Il nuovo stile “Experimental trash” che spopola nel graphic design

Perché piace questo stile, tanto aggressivo quanto identitario, a cui tutti guardano con un occhio di interesse e uno di sospetto.

Ludovico Pincini
7 min readMar 17, 2019

Basato su una sperimentale ricercatezza formale, contaminata da derive elitariamente trash, questo stile esploso senza preavviso nell’ultimo biennio si pone come pietra d’inciampo della moderna progettazione grafica.

Non è uno stile di per sé codificato (per quanto se ne possa vedere sul web), tanto è vero che la stessa dicitura “experimental trash” è stata appositamente creata nella stesura di questo articolo al fine di dare un nome e un’etichetta sinteticamente descrittiva al fenomeno estetico che è oggetto del discorso.

The 6th Guangzhou Triennial Exhibition Identity by Another design

Ma cosa significa esattamente? Con experimental trash si fa riferimento allo stile di tutta una serie di soluzioni grafiche, in apparenza sperimentali e trattate come banco di prova da non pochi designer, che sono però utilizzate a livello commerciale e proprio questo aspetto ne fa scadere il carattere tipico dell’esperimento. Chi sperimenta infatti, di solito lo fa nel proprio laboratorio e con i propri mezzi, assumendosi oneri e onori degli incerti risultati dell’operazione, cosa che evidentemente contrasta con l’uso commerciale di questo stile. Dunque si può dire che si sta sperimentando sulla pelle (e a spese) dei clienti? Non esattamente. Perché per quanto non convenzionale e sempre pronto a stupire, è uno stile che si sta affermando con una certa prepotenza ed è più utilizzato di quanto si pensi, per cui l’effetto novità è tutto sommato calmierato da evidenze che provengono dal mercato stesso in cui l’experimental trash viene speso.

Il carattere sperimentale è strettamente collegato all’accezione di trash, le cui molteplici varianti costituiscono la vera e propria sperimentazione formale. In questo frangente il trash viene inteso come una categoria estetica, dotata di una sua autonomia e di precisi stilemi che ne definiscono il perimetro qualitativo, posizionandosi sul concetto di opera-spazzatura. È uno stile solitamente associato a profili di basso livello culturale che in via metaforicamente dispregiativa equivalgono a pattume, a qualcosa da cestinare senza troppi perché.

Se lo stile, diceva Joseph Rykwert, è la «forma costante dell’arte», l’experimental trash si pone come espressione creativa dichiaratamente trasgressiva. Infatti i designer che ne fanno uso si pongono in antitesi rispetto a quel ruolo di demiurghi della bellezza che è loro univocamente riconosciuto: anziché creare il bello, ciò che producono è qualcosa di ribelle, non convenzionale e intenzionalmente (avverbio da non sottovalutare) trash.

Homepage del sito ufficiale della Milano Digital Week

Sperimentale e anticonvenzionale. Sono due caratteri stilistici che storicamente si portano dietro un interesse elevato ma diffidente da parte della platea di osservatori. Come il paroliberismo futurista o le meno note foto plastiche di Moholy Nagy, al pari di tutte le altre sperimentazioni avanguardistiche che la storia dell’arte ha conosciuto, chi esce dal coro si fa sempre notare esponendosi alla mercé della discussione e ai pareri più contrastanti. Tra gli stilemi più ricorrenti si deve annoverare l’uso di colori non standard (soprattutto fluo), gli effetti glitch, quelli retrò o nostalgia, un citazionismo eccessivamente pop, o ancora, effetti volutamente naif che denotano una (finta) mancata padronanza di mezzi e strumenti. Tutte caratteristiche che portano a elaborati grafici estremi eppure molto personali, che hanno un retrogusto di trash ma che la mano esperta che li ha progettati riesce comunque a contenere e dosare in giusta misura. Gli esempi potrebbero essere tantissimi, tuttavia ne bastano pochi purché emblematici per risultare meno teorici e calarci più concretamente nel discorso.

Il primo esempio, che i designer di sicuro conosceranno, è niente meno che Baugasm, nome della collezione di poster design più famosa e prolifica di sempre. Ma anche il nome che indica per metonimia colui che all’anagrafe è noto come Vasjen Katro, l’autore per l’appunto di Baugasm che da quasi tre anni pubblica sulla sua pagina instagram un nuovo (trashissimo) post ogni giorno. Le sue grafiche esplodono in una vividezza di colori, nei materiali renderizzati riflettenti e trasparenti, in geometrie astratte che catturano lo sguardo. Nonostante ci siano tutti i presupposti per un risultato trash, si vede l’esperienza e la capacità di rendere chic questo gioco di sperimentazione. E il risultato, certamente affascinante, ha raccolto anche un vastissimo successo sul web che peraltro non sembra ancora aver intenzione di arrestarsi.

Poster design by Vasjen Katro; source https://www.instagram.com/baugasm/?hl=it

Un altro fenomeno social che ha scelto a buon diritto di abbracciare questo stile è senza dubbio il gruppo di designer che hanno dato vita al noto podcast Caffè Design. La loro missione è combattere la noia facendo informazione informale, ovviamente a tema design. E nessuno stile poteva essere meno noioso del frizzante e peperino experimental trash in mano alla trinità di Caffè Design. Testi sapienti e scanzonati, un mix di cultura e ironia che nelle realizzazioni delle grafiche di servizio del podcast, è il caso di dirlo letteralmente, raggiunge le più rosee vette di un trash di alta qualità.

Cover delle puntate di Caffè Design; source https://www.instagram.com/caffe_design/?hl=it

Nomen omen, come dicevano i latini, anche per le opere di Trash Been. Un collettivo di quattro progettisti di Ferrara che ha l’obiettivo di creare sperimentazioni grafiche basate sul nonsense. Non necessita di molte spiegazioni, dato che il nome è già tutto un programma, ma ancora una volta si riconoscono quei marcati stilemi elencati in precedenza. Decisamente unconventional.

Taken from Trash Been’s instagram page https://www.instagram.com/trash.been/?hl=it

Alziamo ancora di più l’asticella del trash sperimentale e tuffiamoci nel mondo delle assurde creazioni grafiche di Burro Studio [spoiler: contenuti a bassa digeribilità per i non designer]. Qui infatti non c’è più traccia della patina chic che rivestiva i casi precedenti, e la conclamata provocazione grafica tocca (per alcuni supera?) l’accettabile limite della sperimentazione. Qui siamo certamente oltre il concetto di “bello di una bellezza non-standard, qui siamo nel quasi-non-bello: una categoria estetica che per quanto non condivisa ha però il pregio di attirare o quantomeno generare un interesse visivo e arricchire di nuova linfa i rami rinsecchiti dell’albero della creatività grafica. Ben venga per la discussione sul tema.

Design by Burro Studio, source https://www.instagram.com/burrostudio/?hl=it

I casi mostrati sono accomunati dallo stile, ma differiscono per l’aggressività dei risultati. È indubbio che alcuni, come il vino, siano più “amabili” di altri e spendibili anche a livello professionale, non solo come virtuosismi da laboratorio grafico. Per lo più, però, sono solo per palati raffinati già abituati a masticare graphic design. Dov’è allora la commerciabilità? Quale posizionamento nel panorama professionale di tutti i giorni? Molto spesso questo stile è stato usato solo dai designer per i designer, o comunque utilizzato col contagocce da aziende che vogliono comunicare con un tono esuberante e farsi notare a tutti i costi, in un atteggiamento di cinquecentesca sprezzatura. Termine (vi risparmio la googlata sulla Treccani) con cui Baldassarre Castiglioni nel suo Cortegiano indicava quel modo di fare «ostentatamente disinvolto, di studiata noncuranza da parte di chi si sente molto sicuro di sé e dei propri mezzi».

Di queste sperimentazioni quello che ci resta è la crescente presenza di cui non possiamo non renderci conto, anche perché alla fine i contenuti virali come Baugasm impongono uno standard e ci obbligano in un certo senso a farceli piacere. Non necessariamente ad uniformarci, quanto piuttosto a convivere con la loro ingombrante e pervasiva esistenza. A voler fare un paragone si potrebbe dire che personalità come Vasjen Katro sono i Sagmeister contemporanei. Mentalità progettuali fuori dal coro ma con una risonanza mediatica sufficientemente ampia da influenzare la visione comune del design di oggi. Già, perché è la legge dello scroll che comanda: è su Instagram, piattaforma divulgativa e commerciale per eccellenza, che ciò che spicca o attira l’attenzione viene premiato.

Basta farsi un veloce giro sulla homepage di Behance per capire che i canoni estetici sono stati deformati negli ultimi 2–3 anni da questa tendenza in favore di grafiche sperimentali e poco digeribili per un palato più democratico e nazional-popolare. E non è un giudizio, è un dato di fatto. Quando il trash è intenzionale e raggiunge il suo apice di volgarità estetica, finisce per acquisire un suo spazio autonomo, ed ecco che diventa un’icona di stile adorabilmente snob tanto da trasformarsi in “posh”.

Trash, snob, chic, posh, e perché no, aggiungiamoci anche il kitsch. Sono un misto di termini che nascono come categorie estetiche diametralmente opposte, ma che se usate di proposito e con ragionata creatività possono fondersi e sostituirsi l’un l’altra. Uno stile difficilmente inquadrabile, un po’ pop e un po’ eccentrico, ma giusto quel tanto da farlo diventare ricercato, e dunque apprezzato anziché il contrario. Il confine tra l’elitaria ricercatezza formale e il trash da osteria sembra diventare più labile ogni giorno che passa: che i due in futuro siano destinati a viaggiare in coppia?

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By Ludovico Pincini, graphic designer. Milano (www.ludovicopincini.it)

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Ludovico Pincini

Graphic designer based in Milan 🇮🇹 Fighting everyday against ugliness.