Il mio corso di imprenditoria per il giornalismo, 100 giorni dopo

Che cosa ho imparato e cosa faccio adesso

Lucia Caretti
7 min readOct 16, 2022

Un convegno sul futuro del giornalismo, un po’ di attesa alla fine per conoscere un collega stimato e strappare un consiglio. Anche questa avventura è iniziata così, come tutte le migliori occasioni che ho avuto. Il collega è Valerio Bassan (quello di Ellissi, sì) e il suo consiglio una sigla: CUNY, cioè City University di New York. La facoltà della Craig Newmark School of Journalism e del centro di ricerca di Jeff Jarvis, una delle pochissime al mondo a proporre un corso di “Imprenditoria per il giornalismo digitale”. Una specie di palestra per startupper delle news, dove si studiano i nuovi modelli di business per il giornalismo, le strategie per fare ricavi online e coinvolgere i lettori. Proprio quello che cercavo.

Per entrare ci sono volute le dritte di due italiani che ci erano già riusciti in passato, Valerio ed elisabetta tola. Poi un mese di fatiche notturne per preparare la candidatura e molta fortuna. Ma insomma, è successo: a marzo sono stata ammessa all’Entrepreneurial Journalism Creators Program della CUNY insieme a 31 colleghi da 15 Paesi, di tutte le età e le provenienze. Dall’ingegnere-reporter indiano al giornalista-sviluppatore libanese ai talenti africani e americani: un gruppo di fuoriclasse che mi hanno aperto la testa e oggi ho il privilegio di chiamare “amici”.

Ecco, oggi. Oggi sono passati poco più di 100 giorni dall’ultima lezione. La distanza giusta per fare un bilancio.

Spoiler: ho cambiato lavoro

Il 30 giugno la mia vita professionale è cambiata un po’ all’improvviso: ho concluso la mia formazione alla CUNY e la mia esperienza con Specchio dei tempi e Specchio d’Italia, le fondazioni benefiche dove per due anni ho coordinato lo sviluppo delle attività digitali. Il Primo luglio sono tornata a lavorare a Gedi come social brand manager de La Stampa. Gedi è il principale gruppo editoriale del Paese. La Stampa è il giornale della mia città, quello su cui ho imparato prima a leggere, e poi a scrivere, come cronista sportiva.

Il mio nuovo lavoro è una sfida bellissima, nel cuore della trasformazione digitale. Mi occupo della strategia e della produzione dei contenuti per i social media, in collaborazione con la redazione e i team di analisi dati, marketing e audience di Gedi Digital.

100 giorni di scuola

L’Entrepreneurial Journalism Creators Program (EJCP) è un corso pratico, in remoto, con lezioni interattive, seminari e incontri a piccoli gruppi. Dura 100 giorni ed è pensato per i lavoratori. L’obiettivo è aiutare le startup esistenti a trovare sostenibilità e incoraggiare i giornalisti a innovare i media avviando nuove imprese.

Durante il trimestre ti invitano a sviluppare un progetto personale, e io mi sono buttata su Undici.org: una newsletter sul calcio femminile italiano, per raccontare storie, raccogliere fondi e sostenere una squadra di bambine in difficoltà. Un sogno che unisce tutte le mie passioni e che per ora ho messo nel cassetto per concentrarmi sulla mia nuova avventura a La Stampa.

Il logo di Undici.org disegnato da Maria Soffientino e Kelly Paloci

Una strada per il futuro

Molto di quello che ho ascoltato all’EJCP dovrà essere coltivato nei prossimi mesi, e spero porterà frutto. Penso alle lezioni di Ariel Zirulnick su come si costruisce un programma di membership. E a quelle di Amanda McLoughlin su come si trasforma un hobby in una azienda che fa storytelling per Netflix. Da qualche anno frequento corsi di digital marketing e innovazione per i media, ma non avevo mai trovato niente di specifico come l’EJCP. Vorrei continuare a studiare queste materie e penso che siano la mia strada.

Prodotto — comunità — sostenibilità: i pilastri del corso

Il livello dei docenti che ho incontrato è altissimo. Abbiamo iniziato con Anita Zielina, giornalista e imprenditrice, una istituzione dello “sviluppo prodotto” per il settore delle news. Abbiamo concluso con Dan Otschinky, il massimo esperto di newsletter per i giornali. Nelle sessioni di gruppo ho potuto confrontarmi con Pit Gottschalk, che scrive una delle newsletter più lette in Germania. La mentor a cui mi hanno affidata, invece, è un premio Pulitzer: Jan Schaffer, una donna saggia e risoluta, che con ogni parola ti insegna qualcosa. Mi ha aiutata ad avere coraggio e guardare molto, molto più lontano.

Per tre mesi ho seguito le lezioni da casa e mi è sembrato incredibile entrare in una classe virtuale con persone collegate da tutto il mondo. Ho imparato a rispettare un appuntamento con me stessa e il mio futuro, nonostante le urgenze del lavoro. Mi sono trovata tra la chiusura di un incarico e l’inizio di un altro, un periodo infernale. In qualche modo sono comunque riuscita a bloccare quel tempo di formazione e concentrarmi bene spegnendo il resto. Spero di ricordarmelo sempre: si può fare!

Dieci cose che mi sono rimaste in testa

Non mi sono annoiata un secondo perché le lezioni erano preparate in modo impeccabile e ospitate sulle migliori piattaforme. La prova che la didattica a distanza può funzionare, basta usare la tecnologia giusta.

I materiali che ci hanno lasciato sono facili da consultare, belli, ordinati. Li sto riprendendo in queste settimane, perché a primavera non sono riuscita a leggere quanto avrei voluto. E perché alla CUNY mi hanno insegnato che “va bene così”: siamo fragili e pieni di richieste, non dobbiamo per forza stravolgerci e sentirci in colpa se non riusciamo a finire. C’è sempre tempo per recuperare, aggiungere, migliorare. L’importante è darsi delle priorità. E poi iniziare: “Meglio fatto che perfetto”.

Avevo incrociato questa frase in diversi libri di produttività e gestione del tempo. Però queste idee, e certi meccanismi, vanno interiorizzati: come quando passi dalla grammatica studiata alla capacità di tradurre e parlare una lingua.

Per questo sono sicura di aver imparato tantissimo all’EJCP. Perché più volte al giorno, di fronte ad un problema o ad una scelta, mi trovo a ripetere, tra me e me, uno degli insegnamenti più importanti che ho ricevuto. Eccoli.

  1. Passare da 1 a 2 è molto più semplice che passare da 0 a 1. Comincia, non rimandare!
  2. Il tuo tempo è limitato. Il tuo calendario deve riflettere le tue priorità e i tuoi valori, professionali e personali.
  3. Chiediti continuamente: cosa posso smettere di fare?
  4. La tua soddisfazione e la tua crescita dipendono da un solo quadrante della matrice di Eisenhower: importante-non urgente. Ogni giorno devi lavorare per questo quadrante.

5. Allontanati dalle persone passive-aggressive e dalle situazioni tossiche. Non fare né subire micro-management.

6. Dividi un grande obiettivo in piccoli task. E segnali sul calendario. Se la tua to do list non si incrocia con la tua agenda non serve a niente.

7. Le persone sono disposte a pagare molto di più di quello che pensi. Chiedi.

8. Prenditi cura di te: ascolta le tue emozioni e ricordati che la creatività ha bisogno di riposo. La salute mentale è importantissima e il rischio di burn out per gli startupper è alto.

9. Prodotto, community e sostenibilità sono intrecciati. Tutti pensano a come vendere abbonamenti, ma la sostenibilità comincia molto prima, dallo sviluppo del prodotto.

10. Un prodotto funziona se risponde ai bisogni di una comunità. Chiediti continuamente: chi sto servendo? Quale valore sto portando al mio target, grazie al mio prodotto?

Due grazie e una persona indimenticabile

Grazie a Meta, che mi ha offerto una borsa di studio del Facebook Journalism Project, e ha coperto interamente i costi del mio “master”. Grazie a James Morgan e a Virginia Giammaria, al team americano ed europeo che mi hanno supportata. È stato così semplice: ho mandato una mail, mi hanno accolta. Wow.

Con James Morgan al Festival del Giornalismo di Perugia

Grazie a Jeremy Caplan, il direttore e l’anima del corso. Ho avuto professori straordinari al liceo, un paio all’università e non pensavo che potesse capitarmi ancora. Invece sì. Jeremy è l’amico nerd che tutti vorrebbero avere (iscrivetevi alla sua newsletter Wonder Tools), quello che ti consiglia sempre il software giusto. È un giornalista e un imprenditore generoso, pronto a condividere i suoi contatti, il suo tempo e i suoi consigli. Uno che ti spiega con i fatti che “feedback is a gift”. Uno nato per insegnare, che all’ultima lezione si commuove e si becca una standing ovation da L’attimo fuggente. Perché se la merita.

L’ultima a lezione, con Jeremy Caplan in alto a sinistra

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Lucia Caretti

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