Riflessioni intorno al Covid-19 — prima parte

Lorenzo Cassata
8 min readApr 13, 2020

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Subterranean Homesick Blues

Johnny’s in the basement
Mixing up the medicine
I’m on the pavement
Thinking about the government

Le attività “essenziali”

Chi, a parte Confindustria, dall’inizio della “pandemia” non ha pensato che chiudere tutte le attività non essenziali almeno per un paio di settimane sarebbe la cosa sensata da fare?

E alla fine, con estremo ritardo, ci siamo arrivati.

Ma se si va oltre l’emotività, questo pensiero interroga una questione fondamentale: quali sono le attività “essenziali”?

Ovviamente gli ospedali, certo, ma proprio tutti?

E poi tutto il comparto alimentare, e la sua enorme filiera, che comprende coltivatori, agronomi, magazzinieri, distributori, negozi più o meno grandi, cassieri, guardie giurate, fornai, fattorini a domicilio... Anche lì, dov’è la distinzione tra beni “essenziali” e “voluttuari”? Serve, in piena emergenza, produrre e vendere cibo di tutti i tipi e qualità? O non basterebbero gli alimenti di base? In questa situazione potremmo rinunciare alla incredibile varietà di alimentazione alla quale siamo abituati?

Tutti pensiamo che non serva produrre in fabbrica automobili, acciaio, plastica, carta, vetro. Ma è con le automobili che viaggiano anche i medici e i sanitari, con l’acciaio, la plastica, la carta e il vetro si compongono e imballano — tra le altre cose — medicinali e alimenti.

E’ fondamentale che continuino ad uscire i giornali, che proseguano i programmi di informazione. Ma questo significa che decine di migliaia di lavoratori della stampa e della tv continuano ad andare al loro posto di lavoro, o addirittura a fare servizi ed inchieste nei luoghi dove più è diffuso il virus? E’ tutto così “necessario”, o si può interrompere, ad esempio, talk show e ridurre il numero dei servizi, in modo da non mandare al macello cameramen, montatori, giornalisti, tecnici?

È necessario il lavoro di cura a domicilio, quello delle e dei badanti. Lo è anche quello delle e dei babysitter, riconosciuto anche dal Decreto del governo con un apposito bonus, per aiutare i genitori costretti a gestirli, magari mentre lavorano da casa in smartwork?

Probabilmente è “necessario” molto meno di quello che è rimasto aperto e funzionante.

E non è solo Confindustria della Lombardia il problema, ma lo stile di vita al quale è abituata una parte maggioritaria della popolazione occidentale.

Nel dubbio, forse la soluzione più corretta sarebbe (stata) quella di rallentare comunque tutta la produzione, anche nei settori industriali considerati “necessari”, avendo come obiettivo numero uno la salute e la sicurezza dei lavoratori, e chiudere davvero tutto, anche le produzioni “necessarie”, dove il contagio è fuori controllo, come in alcune province della Lombardia e dell’Emilia Romagna.

Questo non toglie che l’atteggiamento di Confindustria e Confcommercio in Lombardia sia stato ed è inaccettabile, e lo sia stato vieppiù nella settimana che ha creato le condizioni per il successivo disastro.

Ma ad accompagnarli sono stati praticamente tutti i politici, dal sindaco di Milano di “centrosinistra” Sala con la sua campagna omicida “Milano non si ferma”, al presidente della regione Lombardia Fontana, che — prima di finire in quarantena con un’inutile mascherina messa male in diretta Facebook — minimizzava e si associava anche lui alla retorica della locomotiva d’Italia.

The man in the trench coat
Badge out, laid off
Says he’s got a bad cough
Wants to get it paid off

Il capro espiatorio del giorno

Viviamo nella società dell’odio di massa. Ogni giorno la cronaca e i media ci rifilano un “colpevole” di questa assurda situazione in cui ci troviamo.

E ogni giorno la stragrande maggioranza degli italiani, grazie al cattivo individuato come tale, si può sentire — lui sì — un bravo cittadino responsabile.

Look out kid
It’s somethin’ you did
God knows when
But you’re doin’ it again
You better duck down the alley way
Lookin’ for a new friend

Siamo passati dai cinesi untori, anche se non hanno mai visto Wuhan nemmeno in cartolina, ai cattivi tedeschi che “sapevano tutto” e hanno taciuto, ai comici francesi, ai “fuggiti al sud”, fino alle accuse ai vicini, ai runner, a chi fa una festicciola in giardino con i familiari, alle presunte “code” del weekend di pasqua, e così via. Ovviamente per giustificare il bisogno di incolpare qualcuno non mancano le teorie più o meno complottiste, anche suggestive. La colpa sarebbe dell’inquinamento, degli OGM, della geopolitica.

Questo è uno screenshot dal sito del “quotidiano” Libero

Trovare colpevoli, per scaricarsi la coscienza, per avere qualcosa o qualcuno contro cui sfogarsi, è un meccanismo umano. Ma certamente le responsabilità delle decisioni prese, con ritardi e imprecisioni, non è di singoli più o meno “incoscienti”, ma delle autorità di governo, internazionali, nazionali e locali.

Look out kid
Don’t matter what you did

[…]

Don’t follow leaders
Watch the parkin’ meters

Questo è uno screenshot dal sito dell’ANSA.

Il piagnisteo vittimista

L’altra faccia della medaglia dell’odio è quella vittimista. Abbiamo visto servizi allarmisti sulla crisi alberghiera a Riccione (tra gennaio ed aprile le presenze alberghiere nella riviera romagnola sono più o meno un decimo di quelle tra maggio e agosto), sui produttori di latte, i poveri avvocati e chissà quali altre categorie che sarebbero “le più colpite”. I più colpiti sono e saranno — come sempre — i poveracci. Quelli che arrangiavano uno stipendio in nero o ai margini di un sistema produttivo che si sta accartocciando, i detenuti, i migranti che vivono in 40 in casa (per loro il lockdown è una vera galera), o quelli che non vengono salvati in mare per motivi sanitari, i senza tetto (additati come untori, anche loro).

Facciamo come all’estero

Ogni giorno c’è un esempio estero, come da tradizione, dal quale l’Italia dovrebbe prendere esempio. La Cina, il Giappone, la Germania, la Corea del Sud, lo Stato di New York. Come quando si cerca un leader per la sinistra e si esaltano a turno e a casaccio Zapatero, Tzipras, Corbyn, Sanders…

Ma se si va ad analizzare cosa hanno fatto gli stati per contrastare il nuovo coronavirus, si scopre praticamente sempre che hanno fatto provvedimenti del tutto analoghi a quelli del governo italiano. Quasi ovunque in ritardo, come in ritardo è arrivata l’Italia. Dappertutto le attività produttive “necessarie” definite in modo sostanzialmente largo come in Italia sono rimaste aperte. Dappertutto si sono fatti i tamponi sostanzialmente a chi aveva la doppia condizione (contatto con un contagiato e sintomi). Perché allora in Italia ci sono tanti più intubati, tanti più ricoverati e soprattutto tanti morti in più che ovunque? In parte ancora non lo sappiamo, forse lo scopriremo a posteriori, quando tutto questo sarà finito. Ci sono motivazioni demografiche, probabilmente organizzative, sociali. In parte siamo stati sfortunati: probabilmente abbiamo avuto un focolaio incontrollato e siamo intervenuti, blandamente come tutti, con una ventina di giorni di ritardo: abbiamo chiuso la stalla quando i buoi erano diventati tutti neri, mischiando proverbi tradizionali e maoisti.

Il sistema sanitario

Abbiamo un sistema sanitario inadeguato? Certamente. Nessun sistema sanitario è predisposto per una pandemia. Su Netflix a gennaio (non capisco perché i complottisti non abbiano preso spunto) è uscita una serie “docufiction” che si intitola Pandemia globale. Ho visto solo le prime due puntate, ma di fatto è una serie che accusa l’attuale amministrazione americana di sottovalutare il possibile arrivo di una pandemia. Probabilmente la serie è stata finanziata dalle aziende che avevano in piedi progetti su questo, fatto sta che avevano ed hanno ragione.

Ma il sistema sanitario italiano, di cui ci vantiamo in continuazione, è effettivamente stato tagliato negli scorsi decenni. Invece di lavorare a una sua uniformità sul territorio e a farlo quindi diventare davvero “nazionale”, per garantire le migliori cure in tutte le regioni, si è continuato a dare “autonomia”, ovvero sempre più soldi (anche con tutti i tagli) al Nord Italia e meno al Meridione. Probabilmente anche senza i tagli il Covid-19 avrebbe portato al disastro, ma ricordiamoci che la sanità (come la ricerca) è un bene prezioso, di cui ci si accorge solo nel momento del bisogno, individuale o collettivo.

Il reddito di base e altre opportunità

C’è una petizione on line, io l’ho firmata, per estendere il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, per proteggere più persone dalle conseguenze economiche e sociali del virus. Mi sembra il minimo.

Probabilmente non basta. Il coronavirus in poche settimane ha distrutto le regole di Maastricht sul deficit, il patto di stabilità è stato sepolto, l’Unione Europea ha l’occasione per dimostrare di esistere. Le strade sono tante: finanziamenti a pioggia agli stati più colpiti, eliminazione dello “spread” attraverso il controllo centralizzato dei titoli di stato da parte della BCE, bond europei per il Covid-19.

Ma quello che il virus sta mettendo in crisi è lo stesso capitalismo. Andare a lavorare è dannoso. Se prima a dirlo era qualche estremista, oggi lo dicono le autorità di governo!

Forse da tanti disastri verrà anche qualche cambiamento nel rapporto, spesso malato, tra persone e lavoro.

I fit e le previsioni: scienza e politica, ancora protagoniste

You don’t need a weatherman
To know which way the wind blows

Tra le tante attività che ha risvegliato questa epidemia c’è quella di ricerca e analisi. Meritoria e fondamentale per cercare di capire come e quanto agire, quando e come vedremo una luce in fondo al tunnel.

In Italia si sono moltiplicati blog, liste di discussione e gruppi su Facebook che propongono analisi e paper che tentano di interpretare quello che sta accadendo.

E siamo ancora lì, al punto dirimente di tanti dibattiti degli scorsi decenni, al centro delle teorie che portarono ai movimenti del ’68. Il rapporto tra politica e scienza.

C’è ancora chi dice “lasciamo decidere gli scienziati”, quando è evidente che ci sono scienziati che la pensano in maniera diversa tra loro?

La scienza è intrinsecamente portatrice di teorie diverse, se così non fosse non progredirebbe e rimarrebbe ferma. E quando, come nel caso che stiamo vivendo, c’è una novità, rimanere fermi a vecchi schemi sarebbe un danno enorme. La scienza è — in parte — politica.

I politici devono ascoltare gli esperti prima di prendere decisioni importanti.

Ma questa crisi dovrebbe avere definitivamente aperto gli occhi a chi ancora crede sia possibile un “governo degli esperti” indipendente dalla politica. Qualsiasi governo fondato sul consenso dei cittadini è comunque migliore di un comando affidato a presunti “superpartes”.

Lo stato di eccezione

Keep a clean nose
Watch the plain clothes

Sì, viviamo in uno “stato di eccezione”. Ce lo ha ricordato Agamben in un criticatissimo articolo sul Manifesto del 26 febbraio. Tutto giusto (e direi anche ovvio) in quell’articolo, tranne, e non è poco, l’aggettivo “immotivato”. I motivi per questo “stato di eccezione” ci sono tutti, e i governi hanno tardato a rendersene pienamente conto. Semmai.

Quindi non si tratta della gestione della politica con la paura e le emergenze alla quale ci siamo abituati “eccezionalmente” ma continuamente (negli ultimi anni sono stati motivi di una legislazione border line guerre, terrorismi, terremoti, ma anche violenze negli stadi, pitbull che mordono, black bloc, ecc.).

Si tratta di un vero stato di eccezione, peraltro mondiale. Inedito, per la sua estensione.

Nessuno quindi deve perdere la ragione, ed è giusto ragionare sulla effettiva “costituzionalità” di molti provvedimenti adottati con DPCM, ordinanze e modalità semplificate.

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