Perché non possiamo stare senza fare niente?

Cristina Loche
6 min readOct 10, 2023

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Foto di Becca Tapert su Unsplash

Ieri ero in palestra, in questi giorni ho dovuto ridurre il mio carico di allenamento perché mi fa male la schiena. Come risultato, mi sono trovata a finire la mia scheda 20 minuti prima. Ho deciso, dunque, che avrei raddoppiato il mio tempo di cardio finale, ho scelto la cyclette sempre in virtù dei miei problemi. Dopo essermi seduta e aver iniziato a pedalare, ho iniziato a guardare nel vuoto. Poi il monitor, poi intorno a me. Il mio cervello ha iniziato a rendersi conto che, a parte muovere le gambe, non avevo niente da fare. Ho iniziato ben presto a imprecare contro me stessa per non avere con me il telefono.

Ero molto orgogliosa del fatto di lasciare sempre il mio smartphone ben chiuso nell’armadietto, tirandolo fuori addirittura dopo essermi fatta la doccia e vestita (generando anche episodi veramente distintivi di questa epoca: dopo una mattinata no contact, mia madre aveva già cercato tutti quelli che mi conoscono per sapere come mai non rispondevo al telefono). Ero molto orgogliosa, dicevo, ma ieri mi sono resa conto che è piuttosto facile dimenticarsene quando si ha qualcosa da fare, in particolare se si tratta di una attività impegnativa dai ritmi serrati.

Tuttavia, non appena mi sono trovata a mani vuote, non desideravo nient’altro che il mio device e un paio di cuffiette. Come potevo pedalare, ferma, per tutto quel tempo, senza neanche sentire un podcast di true crime? Senza Tiktok? Senza il Q&A del mercoledì di quel tizio che seguo su Instagram? Ero spaesata, digrignavo i denti, volevo solo saltare giù per andare a fare qualcos’altro.

La stessa frustrazione che mi prende quando, nei miei momenti liberi, mi metto a scrollare, senza cognizione di spazio e tempo, per poi rendermi conto che sono passate ore. E ogni volta mi maledico: perché non ho letto un libro? Perché non ho portato avanti quell’hobby che ho iniziato e a cui ho dedicato un pomeriggio e uno soltanto?

Spesso il mio alibi è che lavorando nella comunicazione, devo sapere come vanno i social, come funziona il mondo online, che rapidamente cambia. A volte inizio una sessione di smartfoneggio (smartphone + cazzeggio) dicendomi che raccoglierò tante idee da buttare giù per i miei contenuti, mentendo sapendo di mentire a me stessa, poiché non prendo né taccuino né penna e alla fine mi ricordo metà delle idee geniali che ho avuto.

Si, non sto dando una bella immagine di me, chi mi sta leggendo probabilmente penserà che sono un po’ una scemotta, se non per la dipendenza dal virtuale in sé, piuttosto perché lo sto ammettendo platealmente.

Ma non c’è da vergognarsi e vi dico come mai.

Si tratta di dopamina

Secondo Anna Lembke, psichiatra e specialista delle dipendenze di Stanford, “ognuno di noi ha una droga digitale preferita”.

I vari device, software, social, ecc. sono costruiti e istruiti per insegnarci a prestare loro la massima attenzione e no, non è una teoria complottista: sempre più studi neuroscientifici ci spiegano che:

  • le nuove informazioni creano un afflusso di dopamina, un neurotrasmettitore “della felicità”, verso il cervello;
  • l’aspettativa di nuove info obbliga il cervello a ricercare nuovamente quella scarica di dopamina.

Si, Lembke ha ragione.

La costante “assunzione”, che sia una notifica dei social, una mail o un suggerimento di contenuti che ti potrebbero interessare, rinforza la risposta di piacere e il cervello è costruito proprio per cercare di provarla ancora e ancora.

Qual è il problema?

Quando milioni di utenti arrivano a toccare lo schermo del proprio smartphone più di 2500 volte al giorno significa che la dipendenza è consolidata e proprio come quelle affettive o da sostanze, se si rimane senza è un problema. Avete presente quando i prodotti Meta sono in down e tutti si riversano, anche un po’ sclerando, su Twitter? Volevo dire X, scusate, è l’abitudine. La psicologa irlandese Hilda Burke riferisce di come questa addiction abbia anche minato l’intimità dei suoi pazienti: “Di solito uno dei partner prova frustrazione perché l’altro non è in grado di prestare attenzione, ma esistono anche coppie che ammettono che il problema li riguarda entrambi”.

Come siamo diventati

C’è chi soffre di nomofobia (no mobile phone phobia) e se dimentica il telefono a casa prova sudori freddi e attacchi di panico; c’è chi ha una soglia di attenzione ormai ridotta a 15–30 secondi, superati i quali prova frustrazione verso il contenuto che sta fruendo e lo scarta; c’è chi guardando un film o ascoltando un podcast ha comunque bisogno di aggiornare sempre la home di ciascun social per vedere cosa c’è di nuovo o, ancor meglio, se ci sono notifiche; ci sono quelli che non hanno più l’abitudine, o non sentono il bisogno, di approfondire e considerano più che legittimo basare reazioni e opinioni su titoli di giornale o brevissimi estratti di articoli.

Ma non si tratta solo di cambiamenti nel comportamento. Il dottor Nicholas Kardaras nel suo libro Digital Madness cita uno studio che, dato un campione di studenti universitari, correla la permanenza per tre ore o più sui social a disturbi del sonno e risultati scolastici piuttosto scadenti. Sono stati osservati in questi studenti anche più alti tassi di stress, depressione e uso di sostanze. L’ipotesi è che dietro ci sia anche un problema di comparazione tra la propria vita e quello che ci viene mostrato online (ma qui si apre un altro capitolo che sarebbe altrettanto interessante esplorare). Lo so bene, correlation does not imply causation, ma gli studi su questi temi si moltiplicano ogni anno che passa e dati più certi non tarderanno ad arrivare.

Siamo nati così

Ma torniamo a noi, alla domanda di apertura: perché non possiamo stare senza fare niente? Più precisamente: perché abbiamo sempre bisogno di prestare la nostra scarsissima attenzione a qualcosa?

In fondo in fondo lo sappiamo che la maggior parte di quelle notifiche, se non tutte, non hanno bisogno della nostra costante presenza. Come dicevamo, c’è una ragione chimica: la dopamina. Ma davvero è solo una questione di dipendenza? O c’è altro?

Gli esseri umani sono diversi da tutti gli altri animali: abbiamo la capacità di immaginare e concepire cose che neanche esistono, ancora. E siamo anche l’unica specie in grado di capire che la morte fa parte del nostro destino. Secondo gli psicologi abbiamo sviluppato culture e tradizioni proprio in virtù di questa consapevolezza.

Siamo però anche l’unica specie che sente il bisogno primario di fare qualcosa, di tenersi impegnati. Dico primario non a caso: infatti gli altri animali, una volta soddisfatta fame, sete, riproduzione e sonno, sono a posto. Ecco, a noi non basta. Diventa di vitale importanza “fare”. Ci rende felici. E ci distrae.

Si, perché non è da sottovalutare il fatto che quando la mente è libera di vagare, di annoiarsi, da una certa età in poi, gli scenari che siamo in grado di costruirci sono spesso pieni di complicazioni e probabili previsioni catastrofiche. A questo punto, è meglio distrarsi. Uno scroll alla volta.

Le possibili soluzioni

Io di soluzioni non ne ho. Ecco l’ho ammesso. Magari posso dirvi cosa sto facendo:

  • continuo a tenere il telefono nell’armadietto della palestra. Resisto. C’è gente che va sull’Himalaya, per l’amor di Dio!
  • tolgo internet prima di fare l’ultimo gradino che mi porta in camera da letto: la prima sera ci ho messo tre quarti d’ora ad addormentarmi, adesso va meglio
  • su Facebook e Instagram ho cercato di selezionare solo account e contenuti che mi diano qualcosa: spunti per informarmi, imparare o che riguardino argomenti che mi interessano davvero. Se proprio non posso evitare di perdere lì il mio tempo, che sia almeno una bella esperienza. Tiktok, con la sua folle selezione dei “Per te”, è invece una bella gatta da pelare. Suggerimenti?
  • ho aperto questo spazio e i relativi canali social, per tenermi impegnata in qualcosa di costruttivo.

Fonti:

The Wall Street Journal Digital Addictions Are Drowning Us in Dopamine https://www.wsj.com/articles/digital-addictions-are-drowning-us-in-dopamine-11628861572

Dr Nicholas Kardaras Digital Madness https://www.amazon.com/Digital-Madness-Driving-Crisis-Restore/dp/125027849X

The Journal What is being constantly online doing to our brains? https://www.thejournal.ie/impact-of-being-always-online-5684491-Feb2022/

Science Direct Smartphone addiction, daily interruptions and self-reported productivity https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2352853217300159

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