Intervista a Giuseppe Iacobaci

Tradurre i ragazzi, per ragazzi, coi ragazzi

Marco Locatelli
10 min readMay 20, 2015

Il mio primo approccio alla Trilogia Chaos ha avuto luogo ad Amsterdam più di due anni fa. Ricordo di essermi innamorato quasi immediatamente del primo libro, La fuga, che io conobbi col titolo originale The Knife of Never Letting Go. Ricordo la piacevole confusione nei primi capitoli, la curiosità durante la lettura, la corsa da Waterstones per comprare anche i due seguiti e le lacrime versate per gli ultimi capitoli in una biblioteca a Delft.
È con estremo piacere che ho combattuto (perché diciamocelo, a volte è una vera e propria lotta) per far conoscere la saga anche sul territorio italiano, realizzando video e parlandone in ogni occasione possibile. Per questo motivo quando ho saputo della pubblicazione di una nuova edizione del primo libro, targata Mondadori e firmata Iacobaci, mi sono subito adoperato per organizzare qualcosa, qualsiasi cosa.
E questo qualcosa, dopo scambi di mail, chat, creazione di fanpage, oggi si tramuta in un’occasione unica: vi presento con estrema gioia l’intervista al bravissimo (e gentilissimo!) traduttore, Giuseppe Iacobaci, che ringrazio infinitamente. Una piacevolissima chiacchierata che potrebbe risolvere alcuni vostri quesiti o invogliarvi alla lettura de La fuga.
Su una cosa in particolare io e lui siamo d’accordo: ne vale davvero la pena.

Prima domanda, terra terra: chi sei?

Giuseppe Iacobaci, 42 anni, siciliano, traduco da una decina d’anni, e da quasi subito mi sono dedicato ai romanzi per ragazzi. Ascolto moltissima musica, adoro i film e gli anime (che mi ostino a chiamare ‘cartoni giapponesi’), canto in una rock band fragorosissima chiamata Long Hair In Three Stages, e sono di recente entrato nel vortice oscuro delle serie tv cui per anni ero riuscito a sottrarmi.

Come hai conosciuto Patrick Ness e come ti sei avvicinato alla traduzione dei suoi lavori? Cosa ti ha spinto a voler lavorare, in particolare, su un libro complesso e stratificato come La fuga?

Nel corso degli anni mi è stata data l’opportunità di tradurre alcuni fra gli autori più bravi in circolazione, da Chuck Palahniuk a Neil Gaiman, da Jasper Fforde a Patrick Ness. Dopo Sette minuti dopo la mezzanotte — che resta la mia traduzione preferita in assoluto — ho avanzato io, per la prima volta in vita mia, una richiesta, perché sapevo che Mondadori Ragazzi aveva acquistato i diritti per questa splendida trilogia. Mi sono sottoposto a una prova di traduzione per Chaos, che pare sia piaciuta, ed eccomi qui.

La Trilogia Chaos è un esempio di narrativa per ragazzi molto particolare: unisce perfettamente un’avventura fantascientifica a un comparto stilistico estremamente curato e apprezzabile anche dai più grandi. In particolare, la qualità che più lo rappresenta è la voce del protagonista, il giovane Todd Hewitt, in originale caratterizzata da giochi fonetici ed “errori” linguistici.
Nella traduzione, hai puntato più sull’ortografia che sulla fonetica. Come sei giunto a questa scelta? Ne avevi considerate altre prima?

Le voci narranti sono spesso una sfida -ho tradotto ragazzini affetti da autismo, ciniche e sognanti scrittrici rapite da cartelli della droga, e ogni volta è una nuova avventura- ma ammetto che la ricerca della giusta voce narrante qui mi ha impegnato più del solito.
Era evidente che non potevo lavorare su uno slang giovanilistico o sulla fonetica, perché con l’italiano sarebbe stata una forzatura. Todd poi è un illetterato ma non un ignorante, né, certamente, uno sciocco. Volevo dare alla sua voce la dignità che meritava, e al contempo mantenere tutti quei fondamentali inciampi che danno alla versione inglese il suo sapore peculiare; e non si poteva non rendere il semianalfabetismo di Todd, che è oltretutto centrale per certi aspetti della narrazione. Su mia idea, e di comune accordo con la redazione, si è optato per una speciale, particolare dislessia, con storpiature spesso anche buffe ma che mai scadessero platealmente nel ridicolo, e questo su un flusso narrativo che non mancasse della potenza evocativa, della ricchezza lessicale e della poesia dell’originale. Il lavoro redazionale, in particolare l’ottima revisione di Manuela Piemonte, ha focalizzato ulteriormente queste scelte, arrivando persino ad estremizzarle con splendidi risultati, laddove temevo addirittura venissero invece cassate.

La Fuga, prima di uscire quest’anno, era già stato pubblicato per Rizzoli con il titolo Il buco nel rumore e la traduzione di Mari Accardi. Qual è il tuo rapporto con la precedente edizione? Hai avuto occasione di fare un confronto, o ti sei tenuto ‘al buio’ per prendere le giuste distanze?

Buio pesto. Ho un sacro rispetto per il lavoro dei miei colleghi, e forse proprio per questo evito di leggere ciò che ha fatto chi mi ha preceduto, quando mi appresto a una ritraduzione. Nel mio lavoro l’imperativo assoluto, in ogni caso, è quello di rivolgermi al lettore senza pensare mai ai possibili giudizi e paragoni, alle revisioni e correzioni. Consegno sempre il romanzo così come vorrei che fosse letto (nelle mie più rosee illusioni, pronto per la stampa), e per fare questo ho bisogno di stringere un patto di ferro col mio lettore ideale. Siamo soli io e lui. Avere un confronto costante con l’opera di qualcun altro potrebbe uccidere ogni mio slancio, scoraggiarmi addirittura quando mi capita di avere intuizioni casualmente simili. Mi perderei il gusto centrale del mio lavoro, quello di raccontare una storia a un “caro amico sconosciuto”.
Sarò felicissimo di ripescare, se riesco, la versione della collega — di certo ottima a diversissima — a trilogia conclusa.

Tra le tante cose, qual è stata la parte più difficile nella traduzione de La fuga?

Difficile ma divertente: esplorare, capire e mappare nella mia mente i luoghi e le creature di Mondo Nuovo, tanto simili e diversi dai nostri. Visualizzare il paesaggio, soprattutto quello degli ultimi capitoli, le colline, l’immensa cascata, il luogo misterioso dello scontro con il malvagio folle Aaron.
Poi per me la cosa più difficile resta sempre quella di ricordare i dettagli, gli abiti, le scelte traduttive. Prendo un sacco di appunti e tengo di proposito molte scelte in sospeso fino a che non sono davvero convinto.
Infine, era la prima volta che affrontavo una trilogia ma la cosa non mi spaventava, perché ciò che mi crea problemi, ogni volta, è iniziare. Ci metto troppo, troppo tempo a entrare in un romanzo nuovo, un nuovo mondo, una nuova voce. Con una trilogia questo effetto si sarebbe ridotto, pensavo. (Mi sbagliavo, ovviamente. Non sapevo a quale casino — anzi, caos — sarei andato incontro!)

Ad affiancare il tuo lavoro come traduttore, Marta Mazza ha fatto da editor per il progetto. Assieme a lei nei ringraziamenti citi altre persone, e questo fa pensare a un lavoro in qualche modo ‘comunitario’. Come si è svolto l’editing? In che misura l’opinione e l’aiuto di terzi sono stati strumentali per la riuscita della traduzione?

Non tutti sanno come nasce davvero un libro, anche perché i nomi riportati nel volume sono sempre e soltanto quelli dell’autore e del traduttore.
Ciò che leggerete in una mia traduzione rispecchierà magari al 95% ciò che ho consegnato, ma se ciò accade è solo grazie ad altri straordinari professionisti che hanno messo il loro pesante 95% per puntellare e sostenere la casa che ho edificato. La somma fa sempre cento, ma si lavora tutti come matti per arrivarci.
Il bravo redattore è proprio quello che sembra aggiungere pochissimo all’opera di chi lo ha preceduto (proprio come noi traduttori, se siamo bravi, tendiamo a scomparire, a farci dimenticare, e il libro sembra essere stato scritto nella nostra lingua, addirittura le recensioni vanteranno la splendida prosa dell’autore senza citarci). Ma che questa invisibilità si traduca in anonimato è una profonda ingiustizia. Fingere di aver fatto tutto da soli è una falsa gloria che a me non interessa. In particolare, come ho detto, La Fuga ha richiesto dei passaggi redazionali di un certo peso, più che altre volte. Quelle persone non andavano ringraziate da me, ma citate in un vero colophon. In mancanza di regole editoriali in merito, ho fatto il poco che era in mio potere. Conto di rifarlo in futuro per altri lavori.

Sei stato traduttore di diversi libri per ragazzi (tra cui romanzi di Neil Gaiman e Holly Black), ma anche di autori di narrativa per adulti (come Chuck Palahniuk). In che modo le tue esperienze precedenti influenzano il modo in cui ti approcci a nuovi progetti?

Semplicemente, non si finisce mai di imparare. Ma ogni volta ho le stesse angoscianti insicurezze iniziali, è sempre un percorso che inizia fra i dubbi, un lancio col parapendio. Quando arriva il vento giusto e trovi il coraggio di tuffarti e sei lì sospeso, la voce giusta, il flusso giusto, tutto sembra immobile, tutto è perfetto, voli sereno e dimentichi quasi la paura iniziale. Ma non si arriva mai davvero, a ogni nuovo romanzo si è sempre dei principianti sprovveduti e dubbiosi e diffidenti — o almeno così sono io — e in questa professione credo sia un punto di forza. Traduttori e agenti segreti: le due appassionanti pericolose professioni nelle quali bisogna dubitare a ogni passo e guardarsi sempre alle spalle!

A livello di marketing, la Trilogia Chaos è considerata un prodotto per ragazzi, ma si distanzia dal tipico romanzo YA (se vogliamo “distopico”, anche se di distopia non si tratta) per stile, linguaggio e contenuti — tutte caratteristiche che mostrano una certa maturità. Eppure i personaggi sono davvero giovanissimi. Tu come collocheresti La fuga, tenendo conto delle differenze tra middle-grade e YA? Quale credi sia il target? Ti sentiresti di consigliarlo anche ad altri?

È curioso, in Italia si pubblicano sempre più romanzi YA, ma ci si ostina a inglobarli nel generico filone “ragazzi”, come se questo oggetto misterioso che tutti abbiamo davanti agli occhi non esistesse neppure. Mi trovo a lavorare su libri “per ragazzi” che parlano di malattia e morte, grandi amori, identità sessuale, e ne sono felicissimo, ma non manco di notare uno scollamento fra opera di partenza e collana di destinazione.
In attesa che la letteratura YA ottenga anche in Italia una collocazione più definita, possiamo limitarci a definire le opere di Patrick Ness come letteratura di altissimo livello adatta a chiunque in vita sua abbia mai avuto tredici anni per almeno dodici (tredici su Mondo Nuovo) mesi.

Parlando della storia narrata da Ness, vorrei soffermarmi su un dettaglio in particolare ossia il mio personaggio preferito, Viola Eade.
A parer mio incarna benissimo tutte le qualità che vorrei trovare in una protagonista femminile di un libro per ragazzi. È determinata, altruista e intelligente, ma allo stesso tempo viene descritta in maniera molto umana: Ness non si fa problemi a mostrare le sue debolezze e a descrivere il suo forte trauma senza mezzi termini, addirittura spiazzando il lettore.
Negli ultimi tempi si parla molto di strong female characters, soprattutto nello YA, in risposta a personaggi dallo spessore discutibili, spesso succubi dei loro interessi amorosi maschili. Quali sono le tue personali opinioni sulla faccenda? Credi che Viola sia un passo in avanti in questa direzione? Chi altro, da qualsiasi media a stampo narrativo, credi sia un esempio brillante di strong female character?

A domanda gradevolmente lunga, risposta relativamente semplice e breve: sì, i personaggi femminili stanno crescendo in profondità e spessore, e credo sia uno splendido segnale, il mondo YA precorre la società forse, o forse ce la racconta meglio di quanto non sappiano fare altri mondi letterari.
Viola Eade è un personaggio straordinario, la sua lenta inesorabile crescita nel corso della trilogia di Chaos è a dir poco sorprendente. Non posso anticipare nulla per non rovinare la sorpresa… posso solo dire che se credete che questa sia la saga “di Todd”, beh, il seguito della saga vi stupirà immensamente.
Un personaggio femminile YA che ho adorato — tralasciando i casi più eclatanti, alla Hunger Games — è certamente quello di Jasmine in Il mondo, quello vero di Francisco X. Stork (che ho tradotto per Strade Blu Mondadori, a conferma di come il target YA sia incredibilmente polverizzato qui da noi fra varie collane). Della sua forza di carattere ed empatia mi sono letteralmente innamorato mentre traducevo!

Ultima domanda, molto generale: come vedi la narrativa per ragazzi in questo periodo, qui in Italia?

Di certo il mercato YA sta offrendo un sacco di soddisfazioni a un pubblico sempre più attento ed esigente. Senza andare lontano, nel corso degli anni le redazioni Mondadori Ragazzi che si sono succedute hanno portato in Italia opere meravigliose, coraggiosissime, e ho avuto l’onore di tradurne alcune.
Quanto alla “produzione interna”, oltre ad autori affermati (penso a Licia Troisi, che ha saputo creare un universo credibile e variegato, che ha conquistato il mondo) ci sono altri autori nuovi di altissimo spessore sui quali punterei moltissimo l’attenzione (citerei Silvia Sacco Stevanella, di cui consiglio caldamente la bellissima saga Luce, giunta ora al secondo capitolo).
Non vedo forse in giro — ignoranza mia? — molti scrittori italiani impegnati a raccontare il mondo reale di quest’età difficilissima e dannatamente importante della vita, un’età in cui spesso non si cercano guide saccenti o paternalistiche ma compagni leali, sinceri, che dicano le cose come stanno e senza edulcorarle.
YA dovrebbe significare anche scoperta della brutalità del mondo, scelte di vita fondamentali, curiosità e perdizione e salvezza, amore in tutte le sue declinazioni e con tutte le sue disperate conseguenze, e sesso, molto più di quanto non si osi raccontare oggi.
Ecco, in futuro io spero di vedere in circolazione più autori che sappiano raccontare l’adolescenza e gli anni immediatamente successivi in tutti i loro colori, e con tutte le loro complessità.
Ma chissà quanti scrittori sconosciuti e giovanissimi sono lì pronti a esplodere. Basta andare alle fiere del fumetto e dei videogame per scoprire quanto sia creativa e curiosa e appassionata la generazione dei ventenni di oggi, contrariamente alle stupide analisi di sociologi distratti (consolatevi, era così anche quando avevo io vent’anni). Non dubito che oltre ai tantissimi autori di splendidi indie game, illustratori, musicisti, videomaker ci sia una folta schiera di scrittori. E ho idea che, non appena un primo coraggioso editore l’avrà scoperchiato, il vaso di Pandora di una nuova letteratura YA “made in Italy” non potrà che inondarci e stupirci come uno tsunami di parole. Scommettiamo?

Originally published at galassiacartacea.com on May 20, 2015.

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Marco Locatelli

26 anni, lettore compulsivo, amante del cibo cinese, procrastinatore professionista. Parlo di libri su Youtube e faccio maratone. Su Netflix.