizzare sono infiniti e hanno tutti una cosa in comune: sono distopicamente deliranti.

6.6 «Un esempio viene dal mondo delle assicurazioni per autoveicoli che sulla base di dati rilevati grazie ad apparecchiature Internet of Things a bordo delle vetture sono in grado di fornire dati sul comportamento del conducente che possono influire e creare determinate condizioni che attivano o disattivano clausole di vantaggio o svantaggio. Ad esempio il superamento di limiti di velocità determinati dal contratto possono essere lette come condizioni di maggior pericolo e determinare un cambiamento contrattuale delle condizioni applicate ad esempio nel valore del premio assicurativo.
Un altro esempio arriva dal mondo dei media dove con i
Digital Rights Management viene gestita la erogazione e l’accesso a determinati servizi multimediali.»

Tutta questa bella fitta ragnatela di collegamenti tra la persona umana e le cose — l’Internet delle Cose! — prevede lo sviluppo di una sempre maggior connettività radio: se non sono ben chiari gli effetti di tutta questa esposizione alle onde radio, sono chiari quali sono gli interessi economico-politici che spingono a non rispettare i principi di precauzione.

Si prospettano scenari in cui appare sempre più stringente la pretesa conformità dei comportamenti delle persone ai desiderata degli oligopoli, come sempre più stringenti appaiono i vincoli sulla proprietà intellettuale e le restrizioni che questa genera alla libera circolazione di informazioni e conoscenze, che è il seme della democrazia.

6.7 Una propaganda che non è altro che un tripudio di idiozie per nerd.

«Ecco che in questo senso uno degli orizzonti più importanti arriva dall’unione della ricerca tra il mondo della blockchain e quello della semantica che aiuta i sistemi ad avvicinare in modo sempre più preciso la comprensione dei “significati”. Grazie alle soluzioni per il meta-learning applicate al settore degli smart contract si avvicinano Intelligenza Artificiale, machine Learning e blockchain.»

Ad interpretare questi contratti diversamente intelligenti, e per dirimerne le controversie, non si ipotizzano più, né un provvedimento giudiziario, né un arbitrato: si ipotizza l’uso di quello che non è altro che, di base, un calcolatore.

(No, l’intelligenza artificiale non può in alcun modo sostituire l’intelligenza umana: un calcolatore non può trasformarsi in un essere “autocosciente, che si autoperfeziona”, teleologicamente “autonomo”. Ciò non implica però che non possa fare disastri olocaustici il suo combinato disposto con l’intelligenza umana, come nel caso di qualsiasi arma ad alto contenuto tecnologico)

Sicuramente il giudizio di un calcolatore potrebbe essere formalmente imparziale, non essendo turbato dalle passioni umane… ma imparziale non è affatto l’algoritmo, che sarà ben scritto da qualcuno. Il solo pensare di dirimere controversie grazie ad algoritmi, per quanto complessi questi possano essere, non può che riflettere il portato di quanto analizzato in precedenza: sotto il dominio culturale neoliberista, si opera come se si volesse scrivere un “algoritmo” che regoli automaticamente la società negli interessi della classe egemone. Gli uomini programmati come automi ed il pianeta — Gaia — governato da un sistema operativo avranno sempre sopra di sé altri uomini, non un Logos divino miracolosamente incarnatosi, per dir così, in un software.

Piuttosto si deve dire che chi scrive il “codice” e programma queste macchine acquista “una responsabilità” sproporzionata e incontrollabile.

Essendo lo sviluppo del codice in ultima analisi il prodotto di un lavoratore che risponde alle esigenze di un management e, in fine, alle aspettative del grande azionariato, va da sé che il proprietario della tecnologia acquista conseguentemente un potere sproporzionato.

Non solo già esistono articoli scientifici sulle importanti concentrazioni oligopolistiche nelle industrie dell’hi-tech, a dispetto della propaganda con cui vengono celebrate, ma già dopo pochi anni gli stessi sviluppatori hanno dovuto ammettere l’ovvio: il Bitcoin è «un meccanismo completamente controllato da poche persone» ha scritto Mike Hearn, sviluppatore della tecnologia e tra i più accesi sostenitori di Bitcoin.

6.8 «La blockchain è poi utilizzata come piattaforma per soluzioni che hanno lo scopo di gestire l’identità delle cose. Grazie alla corretta identificazione di questa identità è possibile dare vita a soluzioni di certificazione delle filiere basate anche sui dati che arrivano dalle cose (IoT) e lavorare alla certificazione di supply chain.»

Il risvolto sociopolitico è evidente: la vera “certificazione” che interessa è quella che associa l’identità digitale a quella fisica, ottenibile semplicemente con la prassi più invasiva che l’Uomo abbia mai conosciuto, ovvero l’innesto di chip sottocutanei.

Una volta che la copertura della connettività radio sarà capillare ed efficace, non ci sarà momento e luogo in cui un chip non fornirà informazioni a quegli enormi archivi centralizzati che sono le blockchain.

La distribuzione fisica dell’archivio non implica che questo non sia logicamente centralizzato: quello della decentralizzazione, dell’anonimato, del codice sorgente aperto, e della democrazia egualitaria è solo fumo negli occhi per distogliere l’attenzione dal fatto che i risvolti socioeconomici e politici portano a una concentrazione, a una sorveglianza orwelliana, e a una mancanza di trasparenza tipici di una tirannia totalitaria.

7. Conclusioni

«La deflazione semantica del termine intelligenza è di per sé un sintomo, vale a dire, è la scomparsa, o se preferiamo, una semplificazione preoccupante dell’idea che l’essere umano ha di sé stesso» Jean-Michel Besnier

«Oggi è importante rendere sempre più sicuro il riconoscimento end-to-end di oggetti virtuali o fisici, perché è con questi oggetti che si concretizza l’intermediazione delle persone stesse nelle transazioni. Sono cioè gli oggetti che in definitiva gestiscono le transazioni. Noi oggi grazie a user ID e password o all’utilizzo di speciali certificati siamo in grado di identificare le persone, ma le persone si “fanno identificare” grazie a degli oggetti. In determinati casi — sempre più frequenti — ci sono oggetti che hanno bisogno di farsi identificare senza che dietro ci siano delle persone. Dunque se, grazie alla blockchain, si riescono a identificare gli oggetti avremmo un nuovo strumento di identificazione, più sicuro, anche per le persone.»

Se la privatizzazione della sanità dovesse andare avanti, non si vede come il potere di monitoraggio consentito da blockchain e smart contract possa evitare la tentazione irresistibile per le compagnie assicurative di legare la fornitura delle prestazioni sanitarie a determinati comportamenti o “stili di vita”.

«i dati medici dei pazienti attraverso un sistema condiviso, permetterebbe ai medici di condividere informazioni sui pazienti in maniera sicura e veloce, e quindi aiuterebbe molto la medicina e la sanità a migliorare il servizio fatto ai pazienti, con la possibilità di avere sotto controllo l’intera cartella clinica di un paziente, e quindi di conoscere in anticipo la storia del paziente»

«La blockchain è anche una risposta in termini di compliance normativa (Gdpr, Nis Directive) in scenari complessi che devono gestire la presenza e la interazione tra sistemi sanitari interregionali, tra soggetti privati come possono essere i laboratori di analisi, le strutture della sanità privata o anche le assicurazioni.»

«Anche la blockchain nella Pubblica Amministrazione trova ambiti di applicazione. La blockchain potrebbe infatti ad esempio aiutare la Pubblica Amministrazione e i cittadini ad avere una vera identità digitale, condivisa e implementata in questo sistema, con diversi vantaggi tra cui: rendere più difficile l’evasione fiscale, avere un controllo maggiore dei cittadini e quindi combattere la criminalità, servizi semplificati in tutti i settori della Pubblica Amministrazione (invio di dati semplificato), e molto altro.»

La propaganda neoliberale, con la sua lotta all’evasione e alla criminalità a giustificazione dello smantellamento dei diritti inalienabili della persona, cammina sulle gambe dei tecno-entusiasti, che evitano di porsi domande ovvie: la modernità è progresso ed il progresso è bello. Non importa se l’unico “progresso” è costituito dal perfezionamento di sistemi di controllo capillare tipici di sistemi totalitari.

Il culto della capitalistica proprietà privata, nell’ecosistema digitale, è rappresentato poi dal Copyright: «Grazie alla blockchain, agli smart contract e all’iniziativa di diverse startup è oggi possibile automatizzare la remunerazione, in quota parte, della filiera di autori e contributori ai brani musicali, a ogni nostra scelta d’acquisto.»

Riassumendo:

  • Accesso e visibilità dei datiI dati inseriti nelle blockchain sono pubblici e accessibili da chiunque partecipi alla catena
  • Cancellazione dei dati –i dati archiviati in una blockchain sono a prova di manomissione, quindi la loro cancellazione non sarà possibile una volta che tali dati verranno immessi nella catena distribuita;
  • Immutabilità dei dati nel tempoi dati presenti nelle blockchain sono conservati illimitatamente e non possono essere modificati, manomessi o cancellati.
  • Controllo distribuito dei datile blockchain sono distribuite quindi il controllo sui dati non può essere centralizzato ed è in capo a tutti i partecipanti alla blockchain (è difficile cioè individuare le figure di Data Protection Officer previste dal GDPR);
  • Processi decisioni automatizzati — con gli Smart Contract si devono considerare anche processi decisionali automatizzati ovvero una nuova tipologia di gestione dei dati »

E la chiave neoliberista di stampo hayekiano con cui è nata questa tecnologia è presto detta: «il messaggio forte lanciato da Satoshi Nakamoto è ancora una volta apparentemente tecnico e fortemente politico “We define digital coin as a chain of digital signatures“: La Blockchain Bitcoin è una catena di relazioni basata sulla fiducia. Fiducia, Trust, è la parola chiave per capire la blockchain.»

Le vere “relazioni basate sulla fiducia” sono quelle per cui la classe egemone, tramite i banchieri, valuta se concedere o meno credito: quella tecnologica non è altro che una sovrastruttura che certifica la conformità dei soggiogati ai soggiogatori, provvedendo ai fornire le informazioni necessarie al controllo totalitario.

«La Blockchain Bitcoin ha dimostrato che non è necessario avere un ente centrale per gestire le transazioni.»

«in ogni caso la Blockchain è diventata un simbolo politico»

Ecco riassunto il concetto politico di liberalismo classico: non è più necessario uno Stato che intervenga in economia e nel conflitto sociale e politico. Quello Stato, che viene conteso tra chi lavora per vivere e chi vive di rendita grazie a diritti di proprietà, può essere sostituito da software e hardware di proprietà privata.

E i cittadini lavoratori?

Produrranno e si riprodurranno secondo i desiderata di chi scrive gli algoritmi con cui funzionano le macchine.

Qui la preview.

(Chi, con qualche ragione storica, diffida dello Stato, farebbe bene a domandarsi se la privatizzazione — che è cosa ben diversa dalla sparizione — delle sue funzioni sia vantaggiosa o meno per l’autodeterminazione democratica della maggioranza)

Originariamente pubblicato da Bazaar su Orizzonte48:

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