Bandiera italiana (foto di Matteo Corna, licenza CC-BY-2.0)

PIR, imprese e investitori

Obiettivi e vantaggi dei Piani Individuali di Risparmio

Marco Bonifacio

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Si parla molto oggi di PIR, ossia dei Piani Individuali di Risparmio, una forma di investimento a medio termine che, attraverso un incentivo fiscale, si propone di veicolare i risparmi verso le piccole e medie imprese italiane, ricalcando un modello già presente in alcuni paesi esteri.

Non torneremo sugli aspetti tecnici di tali strumenti, che peraltro possono assumere una molteplicità di forme, ma vogliamo fare qualche riflessione sugli obiettivi espliciti ed impliciti per le imprese e gli investitori.

Per le imprese i PIR rappresentano una fonte alternativa di finanziamento, ultimo in ordine di tempo dei vari tentativi che si sono succeduti negli anni per ridurre la dipendenze delle imprese italiane, specialmente nel segmento a piccola e media capitalizzazione, dal sistema bancario. L’obiettivo è il sostegno al finanziamento diretto delle aziende, attraverso il mercato azionario e obbligazionario, un canale naturalmente orientato al medio-lungo termine e destinato ai piani di sviluppo, di espansione e di investimento. Minor “bancocentrismo” significherebbe anche maggiore resilienza del sistema industriale alle crisi bancarie, come purtroppo in Italia non è avvenuto negli ultimi anni.

Agli investitori, invece, i PIR offrono innanzitutto l’incentivo del risparmio fiscale, attraverso un esenzione d’imposta che premia la detenzione degli strumenti e dei prodotti finanziari per almeno cinque anni. Facendo due conti, l’incentivo potrebbe tradursi in un maggior rendimento netto, a parità di altre condizioni, o anche coprire i costi di una gestione professionale dei risparmi, in alternativa a un fai-da-te un po’ più complicato.

Ma vale la pena di notare altri due elementi che — seppur implicitamente — potrebbero portare vantaggio al risparmiatore. Il primo è che il PIR cerca di incentivare l’investimento di lungo periodo, penalizzando il mordi-e-fuggi sui mercati. La letteratura finanziaria ha ormai accumulato una schiacciante quantità di evidenze sulla difficoltà di fare un efficace market timing, ossia di saper scegliere il momento di entrata e di uscita dai mercati, in particolare azionari; ancor più danni si rischiano se le scelte di investimento e disinvestimento sono dettate dall’euforia o dal panico. Meglio pianificare i propri acquisti sul mercato con una chiara visione dell’orizzonte temporale e del grado di rischio che si è disposti a sopportare e poi attenersi a questo programma, rivedendolo solo laddove cambino le condizioni iniziali.

Un secondo aspetto interessante è che limitando l’ammontare annuo che può beneficiare dell’esenzione d’imposta, i PIR incentivano la gradualità dell’investimento, che può portare a ridurre la volatilità complessiva soprattutto quando si scelgano strumenti o prodotti di natura azionaria.

Va notato, da ultimo, che i PIR hanno per natura un’elevata concentrazione di rischio Italia, nel bene e nel male: sotto questo profilo, è probabilmente opportuno che siano inseriti in un portafoglio più diversificato a livello geografico. Tuttavia, la focalizzazione sulle piccole e medie imprese introduce comunque un elemento di diversificazione settoriale rispetto al listino principale: un portafoglio PIR dovrebbe avere più titoli industriali e meno finanziari e energetici rispetto, ad esempio, all’indice FTSE MIB, e, negli ultimi anni, avrebbe dato probabilmente soddisfazioni decisamente superiori agli investitori. Almeno, questa è l’ipotesi che si ricava dal confronto tra l’andamento dell’indice principale di borsa (FTSE MIB, appunto) e dell’indice FTSE STAR, che rappresenta una settantina di titoli a media capitalizzazione con alti requisiti in termini di trasparenza, liquidità e corporate governance.

Originariamente pubblicato su www.zenitonline.it

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