Quattro (possibili) ragioni della tristezza della politica digitale

massimo mantellini
6 min readOct 26, 2019

Le due caratteristiche fondamentali della politica digitale sono la velocità e la ripetizione. Non serve cultura, non serve profondità, servono velocità e ripetizione.

Sono caratteristiche che il network impone alla politica. Poiché l’architettura domina e impone, la politica digitale diventa simile in tutto il mondo connesso.

.velocità

Velocità nel doppio significato di tempismo, vale a dire il talento di saper dire la cosa giusta al momento giusto, e di capacità a diffondersi in fretta. Quella che molti oggi chiamano — con un brutto termine di importazione anglosassone — diventare virali.

.ripetizione

L’architettura dichiara le regole: fra esse alcune sono controintuitive. Per esempio la permanenza dei dati negli ambienti digitali consente di documentare contraddizioni e cambi di bandiera del politico di grido, ma una simile sottolineatura non interessa più. Perché la politica digitale ragiona come un social network, che non ha memoria ma solo eterno aggiornamento. Solo la ripetizione del messaggio, anche dentro una sua contraddizione di senso, conterà. L’essere presente come ultimo aggiornamento cronologico. Esserci.

Le piattaforme si sono fatte via via più complesse, ignare della loro crescente centralità anche su temi, quello della gestione degli interessi collettivi, ai quali nessuno startupper aveva pensato. Bando ad ogni dietrologia da grande fratello (oggi molto in voga). Oggetti digitali costruiti per fare soldi (o, nella migliore delle ipotesi, comunità fra pari) hanno iniziato a incidere sui meccanismi del consenso. Forse meno di quanto si tema ma in parte sì.

Dai primi weblog di inizio millennio alle piattaforme di rete sociale che si sono succedute (Myspace, Facebook, Instagram) fino agli ambiti di comunicazione più impalpabile e privata (le storie su Instagram, Snapchat, le chat su Messenger o Telegram), la politica, in molti Paesi occidentali, ha scelto nuovi palcoscenici digitali. Non da noi però. Siamo troppo vecchi (dentro e fuori) per roba del genere. Da noi è quasi tutto stanca emulazione.

Con tutti i limiti del caso i cinque minuti di “interrogatorio” ai quali Alexandria Ocasio-Cortez ha sottoposto Mark Zuckenberg qualche giorno fa sono l’ultimo dei molti tasselli che approfondiscono un simile scenario

In quel breve filmato sono contenuti due ulteriori aspetti connessi a quanto dicevo prima su velocità e ripetizione che definirei così: il desiderio riassuntivo e la violenza gentile.

.il desiderio riassuntivo

Il desiderio riassuntivo è la necessità di monetizzare in fretta un risultato comunicativo. È lo stesso che spinse un giornalista a domandare a Gabriel Garcìa Marquez di riassumere “Cent’anni di solitudine” in poche parole (e Marquez che stizzito rispose che lui aveva impiegato 800mila parole per scriverlo e non era capace di riassumerlo in 30 secondi). Non è un caso che l’analisi più utilizzata di quei 5 minuti fra AOC e Zuck da parte dei commentatori sia oggi tutta incentrata su “chi ha asfaltato chi”, mentre interessa meno ragionare sui problemi e sui rischi che in quei pochi minuti sono stati discussi e magari risolti (lo dico io per desiderio riassuntivo: zero). I ruoli in campo sono chiari fin dall’inizio e l’esito del confronto non poteva che essere scontato: da una parte la giovane affascinante rappresentante del popolo, dall’altro il cinico nerd più ricco del mondo artefice di una bomba ad orologeria sociale alla quale sarà possibile imputare qualsiasi cosa.

Entrambi a loro modo schiavizzati dal network.

Il desiderio riassuntivo è pane per le menti semplici: è il metodo che utilizza il potere per massimizzare i risultati e rendere minima la propria diretta esposizione. È — in altre parole — la grammatica stessa del populismo, non solo digitale: funziona ed è ampiamente utilizzato praticamente da tutti. È bassa risoluzione che non dipende dai media digitali: anche l’inviato di Striscia la notizia che 25 anni fa inseguiva Cuccia per strada utilizzava il medesimo apparato retorico. È semplice interpretazione e sfruttamento delle debolezze culturali, non tanto del proprio interlocutore (che spesso ne ha, come nel caso di Zuckerberg), ma dei cittadini che seguiranno l’evento in TV o su Internet. Funziona ovunque, è pratico e ha mille declinazioni.

Una di queste, recente, molto in voga nella politica italiana, è quella dell’utilizzo grafico della spunta sulle cose fatte. L’ha inaugurata il M5S, che da noi è, in assoluto, il movimento che gioca con maggiori disinvoltura con simili forme di comunicazione ingannevole e l’ha adottata recentemente anche Italia Viva, il neonato partito di Matteo Renzi che ha inserito — per desiderio riassuntivo — la spunta delle cose fatte al centro del proprio logo.

Ignorando — o sapendo perfettamente — che in politica l’annuncio delle cose fatte è semplice contraddizione della politica stessa e della sua mai risolta complessità. È desiderio riassuntivo.

.violenza gentile

La violenza gentile è il secondo aspetto che trovo rilevante in quel filmato e in generale nella politica dei tempi digitali. Tempi nei quali l’estetica dei comportamenti e il suo tono sonoro conta più dei risultati concreti. E il comportamento adatto, quello che ti consente di galleggiare in un caos agitato di urlatori ed odiatori seriali, sarà quello capace di colpire il nostro interlocutore. Una forma di gentilezza apparente che non ha nulla di gentile. E non è un caso che il rispetto dell’altro e la gentilezza siano due capisaldi di una politica che non esiste più, ormai definitivamente affidata alla sua antimodernità. La violenza gentile è una forma di prevaricazione che utilizza gli stilemi di una vecchia virtù decaduta e li declina a proprio favore, offrendoli ad un pubblico che è lì per il sangue. Anche in questo la piattaforma è la variabile dominante: la gente va nell’arena.

La violenza gentile è una tecnica di rottamazione, o asfaltatura o piallaggio dell’avversario politico che non prevede l’onore delle armi. Perché dentro il network, che ha limato sfumature e punti di vista difformi, l’unico avversario buono è l’avversario morto.

La violenza gentile è quindi un parto naturale degli ambienti digitali: è un modo di fare politica che di nuovo si disinteressa dei risultati concreti concentrandosi sulla costruzione di una reputazione, è, come il desiderio riassuntivo, un artefatto della politica enfatizzato dal medium. È il segno di sé, nel momento in cui la definizione di noi si dovrà anticipare di molto. È il risultato di una accelerazione (la velocità), pretesa dalla piattaforma, nella quale la politica si è buttata a pesce: perché nulla è più confortevole di rispondere all’elettore con risultati ipotetici e futuri dati oggi per assodati. Accenni quotidiani alle colpe dei governi precedenti su questioni che abbiamo giusto ora risolte ma che andranno a regime, per colpe non nostre (la noia del voto in Parlamento, i regolamenti attuativi da scrivere, la valutazione della Commissione europea, ecc. ecc.), se tutto va bene fra qualche anno, quando qualcun altro al nostro posto si incaricherà di stigmatizzarle. All’elettore in ogni caso non rimarranno in mano che parole.

Gli ambienti digitali, la continua ripetizione dei risultati e delle intenzioni, hanno cancellato l’intervallo libero e silenzioso fra ideazione della norma e sua applicazione. La politica si è trasformata in una sorta di Kickstarter delle intenzioni, nel quale splendidi video patinati illustrano le meraviglie di un prodotto sul quale investire che, nella maggioranza dei casi, non vedrà mai la luce.

In questo meccanismo accelerato e falso servirà molta violenza e immoralità e — almeno in alcuni casi — una sorta di gentilezza formale che sia in grado di distinguerci dagli altri. Si giocherà tutto in pochi brevi istanti, affidati all’occhio digitale. Quel togliersi stancamente gli occhiali, ravvivando i lunghi capelli neri mentre si osserva in basso la venatura del tavolo con lo sguardo professionale di chi pensa (e dice): io sono io e tu, nonostante sia Mark Zuckerberg che si sta arrampicando sugli specchi, almeno per questi 5 minuti non sei nessuno.

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