Cambiamento. Comprendere la distanza tra quello che vorremmo fare e quello che sappiamo fare.

Luca Bergero
6 min readMar 1, 2018

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Quest’anno abbiamo avuto il piacere di partecipare ad Agile for Innovation 2018 presentando il talk “Innovazione e cambiamento. Una relazione fondamentale dall’organizzazione alla persona”,

La conferenza è stata una buona occasione per presentare uno dei temi a noi più cari ossia il cambiamento dal punto di vista della persona invece che da quello dei processi o degli strumenti. Un grosso spunto teorico per ragionare su questo tema ci è nuovamente giunto da Kegan e Lahey che, con i loro libri, hanno affrontato l’argomento da una prospettiva estremamente utile e fuori dal coro del change management più tradizionale.

Cambiare a partire dalle persone

Parlare di cambiamento soprattutto in ambito organizzativo è oggi molto comune. Ciò nonostante, cambiare sembra ancora molto difficile. Perché?

Lanificio Reda — Valle Mosso (Biella)

Recentemente un cliente ci ha contattato dicendoci: “Ho spiegato ai miei collaboratori che è necessario cambiare; gli ho spiegato il nuovo modello organizzativo che ho in mente, ma non ho visto succedere nulla!”.

Allo stesso modo, in rete sono disponibili innumerevoli articoli dedicati alla resistenza al cambiamento e ai modelli di change management per superare questa resistenza.

Riteniamo possa essere utile una voce alternativa, che ponga la giusta attenzione alla centralità delle persone. In questo senso la difficoltà delle sfide legate al cambiamento non è legata solo a una questione di volontà, ma va cercata nella distanza tra quello che anche con passione vorremmo fare e quello che realmente siamo in grado di fare.

Banksy. Keep your money I want change

È fondamentale tenere presente come sia estremamente difficile portare cambiamento nelle organizzazioni senza che avvenga un cambiamento al livello dei comportamenti dei singoli individui. Ma risulta molto difficile mantenere un cambiamento nel comportamento dei singoli individui senza considerare i significati sottostanti a quei comportamenti.

D’altra parte, per guidare il cambiamento, per essere leader di cambiamento, dobbiamo mettere in conto che potremmo dover cambiare proprio noi per primi.

Ma soprattutto se vogliamo comprendere meglio il cambiamento dobbiamo in primo luogo comprendere le inclinazioni (anche le nostre) a non cambiare.

Cambiamento, complessità, crescita

E quindi cosa distingue un ottimo leader di cambiamento? In primo luogo la capacità di svilupparsi e di creare a sua volta le condizioni perché le persone abbiano la possibilità di svilupparsi. Ossia la possibilità di far emergere e coltivare il talento, che come abbiamo avuto modo di sperimentare concretamente con il nostro talent canvas non è qualcosa di esclusivo, ma è sistemico e si concretizza nella relazione tra la persona e la sua organizzazione.

Molto spesso i temi del cambiamento, dell’innovazione e dello sviluppo vengono collegati a quello di una crescente complessità del mondo. Molto spesso la risposta che si dà a questa necessità consiste nell’aggiungere nuove competenze. Kegan e Lahey sottolineano giustamente come questo non significhi necessariamente essersi sviluppati, in quanto potremmo tranquillamente essere uguali a noi stessi e semplicemente con delle nuove competenze in più. Ma quando facciamo esperienza della complessità del mondo stiamo facendo esperienza della relazione tra noi in questo momento e la complessità del mondo. Siamo in qualche modo attori attivi in questa relazione.

Cosa possiamo fare quindi? Dobbiamo crescere e dobbiamo farlo anche da adulti. Fino ad alcuni anni fa si credeva che lo sviluppo della complessità mentale seguisse quello fisico. Ossia si credeva che si potesse crescere fino a vent’anni circa, per poi stabilizzarsi inesorabilmente.

Modelli più recenti, supportati dalle evidenze legate alla neuroplasticità, hanno suggerito qualcosa di diverso ovvero che la complessità mentale può crescere con l’età.

La complessità mentale può crescere con l’età e passare attraverso stadi diversi.

In questo nuovo modello, si verifica uno spostamento — quasi un salto — da soggetto a oggetto: se nei primi stadi di complessità mentale (socialized mind, self-authoring mind) siamo soggetto inconsapevole del nostro sistema di riferimento, nell’ultimo stadio (self-transforming mind) il nostro framework di riferimento diventa un oggetto che possiamo vedere esternamente a noi, valutandone i punti di forza, ma sicuramente anche i limiti.

Crescere da adulti quindi non significa solo aggiungere nuove competenze, ma proprio cambiare il modo con cui comprendiamo e diamo un senso al mondo. Il poter vedere con maggiore obiettività il nostro sistema di riferimento è proprio uno degli elementi chiave per i leader che vogliano guidare un cambiamento o una grande trasformazione.

I cambiamenti quindi non richiedono solo l’aggiunta di nuove competenze tecniche ma richiedono a nostra volta un adattamento più profondo, più personale e più intimo. Purtroppo, come suggerito da Heifetz e Linsky, uno degli errori più grossi commessi da chi guida un cambiamento consiste nell’affrontarlo proprio con soluzioni tecniche senza comprenderne la diversa natura e le diverse necessità.

Da soluzioni tecniche ad approccio adattativo

Come possiamo quindi aumentare la nostra capacità di affrontare questa sfida non tecnica, ma adattativa? Come possiamo potenziare la nostra capacità mentale di affrontare la complessità?

Quello che dobbiamo fare è in primo luogo arrivare ad identificare la nostra immunità al cambiamento cioè quel sistema di forze che ci tiene in equilibrio e non ci permette di cambiare. Spesso siamo inconsapevolmente bloccati da una recondita intenzione a non cambiare che ci protegge dalla paura e dal pericolo legato al cambiamento. Proprio qui risiede quella distanza tra ciò che vorremmo fare e ciò che siamo in grado di fare: diventarne consapevoli ci permette di avere sotto gli occhi questa sfida e di poterla affrontare.

Ma, nel concreto, in che modo possiamo sbilanciare questo sistema che sì ci protegge, ma che non ci permette di ottenere un miglioramento e un cambiamento che noi per primi desideriamo?

La prima cosa da fare è concentrarci nell’individuare le nostre convinzioni che supportano, giustificano e rinforzano le nostre intenzioni nascoste di resistenza al cambiamento. Le nostre convinzioni sono qualcosa che crediamo essere vero, sempre. Sono dei presupposti a cui abbiamo tolto il valore di ipotesi dando invece ad essi quello di verità assoluta. Purtroppo, avendole con noi sempre, iniziamo a usarle come filtri attraverso cui vediamo la nostra realtà.

Essendo la nostra realtà, quello che possiamo fare è trattare le nostre convinzioni per quello che sono: delle brillanti ipotesi. Le nostre convinzioni non sono sempre necessariamente sbagliate… Ma visto che spesso limitano il nostro cambiamento e il nostro sviluppo, tanto vale fare quello che si fa con le ipotesi: si testano.

Una delle modalità più efficaci per testare le nostre ipotesi è quello di condurre degli esperimenti sufficientemente modesti e sicuri che non cerchino di risolvere direttamente il problema, ma ci permettano di raccogliere sempre più informazioni da collegare alle nostre convinzioni in modo da vederle da prospettive diverse invece di guardarci attraverso.

In questo modo stiamo usando le nostre convinzioni come oggetto della nostra attenzione; stiamo facendo uno dei passi fondamentali per raggiungere un livello più elevato di complessità mentale. Uno stadio che ci permette, da adulti, di osservare e mettere in discussione il modo in cui diamo senso al mondo.

E grazie a questo nuovo sguardo adattativo, trovare nuove opportunità per affrontare il cambiamento.

Riferimenti bibliografici

Robert Kegan, Lisa Laskow Lahey. How the Way We Talk Can Change the Way We Work: Seven Languages for Transformation.

Robert Kegan, Lisa Laskow Lahey. Immunity to Change: How to Overcome It and Unlock the Potential in Yourself and Your Organization.

Robert Kegan, Lisa Laskow Lahey. An Everyone Culture: Becoming a Deliberately Developmental Organization.

Marco Calzolari. Agile HR: persone, competenze, organizzazioni

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