Con Joe Meek nel Villaggio dei Dannati

Livia Satriano
6 min readOct 31, 2017

--

Ho sempre avuto una predilezione particolare per le storie che sembrano raccogliere in sé casualmente — o forse no — elementi di altre storie, che dialogano fra loro come se si conoscessero da sempre…

L’altra sera mentre guardavo il film Il Villaggio dei Dannati il mio pensiero è stato come magicamente traghettato verso la figura mitica di Joe Meek. Non so bene come il mio cervello avesse deciso di unire queste due storie eppure, a pensarci bene, l’associazione non era del tutto casuale come poteva sembrare.

Siamo nell’Inghilterra degli anni Sessanta, rurale nel primo caso, inizialmente rurale e poi cittadina nel secondo. Joe Meek era infatti nato a Newent, nel Gloucestershire, un borghetto di campagna dell’entroterra inglese per poi trasferirsi da adulto a Londra per lavoro. Quindi quello che si presentava davanti agli occhi di Joe bambino non doveva essere molto dissimile da ciò che si vede nelle prime scene del Villaggio dei Dannati: i campi e i pascoli di pecore dell’immaginaria ma verosimile Midwich, paesino rurale dove è ambientato il film.

Ma torniamo al film, una mattina Midwich si sveglia con uno strano presentimento e i suoi abitanti cadono a uno a uno come colpiti da un improvviso malore, vittime di uno strano e nefasto effetto domino.

Sempre di mattina, nella stessa Inghilterra degli anni Sessanta, due persone cadono di colpo a terra sul pavimento di un appartamento londinese su Holloway Road. Una di queste è Joe Meek.

Se presto si capirà che quello degli abitanti di Midwich è solo un torpore durato un paio d’ore, per Meek e per la sua anziana proprietaria di casa si tratta invece di un riposo più duraturo, decisamente eterno.

Ma arriviamo al punto: tutti i protagonisti della nostra storia, vale a dire gli abitanti di Midwich e Joe Meek, hanno a un certo punto incontrato gli alieni e questa è stata la loro dannazione.

Mi sono sempre chiesta come mai il Villaggio dei Dannati si chiamasse così se non c’erano in ballo forze demoniache o spiriti maligni. Nella sua versione italiana, il libro da cui il film è tratto si chiamava infatti, molto più didascalicamente, “I figli dell’invasione”, perché effettivamente è di questo che si tratta: alieni che ingravidano le donne di un paesetto dando così vita a una nuova stirpe intelligente. Mi è bastato però l’altra sera fare caso per un attimo a una battuta del film per capire come forse quel titolo non fosse poi stato dato a caso.

“Se tu non fossi schiavo di emozioni, di sentimenti, anche tu avresti il nostro potere”, David il figlio ‘alieno’ che tenta il padre scienziato alla conoscenza e chiede la sua collaborazione per fuggire dal villaggio, un piccolo Mefistofele che visita il dottor Faust e cerca di strappargli una firma. Ma dannati forse in senso anche più ampio perché questi figli dell’invasione altro non sono se non delle anime in pena che vagano in attesa di migrare verso nuove mete, spiriti che infestano il villaggio e che agli occhi degli abitanti appaiono come entità sinistre e nemiche, al pari di antichi capri espiatori o di più moderne streghe da bruciare.

Poi l’illuminazione: Joe Meek era davvero ossessionato dal Villaggio dei Dannati e forse non c’è da sorprendersi visto il suo interesse per l’occulto e il mistero. Le sedute spiritiche, le visite al cimitero per registrare suoni ultraterreni, tutti racconti che fanno ormai parte della leggenda del personaggio Joe Meek. Joe amava quel film così tanto da convincere il suo amante e protégé Heinz Burt a colorarsi i capelli biondo platino come i piccoli alieni protagonisti del film. Ma non finisce qui: lo stesso anno in cui nelle sale usciva il film, Meek pubblicava un ep — “I Hear A New World” — che sarebbe benissimo potuto essere la sua colonna sonora, intriso com’è delle stesse atmosfere inquietanti e spaziali del film. È come se si muovesse casualmente in un universo concettualmente parallelo ad esso.

Il Villaggio dei Dannati racconta un mondo che sta cambiando, un mondo dominato da forze e variabili nuove che tuttavia si scontrano con un’antica mentalità non ancora del tutto pronta ad accoglierle. Racchiude in sé l’essenza degli anni 60, in un Vodka Martini agitato non mescolato in cui dentro c’è di tutto, dal dibattito sulle scienze e tecnologie, alla guerra fredda al presentimento di una rivoluzione nella mentalità e nel costume che sembrano ormai alle porte. Questi figli biondi e alieni, così diversi da noi, sono già il simbolo di un mondo nuovo che sta per arrivare.

Proprio come nuovo era il mondo che sembrava presagire anche Meek già dal titolo del suo album. I bambini alieni sono familiari eppure così estranei, sembrano bambini normali ma sono in possesso di poteri incredibili a cui l’umanità non è ancora pronta. Rendere straordinario, perturbante il quotidiano è lo scopo del film, proprio come Meek che creava suoni ultraterrestri registrando i suoni ‘quotidiani’ degli oggetti presenti nella sua casa-studio. Meek prefigura un mondo nuovo, fatto di conquiste lunari, etichette indipendenti e libertà sessuali che purtroppo non avrà mai la fortuna di vivere in prima persona. Non a caso “I hear a new world / haunting me” sono i primi versi che riecheggiano nel disco ma sono anche le voci degli abitanti di Midwich, che sentono che qualcosa sta cambiando con i piccoli figli extraterrestri lì fra loro a infestare il villaggio.

La nuova realtà che si manifesta agli abitanti di questo piccolo borgo di campagna è una minaccia che li perseguita. E anche Meek è perseguitato, dalla legge, dalle paranoie e dai suoi fantasmi, dalla vita. Musicalmente le sue tecniche di registrazione casalinghe se da una parte sono innovative e incredibilmente peculiari, dall’altra non riusciranno a tenere in seguito il passo dei giganti che stavano lì per esplodere. Beatles, Rolling Stones e poi Dylan dall’America erano rivali troppo grandi per pensare di poterli scacciare dalle classifiche con un singolo registrato in cucina. Ma soprattutto univano il concetto di superstar a quello di autori, quindi in poche parole bastavano a se stessi. Il mondo dei produttori ex-machina, degli Spector, dei Meek era destinato a un’inesorabile estinzione. E per quanto riguarda l’ironia della sorte, basti pensare che l’omosessualità verrà legalmente accettata in Inghilterra solo pochi mesi dopo che Meek decise di farla finita sparandosi un colpo di fucile nel 1967. Il 3 febbraio, nello stesso giorno in cui anni prima moriva in un incidente aereo Buddy Holly, l’eroe di Meek. Lì in quell’appartamento su Holloway Road, dove l’abbiamo lasciato un po’ di righe sopra, dopo aver sparato alla sua padrona di casa che insistentemente richiedeva quei soldi che Joe Meek in fondo non aveva mai guadagnato o che forse non aveva mai investito troppo bene.

Come tutte le storie di fantasmi e dannazione, né Joe Meek né gli alieni bambini abbandoneranno forse mai l’appartamento e la casa dove si trovavano alla fine delle loro rispettive, infelici storie. Nel corso degli anni in molti li hanno evocati — proprio come Meek stesso faceva con il suo eroe Buddy Holly — in una spirale di richiami, citazioni e onori perché la musica e l’arte, come la storia, si ripetono e perché in fondo si sa che “regnare all’inferno” è una prospettiva sempre più allettante di “servire in paradiso”.

--

--