Creazione di valore
Non servono doti da ingegnere ma sensibilità da sociologo
Tempo fa mi sono divertito nell’affrontare il tema dell’analisi dei bisogni con un ragionamento che porto avanti da anni e applico anche nella progettazione di nuove idee, servizi, prodotti e aziende.
Considerando un “mondo allargato” e non più segmentato tra vita lavorativa e vita «normale», non più rappresentato da nessuna dicotomia novecentesca, in un momento di passaggio così forte verso un contesto smart, l’esperienza utente e la progettazione di una customer juorney «sostitutiva» al prodotto e servizio classico del ‘900, non poteva non guardare bisogni molto più “lati” e di percorso, cioè specchio della possibile customer juorney da proporre; in contrapposizione dell’analisi tecnica di bisogni per segmentazione di target secondo una progettazione di marketing puramente razionale e funzionale alla vendita.
Sulla base di ciò, chi fa analisi dei bisogni, lo abbiamo considerato quasi un antropologo che studia i comportamenti e le problematiche dell’uomo-utente di oggi, più che un esperto di marketing.
In questo articolo, mi piacerebbe comunicare come io intendo approcciare alla costruzione di proposte di valore e creare valore attraverso azioni non di progettazione tecnica.
Cosa è anzitutto il valore? È sicuramente una cosa molto soggettiva, forse la più personale e «personalizzante», con enorme possibilità di personalizzazione.
È un qualcosa che potrebbe non dipendere da nessun mezzo ed essere completamente smaterializzata, astratta, metafisica, quasi fosse la «sensazione di un pensiero» (soprattutto quando si parla di valore atteso si fa un ragionamento sul concetto di “begin with the end in mind”, offrendo una percezione immateriale sotto forma di un racconto in diverse tecnologie, canali o linguaggi).
È qualcosa che rappresenta più come “vorrei sentirmi dopo” che qualcosa che si tocca e che è tangibile nel suo prodotto, ovvero “tangibile” nella parte materiale del servizio.
Il valore non è dunque il costo, il prezzo, il peso, il volume, la distanza, la parte tecnica ma è “quello che intendo avere io come sensazione finale” rispetto all’utilizzo/usufrutto di qualcosa: qualcosa di completamente emotivo.
Il valore è il fine, quel qualcosa da utilizzare per raggiungerlo è il mezzo.
Quando abbiamo bisogni, molto allargati rispetto al momento erogativo di un servizio o al momento di consumo di un bene, la mia applicazione di progettista, cade soprattutto su come soddisfo il bisogno secondo una percezione completamente emotiva, smaterializzata come detto, fortemente attenta al cuore ma basata su un ragionamento razionale: il cervello sceglie ciò che è meglio per il cuore, paradossalmente.
La vera proposta di valore non è dunque quella che stimola solo la parte emotiva senza ragionamento, spesso sfruttando messaggi subliminali «markettari», ma è dunque vista come la «scelta razionale migliore per il nostro cuore».
È la proposta di qualcosa di «esplosivo», contemporaneamente, nella testa e nel cuore, nella parte emotiva comandata da razionalità.
Esso rappresenta la parte heritage di un brand, la parte immateriale di un servizio e di un prodotto, la percezione di soddisfazione emotiva di quel servizio o prodotto.
Ha bisogno di una identificazione chiara a livello comunicativo.
È così forte che, se cambio mezzo di sviluppo e servizio, nel senso di cambiare prodotto, quasi poco cambia: è proprio questa la chiave di vera progettazione della proposta di valore che metta oltretutto in relazione la parte off line dei servizi con la parte digitale dell’esperienza.
Come ad esempio una proposta di valore in un contesto di intrattenimento, se ben fatta, non ha bisogno di spiegare il mezzo, spesso digitale, come può essere un ambiente di gioco virtuale coinvolgente, o spesso fisica, con ambiente sempre di gioco vero, altrettanto coinvolgente: paradossalmente, essa non dipende dallo stato, lo strumento e il mezzo, a tal punto che se fatta bene sulla parte immateriale, la scelta di una ambiente o dell’altro, diventa quasi, razionalmente, una successiva scelta tecnica e non emotiva.
Per tutto quanto detto, immagino che la proposta di valore non sia un qualcosa da ingegnere (meccanico o gestionale, di prodotto o di servizio) e non parta da questioni dunque tecnico-razionali, ma da questioni emotive e scelte che, individuali e di massa, sono più riferite alla capacità di pensare socialmente a ciò che serve.
Allora, quasi un sociologo potrebbe affrontare a monte il tema in questione, se visto da questo punto di vista, se focalizzato all’attenzione dei bisogni immateriali della persona e non in un contesto di consumo materiale del cliente.