Il bar più anarchico del mondo

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6 min readOct 30, 2016

di Gianluca Durno

«Anche il prete era anarchico: veniva a bere con noi, qua al “bar dell’anarchia”. E sai le ‘balle’ che prendeva. Infatti poi si è spretato».

Il circolo Errico Malatesta a Gragnana, un paese appena sopra Carrara, in Toscana, è il più antico ritrovo anarchico d’Europa e, a rigor di logica, del mondo. Il circolo, o meglio, il “bar dell’anarchia” (come lo chiamano i suoi frequentatori), se ne sta rumoroso in una stradina all’interno del piccolo borgo montano di faccia all’ex “chiesa di S. Antonio e accanto alla fontana”, come si legge in una nota informativa dei Carabinieri del 1878. Questo documento è la fonte più antica a disposizione per capire sia l’età sia la natura di questo “ritrovo di internazionalisti e anarchici” e quindi “potenzialmente pericoloso”. Il nome del circolo è in onore a Errico Malatesta, pensatore e rivoluzionario anarchico e tra i principali teorizzatori del movimento. Oggi, dopo quasi 140 anni, il bar dell’anarchia è ancora il ritrovo dei ultimi veri anarchici.

Il viottolo tra le case che conduce al circolo E. Malatesta

Il “bar dell’anarchia”, oggi — Si arriva al circolo ancor prima di metterci piede. Il vociare forte in un paesino silenzioso è un’ottima guida e basta seguirlo con le orecchie: si scende per una viuzza che si chiama Carlo Cafiero (che è il nome di un pensatore anarchico vissuto tra il 1846 e il 1892, primo divulgatore del Capitale di Karl Marx e amico di Michail Bakunin, che ospitò per lungo tempo in un casa in Svizzera chiamata La Baronata in cui dava riparo ad anarchici e internazionalisti) fino a che non si arriva a un bivio con un sentiero asfaltato e stretto che si srotola tra le antiche case gragnanine.

Le voci e i canti conducono fino a un altro bivio. Sulla sinistra, in direzione della Piazza della chiesa, ci sono due uomini che fumano davanti a una porta in lamiera d’ottone. Eccolo lì, il “bar dell’anarchia”. Uno di questi due uomini si chiama Piero, ha un forte accento toscano ed è piccolo di statura e di costituzione. Indossa un cappello blu con la visiera, un paio di occhiali con la catena che cade sulle spalle e la ricrescita della barba incolta. Veste paio di jeans scoloriti e larghi, legati fin sopra alla vita. Dentro i calzoni, una polo giallastra di due taglie di troppo. Dice di essere uno scultore. Viene da Firenze e vive a Gragnana da molto tempo perché si è sposato una “santa donna gragnanina — come dice lui stesso — che lo sopporta”.

Fuma una sigaretta dopo l’altra e il suo alito sa di vino. Ha avuto un’infanzia difficile: orfano e poi ramingo per molte città toscane si è sempre arrangiato facendo qualche lavoro occasionale. Una notte di pioggia battente, racconta, era nei pressi di Viareggio dopo un lungo viaggio iniziato a Firenze. Aveva sedici anni, aveva fame ed era infreddolito. Non aveva da dormire. Nella cittadina versiliese abitavano i suoi zii paterni e Piero aveva pensato di chiedere loro aiuto, anche solo per una notte. Ma si sbagliava: fu lasciato fuori di casa, sotto il diluvio. Solo, anche quella volta. «Queste cose non si dimenticano — dice con gli occhi lucidi –. Queste cose ti segnano per la vita». Piero entra nel circolo Malatesta e saluta i suoi compagni: nel bar ha trovato una famiglia. Beve un ultimo sorso di vino dolce e saluta di nuovo, prima di tornare a casa, e tutti rispondono in coro.

Dentro “l’anarchia”: carte, vino e sigarette per passare il tempo. Sulle pareti vecchie foto in bianco e nero

Dentro il bar, ammutolitosi per un istante al mio ingresso (potete immaginare la scena con il rumore delle facce che girano tutte insieme e all’improvviso), ci sono uomini anziani con le carte in una mano, il bicchierino di rosso nell’altra e la sigaretta sulle labbra. Urlano, cantano, giocano e si scherniscono. Dietro il bancone, che è una lastra di marmo spessa e levigata dal continuo passaggio dei bicchieri, c’è una bandiera rossa e nera con al centro una A bianca. Attaccati alle pareti ci sono manifesti e vecchie foto in bianco e nero: c’è quella di un torvo Enrico Malatesta e al suo fianco un’immagine di Giuseppe Cenderelli, un giovane ucciso nel 1944. «Cenderelli si è fatto ammazzare per non fare la spia, per difendere suo fratello e un suo amico dai fascisti — racconta Dino Musetti, un abitudinario del circolo e anche uno dei custodi –. Pensare che a denunciarlo è stata gente di qua, di Gragnana…».

Dino ha 70 anni, ma non si direbbe proprio. Ha i capelli lunghi e brizzolati con qualche sfumatura color filtro di sigaretta e sono raccolti in un codino. Il naso è pronunciato e le gote sono paonazze; porta un foulard rosso, giallo e verde al collo in tinta con una camicia a quadri. Nella vita ha lavorato sulle gru, per 35 anni. Ha una voce possente: «Quella nell’altra foto accanto a Cenderelli — racconta — è Giselda Secchiari. Una bersagliera: quanti cazzotti ha dato ai carabinieri quella. Non c’era da scherzare». Dino è nato a Gragnana e qui ha vissuto per trent’anni. E nel bar nell’anarchia ha passato gran parte della sua vita: «Il mio babbo veniva sempre qua nel dopo lavoro e portava anche me. Mi teneva con lui mentre giocava a carte e, una volta, nel cicciutto aveva messo una garza intrisa di vino e io ciucciavo di gusto. È la prima volta che ho bevuto vino».

Il protagonista: Dino Musetti, 70 anni, anarchico dalla nascita

Al bar dell’anarchia Dino è di casa: «Si viene qua per stare insieme e condividere pranzi e cene. Oggi abbiamo mangiato la polenta fatta in casa da uno di noi. Un altro ha portato il pecorino e un altro il capretto. Il vino non manca, produciamo anche quello. E quando finisce ne prendiamo da amici anarchici a Ferrara. Passiamo il tempo così, tra amici, e manteniamo vivo il bar. Pensa che anni fa veniva anche il prete a bere con noi. Era anche lui anarchico, infatti poi si è spretato».

Anarchici: uno dei membri storici del circolo, dopo qualche bicchierino di rosso

Il circolo è autogestito, non c’è un padrone: tutti hanno le chiavi e chiunque può entrare. «Questo è lo spirito: l’anarchia non è per soli anarchici — continua Dino –. Non è facile però andare avanti: ognuno mette qualcosa, si paga una quota per tenerlo aperto perché questo circolo non deve morire. Io vivo ad Avenza da 40 anni ma continuo a venire proprio per portare avanti la tradizione. Purtroppo, le nuove generazioni non hanno hanno un legame forte con questo posto. Non lo sentono loro».

Apparizioni: una “sobria” A di anarchia

La politica, l’attivismo e i ragionamenti sull’anarchia non sono più temi all’ordine del giorno: «Al circolo non siamo neppure tutti anarchici di primo pelo — spiega Dino –. Chi si dice anarchico oggi, spesso, era un comunista o un uomo di sinistra deluso dai partiti tradizionali. Si definiscono anarchici perché non vanno a votare: c’è chi non l’ha mai fatto e sono gli anarchici duri e puri e poi c’è chi ha smesso per disaffezione alla politica. Ma se si vuole fare una distinzione, dico che anarchici si nasce, non si diventa».

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