Avere solo 25–29 anni in Italia

Marco Mastrandrea
4 min readOct 13, 2015

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Avete mai provato quella strana sensazione al termine dei vostri studi (liceali o universitari, con master o dottorato, insomma a vari livelli) di disagio e insofferenza e sapevate benissimo il motivo?

Bene, sì, è proprio quella la risposta: senza lavoro non si vive un granché bene, anzi, non si vive proprio. Poi se hai tra i 25 e i 29 anni, qui capisci perché c’hai tutto ‘sto disagio.

Quello blu sei tu, in Germania sei quasi la metà degli occupati, in Italia negli ultimi quindici anni sei passato dal 20% all’11%. Però, i tuoi vanno in pensione più tardi, puoi campare ancora un po’ così.

Alla ricerca del lavoro

Allora, uno si organizza, “acchitta” il curriculum, “spizza” le offerte di lavoro sul web, tira fuori “du’ spicci” per comprare Porta Portese e vede un po’ che succede tra telefonate e mail inviate.

Tiri fuori la camicia del matrimonio di tua cugina o della laurea, ti prepari bene bene e vai dal primo tipo che ti ha detto: “vieni un po’ a trovarci, saremo lieti di conoscerti per un test valutativo di ammissione”.

Colloquio di gruppo

Vai all’appuntamento e scopri che la sede è in un asilo nido. L’annuncio non spiegava con chiarezza di cosa si trattasse di preciso, ma, c’era scritto “500 euro al mese garantiti + provvigioni”.

Comunque, in questa sala buia con proiettore acceso siamo in quattro. Io, un tizio che si è portato appresso pure la pergamena originale per la laurea (“l’ho pagata e l’ho sudata me la porto appresso”), un siciliano innocente e un ragazzo africano.

La selezionatrice, con gli occhialetti e il corpo snodato (seduta alla sedia non ci voleva proprio stare), dice “ma manca un altro nero…ehm una ragazza…vabbe’… cominciamo poi glielo spiegate voi cosa ho detto”.

In questa lezione di gruppo ci mostra il lavoro di “dialoghista” che raccoglie soldi “face to face” per svariate organizzazioni no profit. Il fondatore? Un tizio che stava alla maratona Telethon o come si scrive.

“Vi diranno un sacco di cose brutte per strada ma troverete tanta gente dal cuore largo che vi abbraccerà per quello che fate e vi darà un piccolo contributo”. Il piccolo contributo è farsi dare l’iban e far firmare un contratto che non può durare meno di sei mesi visto che la donazione mensile minima è di 15 euro. Per ogni “contratto” che chiude un dialoghista c’è una provvigione di 20 euro minimo.

Dunque, sembra proprio una truffa e a me di truffare una che potrebbe essere mia nonna non mi va proprio. Arriva “l’altra nera” che ascolta senza nessun riepilogo e capisce poco e nulla.

La tipa-selezionatrice-occhialuta-snodata ci dice “non fermate la gente al cellulare, ve mannano affanculo”, “ fermate le vecchiette, loro hanno sempre tempo da spendere”, attaccate bottone con chi ha animali o le buste della spesa o con chi ha qualunque piccola cosa che emerge appena lo guardate. “Alle ragazze non chiedete il numero eh, marpioni!”, mi volto di lato e noto che il siciliano si sta scaccolando.

“L’altra nera” non c’è più, è arrivata per ultima e se ne va per prima. Ha capito tutto.

Alla fine, quando le signore vi chiederanno: “ma per quanto devo paga’?”, voi rispondete “fino a che non si sente meglio, oppure, fino a che il suo cuore vuole, oppure, per tutta la vita”.

Ricapitoliamo: mostro un foglio con immagini compassionevoli, faccio firmare contratti con un modulino in cui una persona dovrebbe darmi l’iban al volo che dura come minimo sei mesi, il tutto per il nobile intento di salvare i bambini in Africa o in Medio Oriente (questa non si è capita).

Colloquio individuale

Alla fine della proiezione di presentazione, si passa ai colloqui individuali. Il tipo che ha portato la carta di laurea, ha le mani sudate, le asciuga continuamente sui pantaloni e tra i capelli, sembra il lavoro dei suoi sogni (?!?) o ha proprio bisogno di un lavoro (più la prima). Gli lasciamo la precedenza. Esce ed è felice. Vado io.

“Allora, vedo che sei della Campania, anche io. Allora, vediamo un po’: perché vuoi fare questo lavoro?”

“mi piace stare tra la gente e aiutare i bambinidellafrica”

“Molto bene. Mi raccomando problem solver eh!”

“Sì, sì. C’è altro?”

“Mhm… potresti lavorare 40 ore a settimana?”

“Un part time non c’è?”

“Sì, il compenso è lo stesso”

“…”

“Chiedo scusa ancora”

“Sì, mi dica”

“Ma il contratto?”

“E’ un mensile”

“…”

“Ah, ma leggo qui che lei ha scritto per diversi giornali”

“Eh sì, ma o nun te pagano o te danno du’ spicci”

“Chiaro. Va bene ci vediamo al corso di formazione, dura un’ora poi subito a lavoro”

E via con tante perplessità circa il futuro, i giovani, la disoccupazione, vabbe’ sabato bevo, domenica ci stanno le partite e lunedì se ne riparla. E’ passato un mese e mi scrivono ogni settimana, non ci andrò, è una questione di choosità (tengo i picci!).

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