La verità, vi prego, sulle fiabe

Riscrivere storie: sfide e inganni di un fenomeno culturale

Magic Mirror
6 min readOct 14, 2014

Io credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove.
Gianni Rodari, La freccia azzurra

Assomigliano a una coppia di pigiami, o al salame dove non c’è da bere: quali sono quelle “originali” e quali no e di cosa parliamo quando parliamo di “riscriverle”?

Rivisitare le fiabe classiche per offrirne una “nuova” interpretazione sembra essere un’ossessione di questi anni. Un esercizio, allo stesso tempo critico e puramente commerciale, che le rende nuovamente spendibili in territori dell’industria culturale un tempo a esse inassociabili. Biancaneve, Cappuccetto Rosso, Malefica, Peter Pan & Co sono diventati i protagonisti di lungometraggi cinematografici e serie tv, si sono vestiti di sfumature urban fantasy e semi-horror, hanno fatto capolino nei calendari sexy e nelle opere d’arte d’avanguardia. A patto, naturalmente, di dare una nuova interpretazione di sé, offrendo al pubblico un lato oscuro o poco conosciuto del proprio personaggio.

A morte le principesse Disney!

Per meritare una seconda novelizzazione (seriale e transmediale soprattutto) i protagonisti più conosciuti dell’universo del C’era una volta hanno dovuto sfoggiare il marchio del tradimento. Il loro sdoganamento al pubblico new adult, principale target di riferimento, assieme a quello adolescenziale, per le rivisitazioni delle fiabe in tv e al cinema, si è automaticamente associato a un surplus meta-testuale ben preciso. Nel prezzo del biglietto è stato inserito un rovesciamento di senso, tanto superficiale che profondo, riassumibile nel claim: “Non è la stessa storia”.

Ma in cosa è consistito questo cambiamento? E a quale modello socialmente diffuso e mediaticamente ipostatizzato è andato a contrapporsi?

Nonostante le opere di Hans Christian Andersen, dei fratelli Grimm e di Charles Perrault siano ancora oggi tra le più pubblicate (nella loro versione e-book sono disponibili gratuitamente in molteplici edizioni) per tutte le generazioni venute al mondo dal secondo dopoguerra in poi è la loro versione Disney a essere il metro di paragone. L’effetto di un intervento massiccio di riscrittura dell’immaginario fiabesco che ha toccato praticamente tutti i personaggi-chiave: Biancaneve, Cenerentola, la Bella addormentata, Raperonzolo, il Principe Azzurro, il Principe Ranocchio, la Strega Cattiva non sono più pensabili se non attraverso la mediazione della loro versione disneyana. Il che non implica l’azzeramento delle loro vite precedenti, anzi. Negli ultimi due decenni quella del “tradimento disneyano” è divenuta una vulgata da bar. Ci diciamo tutti consapevoli che la traduzione delle fiabe più famose in film d’animazione per un pubblico infantile e mainstream ha premuto l’accelleratore sull’happy end. E che a quest’ultimo ha sacrificato tutti gli elementi più destabilizzanti dei racconti originali, per impostare un rigido binario “buoni contro cattivi”.

Del resto nella dimensione non disneyana che potremmo chiamare la realtà fiabesca, povere creature come Raperonzolo e la Sirenetta il loro finale lieto se lo sono proprio dovuto guadagnare. La prima è dovuta passare per una gravidanza adolescenziale, lunghe peripezie nel deserto e un grave incidente di cecità, la seconda si è aggiudicata il Premio Internazionale “Sedotta e abbandonata”. Non solo ha sofferto le pene dell’inferno per diventare umana, ma alla fine non ha avuto nemmeno il suo principe e si è dovuta accontentare di un “e vissero felici e contenti” in Paradiso. Finali che, a riproporli ora, scatenerebbero per lo meno una rivoluzione 2.0 di fan inviperiti.

Despicable chi?

Abbiamo imparato a identificare le fiabe classiche attraverso un modello che percepiamo come il tradimento buonista di una più complessa narrazione originale. L’esca del restyling fiabesco che stiamo vivendo pesca in una viscerale ma non ben articolata necessità di risarcimento valoriale.

Fa presa sul bisogno di vederci restituito lo spirito genuino delle nostre fiabe di fondazione, compreso, o meglio, in primis, il suo lato oscuro.

Naturalmente il problema della scrittura delle fiabe è fondativo, e le querelle sulla “genuinità” della traduzione di un patrimonio orale collettivo in opere d’autore in inchiostro su carta hanno riempito pagine e pagine di critica letteraria e antropologia fin dai tempi dei Grimm. Ne parleremo ancora in futuro e con dovizia di approfondimenti.

Ora ciò che ci interessa è la meccanica di questo processo di riappropriazione che viaggia su molteplici piani mediatici ma senza sostanziali modifiche. Fumetti, serie tv, lungometraggi e romanzi ripropongono lo stesso schema: ecco i personaggi delle fiabe come non li avete mai visti. Spazio a Cappuccetto rosso contro gli zombie o a Biancaneve in versione guerrigliera. Ma anche, per contrappasso, al lato umano della Strega Cattiva e ai cascami sentimentali di Tremotino.

Perché il tradimento, che nel modello disneyano era dissimulato, nascosto da una grammatica di semplificazione, qui viene ostentato, ma con l’effetto di una rappresentazione non meno manichea.

Come? La serie tv Once Upon A Time ci offre un esempio particolarmente dettagliato di questo approccio. Le avventure degli abitanti di Storybrook, trasportati dal mondo delle fiabe a quello reale da un incantesimo, vogliono essere improntate al più radicale dei retelling. Il bene contro il male secondo gli autori di Lost” recita il trailer della prima stagione e la promessa è più che mantenuta.

Lost in translation

I creatori di Once Upon A Time, Edward Kitsis e Adam Horowitz, mettono in campo l’all star team delle fiabe, ma è come se fossero ancora sull’immaginario isolotto dove è precipitato il volo 815 della Oceanic Airlines. In Lost l’avvicendarsi da una stagione all’altra era scandito dal rovesciamento tra eroi e villains. Chi era sembrato buono mostrava il peggio di sé e i cattivi apparivano improvvisamente sotto una luce positiva. Ciò rendeva impossibile, a ogni giro di boa del racconto, stabilire chi fossero i buoni e chi i cattivi, ma non scardinava la divisione di campo.

Allo stesso modo OUAT nelle sue quattro stagioni ha messo in scena varie versioni di ognuno dei caratteri principali, inchiodandoli però alla bidimensionalità. Regina, Biancaneve, Uncino, Peter, Tremotino non hanno mai offerto allo spettatore vere sorprese.

Sono stati buoni o pessimi a seconda della fase della storia, ma mai allo stesso momento o con sfumature davvero significative.

Il che più che offrire una nuova risposta alla domanda “in cosa è cambiato questo personaggio rispetto alla sua versione più conosciuta” ha ridefinito al ribasso l’interrogativo trasformandolo in: “Sarà buono o cattivo adesso?”.

Through a Magic Mirror, darkly

Il modello di riscrittura di Once Upon A Time si propone di riassemblare l’immaginario delle fiabe classiche. Tuttavia non offre un universo coeso e riconoscibile capace di stimolare lo spettatore adulto, che è il suo target finale. Per far questo punta su una rielaborazione dei personaggi che rende ogni carattere diversamente familiare al suo pubblico innestandolo con i protagonisti di narrazioni che gli sono vicine ma anche lontanissime.

Dal primo episodio a oggi abbiamo visto fare la loro comparsa al fianco degli abitanti “legittimi” del mondo incanto anche outsider quali Mulan, la Malvagia strega dell’Ovest di Oz e (in quello che personalmente ritengo uno dei punti più bassi di tutta la serie) persino il Dottor Victor Frankenstein. Mentre scriviamo, Storybrooke sta subendo l’ennesimo restyling con l’arrivo dei protagonisti di Frozen e l’inizio di una nuova era per la città, guidata con mano illuminata dal primo cittadino Biancaneve.

Eppure tra mille colpi di scena, rovesciamenti di fronti e battaglie, nulla è cambiato. La storia, pur attingendo, in un complesso mash-up, a mille storie diverse, è rimasta la stessa. I suoi protagonisti non si sono evoluti, sono solo divenuti diversi. I loro antagonisti non si sono spogliati dei panni semplicistici dei supercattivi, ne hanno solo indossati altri. Il bene ha lottato contro il male e ne è uscito vincitore. Il Bene con la maiuscola, proprio quello che nelle fiabe è difficile da identificare e lavora con mezzi non proprio ortodossi, ci ha offerto la sua morale.

Per cui rimane un interrogativo: Once Upon A Time ha davvero smontato il meccanismo narrativo dei testi (siano essi fiabe, opere teatrali o film d’animazione) che ha voluto rinnovare, o si è limitato a offrirne solo una diversa rappresentazione superficiale? E la libertà intrinseca nel meccanismo della fiaba – dove al lettore sta il compito di scegliere per chi tifare (e non sempre è l’eroe), in chi riconoscersi e quale messaggio scorgere nella storia – ha trovato in questa dimensione di fiction seriale più ostacoli o occasioni? La risposta la cercheremo (e in questo ci piacerebbe coinvolgervi) anche nelle nuove puntate di questa serie tv che ha il merito di essersi cimentata con il gioco di riscrittura delle fiabe, ma non sempre ha saputo portarvi regole nuove.

Se seguirete le briciole di pane che conducono al nostro Magic Mirror non arriverete in un incantato paesino del Maine o in un’isola errante nel Pacifico. Non potrete scovare una mappa in grado di guidarvi né formula magica capace di riportarvi a casa.

Sapere chi è buono e chi è cattivo sarà l’ultimo dei vostri problemi. Are you ready?

Selene Pascarella

Immagine di copertina © Credits

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