Appunti sulle elezioni politiche 2022

Lorenzo Cassata
4 min readAug 8, 2022

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Il 25 settembre si voterà per eleggere 400 deputati e 200 senatori della repubblica.

Il sistema elettorale prevede che i due terzi dei seggi siano scelti su base proporzionale, distribuiti alle liste che ottengono almeno il 3% dei voti.

Essendo quindi prevalente il proporzionale, l’elettore dovrebbe — secondo me — basare principalmente il suo voto sulla preferenza “ideale” alla lista che più lo rappresenta. Il cosiddetto voto utile potrebbe riguardare, al massimo, la scelta di una lista con più probabilità di raggiungere la soglia di sbarramento del 3 per cento.

Un terzo dei seggi è scelto attraverso un sistema uninominale, cioè eleggendo il candidato, in ciascun territorio, che prende più voti degli altri. Questo è il motivo per cui si fanno le “alleanze elettorali” o “coalizioni”. Non è possibile esprimere un voto “disgiunto”, scegliendo cioè un candidato uninominale appoggiato da una lista diversa da quella scelta per il proporzionale (come era nel cosiddetto Mattarellum). La scelta elettorale basata principalmente sul candidato uninominale è secondo me insensata. La stragrande maggioranza dei collegi, secondo gli analisti, è già “assegnata” a una “coalizione” (in larga parte dei casi al centrodestra, in una minore quota al centrosinistra) e solo in pochi territori c’è una vera “lotta” tra candidati (vedi qui la simulazione di fine luglio dell’Istituto Cattaneo). Il candidato o la candidata quindi dovrebbero contare poco nella scelta elettorale e per condurre al “voto utile”.

Votare una lista significa automaticamente votare anche il candidato o la candidata “uninominale” e se quel candidato o candidata è davvero “indigeribile” ovviamente può rappresentare invece un disincentivo a votare anche la lista.

Inoltre esiste anche un altro problema di eventuale “voto indiretto”. Se all’interno di una “coalizione” una lista non ottiene il 3% (ma supera l’1%) i suoi voti sono ridistribuiti tra le altre liste dell’alleanza.

La mia opinione è quindi che se le scelte elettorali fossero razionali dovrebbero basarsi principalmente sulla lista preferita e solo secondariamente sul candidato nel collegio uninominale. E se fossi io a scegliere i candidati, mi concentrerei soprattutto sulla scelta dei listini proporzionali bloccati (che dovrebbero guardare gli elettori per scegliere la propria lista “preferita”), meno sui collegi uninominali (che potrebbero avere al massimo un effetto “scoraggiante” al voto per la coalizione o alleanza), o meglio nei collegi uninominali sceglierei candidati il meno possibile “divisivi”. Per questo apprezzo, nei “patti” firmati dal PD con varie forze politiche, soprattutto questa frase:

“Le parti si impegnano a non candidare personalità che possano risultare divisive per i rispettivi elettorati nei collegi uninominali, per aumentare le possibilità di vittoria dell’alleanza”.

(il patto PD-Azione e +Europa, il patto PD-Verdi-Sinistra Italiana)

Detto questo, ho l’impressione che la gran parte di elettrici ed elettori non voteranno nemmeno sulla base dei listini proporzionali, ma semplicemente la lista che corrisponde al loro leader nazionale preferito. Non è un caso che quasi tutte le liste (la totalità di quelle di centrodestra) contengano il nome del “capo” nel simbolo che comparirà sulla scheda.

Capisco che questa opinione differerisca da varie idee espresse da autorevoli commentatori e commentatrici, che ritengono fondamentali i collegi uninominali.

Scrive ad esempio Concita De Gregorio:

Le elezioni del 25 settembre saranno decise da quanto saranno attraenti i candidati nei collegi uninominali, quelli dove vince chi ha solo un voto più dell’altro”.

Tuttavia, mi permetto di dissentire e di ritenere che i candidati “legati ai territori” siano sempre stati una enunciazione di principio più che una realtà fattuale: meno che meno lo diventeranno in questa occasione.

Il problema delle firme

I simboli elettorali potranno essere presentati dal 12 al 14 agosto al Viminale. Le liste dei candidati saranno invece depositate fra il 20 e il 21 agosto presso le cancellerie delle Corti di Appello.

Per presentare le liste, occorre raccogliere 1.500 firme per ogni collegio proporzionale. Alla Camera sono 49 collegi, quindi per presentarsi in tutta Italia un partito deve presentare almeno 73.500 firme. La legge prevede una riduzione del 50% (750 firme per collegio) in caso di scioglimento anticipato delle camere. Quindi il totale è di 36.750 firme in tutta Italia.

Possono presentare le liste senza raccogliere le firme i partiti che abbiano un gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021: Pd, Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia, M5s, Liberi e Uguali, Italia Viva e Coraggio Italia. Ma anche i partiti che abbiano presentato candidature alle elezioni della Camera dei deputati del 2018 o del Parlamento europeonel 2019 in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio nel proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione (prendendo almeno l’1 %). E’ il caso di +Europa, Centro Democratico e Noi con l’Italia.

Impegno civico (Di Maio) potrà presentarsi senza raccogliere le firme perché ha messo nel contrassegno il simbolo del Centro Democratico di Tabacci.

La Lista “Italia c’è” di Pizzarotti è stata inserita nel nome del gruppo parlamentare di Italia Viva ed è quindi esentata dalla raccolta firme.

Azione sostiene di non dovere raccogliere le firme perché il suo nome precedente sarebbe “Siamo Europei” (che era nel simbolo del PD alle Europee del 2019, nelle quali fu eletto Calenda): ma si tratta di un’intepretazione forzata.

Dovranno certamente raccogliere le firme: L’Alternativa c’è, Italexit, Italia Sovrana e popolare, l’Unione Popolare, Alternativa per l’Italia, Vita, Forza del popolo, Rivoluzione sanitaria, UCDL.

La legge sulla presentazione delle liste

In questo file sto ricostruendo le alleanze e le liste finora annunciate:

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