L’importanza dell’attenzione e come difenderla dalle distrazioni

Attenzione, prego!

Una lettura di 10 minuti che potrebbe risparmiarvi ore di distrazione sui social media

Laura Mattiucci
10 min readFeb 9, 2020

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Quante sono le probabilità che leggiate questo articolo per intero?

Tenuto conto delle innumerevoli fonti di distrazione che ci bombardano ogni giorno, non molte.

Se anche voi, come me, pensate che rimanere concentrati sia diventata una bella sfida in questa era di stimoli continui, quest’articolo fa per voi. L’obiettivo, senz’altro ambizioso, è riprendere il controllo della nostra attenzione, per dedicare un po’ di tempo in meno a Netflix o ai nostri smartphone, e un po’ di più a tutte quelle cose che ci piacerebbe veramente fare, ma per le quali sosteniamo di “non avere tempo”.

‘Nonna, guarda cos’ho disegnato!’

La tecnologia è ovunque. E per fortuna, mi viene da dire, perché è impossibile non esserle grati per gli infiniti modi in cui ci semplifica la vita. La mia generazione di studenti Erasmus usciva di casa per chiamare i genitori dalle ormai dimenticate cabine telefoniche, qualunque fossero le condizioni meteorologiche. Come non apprezzare, oggi, la comodità di una video chiamata direttamente dal divano, in cui i nonni possono apprezzare in tempo reale l’intelligenza, il chiasso e il disordine delle loro nipotine?

I tablet di casa nostra: ad ognuno il suo!

Nella nostra famiglia, ognuno di noi ha il suo tablet. Compresa la più piccola, dall’alto dei suoi due anni e mezzo. Siamo tutti fan dei nostri gadget anche se, ovviamente, ciascuno ne fa un uso diverso. E soprattutto, ad essere diversa è la percezione del tempo passato davanti allo schermo. Inutile dire che quella che si ritrova a fare il poliziotto cattivo sono io… D’altronde, il controllo parentale è un mestiere duro, ma qualcuno dovrà pur farlo, no?

Lo ammetto: io e mio marito non la pensiamo proprio allo stesso modo sul consumo dello schermo in tenera età, ma su una cosa siamo entrambi d’accordo al 100%: ogni membro della nostra famiglia deve imparare a fare buon uso della tecnologia.

Perché vietarla non sarà mai un’opzione.

È per questo che, un bel giorno, mio marito mi ha regalato il libro che ha ispirato l’articolo che sto scrivendo. Si tratta del saggio ‘Scansatevi dalla luce. Libertà e resistenza nel digitale’[1] scritto da James Williams. Prima di trasferirsi ad Oxford per iniziare un dottorato in filosofia e definirsi “design ethicist”, l’autore lavorava come strategist da Google.

“Stand out of our light. Freedom and resistance in the attention economy” by James Williams

Il titolo del libro fa riferimento ad un famoso episodio della vita del filosofo greco Diogene. Si racconta che, incuriosito dalla sua personalità anticonformista, Alessandro Magno abbia reso visita al filosofo mentre quest’ultimo prendeva il sole in strada, offrendogli di “realizzare ogni suo desiderio”. Diogene, che viveva come un mendicante ed era stato esiliato dalla sua terra natale, avrebbe potuto approfittare per ottenere qualunque cosa, invece si limitò a chiedere ad Alessandro di “scansarsi dal sole”, lasciando tutti costernati.

La tecnologia “ci fa ombra”?

L’idea di Williams è che, mentre l’informazione è diventata abbondante e facilmente accessibile, la nostra attenzione si è ritrovata ad essere una risorsa scarsa e finita. Il risultato è che quello che pensiamo essere gratuito (per esempio una banale ricerca su Google o un giro su Facebook) ha un costo, per quanto difficile da percepire. Giocando sull’espressione inglese “to pay attention” letteralmente “pagare” (prestare) attenzione, Williams ci fa notare che, quando passiamo del tempo su Internet, spesso questo ha un prezzo: paghiamo con “tutte le cose che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto”, paghiamo “con le vite che avremmo potuto vivere”.

Quella che l’autore chiama “economia dell’attenzione” digitale sta minacciando la capacità di concentrarci e dedicare la nostra attenzione e il nostro tempo a quello che veramente conta per noi.

Secondo Williams “c’è una grossa differenza tra gli obiettivi che noi ci fissiamo, e quelli che la tecnologia vuole farci avere”. Ovvero: quello che è importante e che vorremmo per noi è l’opposto di ciò che i giganti del digitale vorrebbero far figurare sui loro dashboard.

Con l’arrivo del 2020, si è parlato tanto di buoni propositi per il nuovo decennio: imparare a suonare uno strumento, visitare un posto che abbiamo sempre sognato di conoscere, praticare uno sport… Ad ognuno il suo.

Ora immaginate i dashboard di Google o Facebook: quali sono gli obiettivi di questi colossi del digitale? Aumentare il fatturato, triplicare l’engagement, diminuire il bounce rate… Di sicuro non “evitare che Laura passi meno tempo su Internet e si decida ad imparare a suonare finalmente il pianoforte”, tanto per fare un esempio.

C’è un indiscutibile divario tra quello che vorremmo fare noi, e quello che tentano di farci fare i colossi della tecnologia. Il loro scopo è attirare la nostra attenzione, trattenerla il più a lungo possibile e trarne profitto. In che modo? Spingendoci a:

● Comprare

● Sostenere una causa o un candidato

● Competere per accaparrarsi l’attenzione altrui sui social media

Williams afferma che “vengono spesi letteralmente miliardi di dollari per capire come farvi guardare una cosa piuttosto che un’altra, comprarne una al posto di un’altra, interessarvi a una piuttosto che a un’altra”.

I nostri gadget tecnologici, primo fra tutti lo smartphone, disturbano la nostra attenzione anziché favorire le nostre intenzioni. Prendiamo il cellulare con lo scopo di fare una telefonata veloce, e finiamo per passare tre quarti d’ora sui social media.

Quante cose si possono fare in un mese?

Secondo alcune ricerche, in media controlliamo il cellulare 150 volte al giorno.

Non so se anche a voi capita di guardare i dati, ma io sono rimasta di stucco quando ho scoperto di passare mediamente due ore al giorno sui social. Certo, potrei giustificarmi dicendo che fa parte del mio lavoro di redattrice web, ma tant’è: facendo i conti, viene fuori che si tratta di un mese all’anno! Quante sono le cose per cui diciamo di non trovare tempo? Leggere di più, fare sport ogni settimana, imparare a suonare uno strumento, telefonare più spesso agli amici lontani… Eppure, chissà perché, il tempo per un giretto su Instagram si trova sempre!

Cliccare, interagire, suscitare “engagement”: questo è quello che conta per loro. E noi? Cosa comporta tutto questo per noi?

L’attenzione è une delle nostre risorse più importanti

Williams sostiene che l’attenzione incida su tre aspetti fondamentali della nostra vita:

● quello che facciamo (lui lo chiama “spotlight”, “proiettore” in italiano)

● quello che siamo (“starlight”, ovvero “luce delle stelle”)

● e, soprattutto, quello che sappiamo e quello che vogliamo perseguire (“daylight”, “luce del giorno”)

È giunto il momento di riprendere il controllo della nostra attenzione, perché perdendolo, perdiamo la nostra libertà.

L’attenzione influisce su quello che facciamo

Il “proiettore” corrisponde al primo livello di attenzione, quello che le distrazioni disturbano per primo. Ogni volta che riceviamo una notifica, impieghiamo circa 23 minuti a ritrovare la concentrazione. Non solo: Williams cita ricerche secondo cui “l’esposizione ripetuta alle notifiche può portare l’utente ad interrompersi da solo, anche senza l’intervento della tecnologia”. In poche parole, disattivare le notifiche non basta: se abbiamo subito frequenti distrazioni, la nostra attenzione è compromessa.

L’attenzione influisce su chi siamo

Quella che Williams chiama poeticamente “luce delle stelle” corrisponde alla nostra visione di chi siamo. Questo secondo livello di attenzione influenza la nostra scala di valori. Non è una novità il fatto che le opinioni altrui possano avere un’influenza sulla nostra personalità. I social media, però hanno aggiunto un’aggravante: ci hanno messo in competizione gli uni con gli altri per attirare l’attenzione altrui. Il rischio è quello di ritrovarci a passare “sempre più tempo a trovare cose intelligenti da dire” sui social, ossessionati dal numero di like, condivisioni e reazioni che i nostri contenuti potranno suscitare.

Come non pensare all’episodio di Black Mirror in cui l’unico modo per accedere a lavori ambiti e residenze prestigiose è ottenere un punteggio elevato ogni volta che si interagisce con qualcuno?

Da genitore, poi, queste riflessioni assumono un’importanza ancora maggiore: le ricerche citate nel libro dimostrano che oggi “il valore più trasmesso nei programmi per bambini risulta la ricerca della celebrità”, a discapito del senso di giustizia o della solidarietà tanto cari ai nostri Lady Oscar e Piccole Donne. Se siete avidi di esempi delle terribili conseguenze di questo narcisismo crescente, ne troverete altri nel libro (pagg. 59 e 60 nella versione inglese).

L’attenzione influisce su quello che sappiamo e sui valori che perseguiamo

Il terzo livello di attenzione è il più profondo. È quello che influisce sugli obiettivi che ci fissiamo e sui modi di raggiungerli. Quando la “luce del giorno” è compromessa, le conseguenze possono essere disastrose.

In che modo la tecnologia oscura la nostra “luce del giorno”?

● Ci rende meno intelligenti, ahimè! Williams cita una ricerca commissionata da Hewlett-Packard, il cui risultato era une diminuzione del quoziente intellettivo di ben 10 punti nei soggetti distratti da e-mail e telefonate. Questa “diminuzione dell’intelligenza e delle altre capacità cognitive” sarebbe addirittura due volte superiore a quanto rilevato nei consumatori di marijuana.

● Ostacola la capacità di avere dei momenti di calma e riflessione. Abituato ad essere sempre in costante attività, il nostro cervello non apprezza più quello che Williams chiama “temporaneo non-pensiero”. Le conseguenze di questa mancanza di riflessione sono particolarmente pericolose per lo sviluppo cognitivo dei bambini. Sarò anche sadica, ma ogni volta che mia figlia dice “mamma, mi annoio!” io rispondo “Brava, continua!”.

● Ci rende più irascibili. Sui social media, tutto può potenzialmente diventare virale nel giro di pochi minuti, in particolar modo i contenuti suscettibili di scatenare la nostra disapprovazione. Siamo tutti bravissimi ad unirci ad un coro di voci indignate, ci permettiamo giudizi affrettati e inappropriati, spesso senza neanche disporre delle informazioni corrette e/o necessarie per esprimere un parere.

Si tratta di quello che Williams definisce “proliferazione dell’oltraggio morale”. Più ci sentiamo “arrabbiati e disgustati”, più saremo inclini a gridarlo ai quattro venti online. Questo atteggiamento si rivela controproducente, perché può rivelarsi dannoso nei confronti dei movimenti di difesa di interessi sociali, ma anche per le conseguenze sproporzionate che esso può avere sulla vita delle persone.

Stiamo davvero facendo abbastanza?

Il libro “Scansatevi dalla luce” di James Williams non va considerato luddista o anti-tecnologico. Al contrario: è una miniera di esempi e suggerimenti per incoraggiarci all’azione e contribuire a creare una relazione più sana con la tecnologia.

Molte delle cose che reputiamo sufficienti ad avere il controllo sulle tecnologie, in realtà non bastano:

● Disattivare le notifiche, cancellare le applicazioni dal cellulare, installare un’estensione per non ricevere pubblicità quando si naviga su Internet, impostare lo smartphone in bianco e nero, seguire la moda del digital detox

● Confidare sull’educazione, sperando che il solo fatto di riconoscere le cause e le conseguenze della valanga di distrazioni basti a riprendere il controllo sulla nostra attenzione. O, peggio, pensare che spetti (solo) alla scuola insegnare ai nostri figli a fare buon uso della tecnologia

● Sperare che i “sistemi di persuasione intelligente” si autoregolino spontaneamente con lo scopo di fare in modo che “il design si allinei con il benessere dell’umanità”.

Diventare proattivi

Un modo per andare oltre potrebbe essere instaurare un dialogo costruttivo con le aziende, facendo sentire la nostra voce per fare in modo che prendano in considerazione quello che il filosofo inglese del ‘900 John Stuart Mills definiva il nostro “pressoché infinito appetito per la distrazione”.

L’ultimo capitolo del libro descrive nel dettaglio le proposte che, secondo Williams, potrebbero essere portate all’attenzione (ah ah!) di aziende, designer e responsabili marketing coinvolti nei “sistemi di persuasione intelligente”. Proverò a riassumerle in due punti, rimandando alla lettura del capitolo 12 del libro per gli approfondimenti[2].

Prima ancora di essere dei dati, gli utenti sono esseri umani.

Parlarne come tali, anziché come “target”, “funnel” o “follower”, potrebbe aiutare a valorizzarne le intenzioni, anziché manipolarne l’attenzione. Un esempio di design etico potrebbe essere il seguente: perché vedersi costretti ad installare dei plug-in per bloccare la pubblicità? Non sarebbe molto più rispettoso, verso le persone che navigano su Internet, se i browser avessero queste estensioni di default? Chi gradisce gli annunci pubblicitari dovrebbe essere libero di attivarli (e non l’opposto, come avviene oggi). Fare lobby in favore di un design più empatico, etico e trasparente è possibile.

“Misurare quello che a cui diamo importanza, anziché dare importanza a quello che misuriamo”

○ Capire l’intenzione che anima coloro che fanno delle ricerche su Internet, per poter dare loro quello che realmente cercano.

○ Rispettare il fatto che alcune persone sono più vulnerabili di altre, anziché approfittare delle loro debolezze

○ Tassare le aziende che superano un certo livello di “inquinamento” dell’attenzione.

Conclusione

Questa lettura è stata una vera rivelazione per me, sia dal punto di vista personale che professionale. In qualità di redattrice web specializzata in soluzioni digitali, ma anche e soprattutto in quanto persona affascinata dalla tecnologia e madre di due bimbe nate sotto il segno di YouTube.

È davvero possibile cambiare le cose? È possibile riprendere il controllo della nostra attenzione nonostante le innumerevoli fonti di distrazioni di cui ci ritroviamo schiavi? Né io né Williams siamo in grado di dare una risposta certa a questa domanda, ma entrambi sembriamo essere d’accordo sul fatto che valga la pena provare. I risultati non saranno forse immediati, ma potrebbero fare la differenza a lungo termine.

Se vi interessa approfondire l’argomento, ecco tre modi per farlo:

1) Date un’occhiata a questo articolo riguardante i 5 rimpianti più comuni di chi sta per morire. Indovinate un po’? Passare più tempo su Facebook non è nella lista!

2) Leggete il libro “Scansatevi dalla luce” (la versione inglese è disponibile in open access qui) e guardare la TEDx Talk di James Williams (disponibile con sottotitoli in italiano).

3) Fate un giro sul sito dell’organizzazione no-profit di cui l’autore è cofondatore insieme ad un altro ex di Google, Tristan Harris. È una vera e propria miniera di informazioni e risorse per privati, aziende e scuole, attualmente disponibile solo in inglese.

E soprattutto, se pensate che la nostra attenzione meriti attenzione, passate parola!

[1] “Stand out of our light” (Cambridge University Press, 2018). Pubblicato in Italia da Effequ, 2019.

[2] Lo scopo di questa nota è solamente quello di ringraziare dell’attenzione quanti saranno riusciti ad arrivare (quasi) alla fine di questo articolo. Ci siamo quasi, mancano solo poche righe!

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Laura Mattiucci
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