Consulenza “paziente”

Serve consapevolezza per stimolare fiducia, prima di consulenza e progetti

Si, oggi più che mai: io però ci credo poco che sia la formula giusta.

Soprattutto se a se’ stante e unico approccio isolato di supporto al cambiamento, come tutte le soluzioni univoche che non affrontano la complessità del momento.

Cambiamento: proprio questa parola tanto diffusa, quanto spaventosa per tanti che arroccano le proprie convinzioni (o convenienze…) al passato.

Ma che cosa è la consapevolezza?

La vorrei definire come l’applicazione pratica della coscienza: «aver piena consapevolezza di qualcosa, esserne perfettamente al corrente» recita Wikipedia, cioè capire lo stato dell’arte e dove si può arrivare, con quali piani e mezzi, quali impegni, quali rischi, quali sacrifici.

Il preambolo pocanzi descritto mi induce a pensare che il problema chiave di chi deve fare scelte importanti è questione di fiducia come conseguenza precisa di consapevolezza.

Maggiore è il grado di incertezza esterno, maggiore deve essere il grado di consapevolezza per creare conseguentemente fiducia: dunque, se la prima è iperbolica, la seconda funzione è direttamente proporzionale, anzi esponenziale.

Allora, se non riusciamo a fare uno step di «consulenza paziente» che lavora sula consapevolezza, come facciamo ad avere «finanza paziente», su quale progetto e quale motivazione?

La maggior parte di proposte di percorsi senza generazione di fiducia e visione, si rifanno a bisogni espliciti e tecnici degli imprenditori, spesso non congrui al da farsi, con successive proposte tecniche che spaventano o che non si basano su consapevolezza, visione e progettazione.

Qui si continua a presentare progetti a persone inconsapevoli, spesso con idee del ‘900, senza essere inseriti in nuovi ecosistemi imprenditoriali, smarriti e con pochi punti di riferimento se non la loro capacità e merito esperienziale nel loro settore, ma priva di capacità di connessione con aree di impresa e settori trasversali come la comunicazione, la tecnologia, l’organizzazione.

E spesso si sa dal principio che il progetto potrebbe essere un flop! Ma, anche con mancanza di deontologia, ai fornitori tecnici interessa poco.

Il ruolo della consulenza rischia di essere invece lì senza sporcarsi le mani da un punto di vista emotivo e anche tecnico, con valore che rimane su carta, spesso che fa sognare e che fa scontrare l’imprenditore dopo con la realtà, generando spesso demotivazione e sfiducia come conseguenze del gap tra la «carta» e i fatti.

Qui lo schema.

Un approccio che definisco di «innovazione popolare»: #innovazionepop determinata da una prima fase emotiva e tecnica di condivisione che attende e accompagna la maturazione degli investimenti e della fiducia nel tempo con creazione a moduli e step.

Da un punto di vista più tecnico, parliamo di un momento di coaching e mentorship iniziale, sovrapposto ad parte consulenziale e tecnica, un mix di emotività e tecnicismo che sblocca il momento di sfiducia (parlando di metodi anche scentifici e accademici ma applicati e «abbassati» al merito dell’idea, impresa e persona del momento), il tutto sia con la capacità empirica di creare motivazione e sia, in parallelo e con modalità di approccio «perpetual beta mindset», con la parte tecnica e di creazione di valore che si sovrappongo e si “rincorrono”, alimentandosi a vicenda.

Servono persone che aspettino e aiutino la maturazione del cambiamento degli imprenditori e dei loro progetti, che ci mettano testa e cuore, facendosi sentire vicino, che, preferibilmente, (abbiano vissuto e) conoscano e gestiscano insieme quel turbinio di emozioni, gioie e paure alternate ciclicamente e quotidianamente a contesti operativi e tecnici.

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"Un uomo non vale i soldi che ha, ma il credito di cui gode" W. Churchill

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Marco Travaglini

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