Sociologia del gioco d’azzardo

Marco Pedroni
17 min readNov 27, 2019

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In occasione del mio seminario come guest lecturer presso il LEPA (Centre of studies on Legality and Participation) dell’Università di Perugia pubblico una riflessione in cinque punti sul gioco d’azzardo letto in prospettiva sociologica:

  1. Il gioco d’azzardo nella teoria sociologica
  2. Un approccio sociologico allo studio del gioco d’azzardo
  3. La costruzione sociale del giocatore problematico
  4. Il gioco d’azzardo come industria culturale
  5. L’etica del consumo e l’ideologia dell’alea

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1. Il gioco d’azzardo nella teoria sociologica

Ben prima che il gioco pubblico — eufemismo con cui i soggetti istituzionali si riferiscono al gioco d’azzardo, misconoscendolo — diventasse oggetto di allarme sociale a causa della sua diffusione presso tutti gli strati sociali, la categoria di azzardo ha rivelato la sua fecondità euristica in diversi autori della sociologia classica e contemporanea.

Lo statunitense Thornstein Veblen, nella sua Teoria della classe agiata, indaga i consumi della upper class americana a cavallo tra XIX e XX secolo, concentrandosi sulle pratiche sociali di sciupìo e di ozio quali indicatori di benessere. In tale quadro, il gioco d’azzardo viene inserito tra le forme di «dispendio onorifico», il consumo vistoso delle classi abbienti esibito come segno di prestigio e distinzione. Al pari di altri segnali materiali di ricchezza, l’azzardo è uno status symbol in quanto comporta non solo una disponibilità economica per l’accesso al gioco, ma anche la disponibilità di tempo da impiegare nel gioco, sottraendolo alle attività produttive della giornata lavorativa.

Estratto dall‘intervento: M. Pedroni, “Sociologia del gioco d’azzardo”, Università di Perugia, 3 dicembre 2019 [Slide template by hislide.io]

Due straordinari analisti del cambiamento sociale quali Georg Simmel e Walter Benjamin hanno tratteggiato due figure emblematiche della modernità, rispettivamente l’avventuriero e il giocatore, intrinsecamente connesse all’azzardo.

Estratto dall‘intervento: M. Pedroni, “Sociologia del gioco d’azzardo”, Università di Perugia, 3 dicembre 2019 [Slide template by hislide.io]

L’avventuriero di Simmel è l’individuo astorico, completamente assorbito dal presente. Commenta Jedlowski: «L’essenza dell’avventura è di essere tagliata fuori dal resto della vita e dalla sua continuità», come un elemento estraneo alla vita quotidiana; la medesima evasione resa possibile dal gioco d’azzardo, che trasporta l’attore sociale in una dimensione che ha le caratteristiche del «sogno», corpo estraneo rispetto al normale flusso della quotidianità.

Estratto dall‘intervento: M. Pedroni, “Sociologia del gioco d’azzardo”, Università di Perugia, 3 dicembre 2019 [Slide template by hislide.io]

Anche il giocatore descritto da Benjamin nei Passages di Parigi vede scorrere gli eventi senza permettere loro di sedimentarsi, vivendoli come singole avventure indipendenti da quanto precede e quanto segue, proprio come se si trattasse ogni volta di una nuova mano di gioco. In compagnia di altre figure eroiche della modernità, quali il flâneur, il dandy, l’operaio, la prostituta, lo straccivendolo, anche il giocatore d’azzardo sembra intrappolato nella morsa di una società che cambia sotto i suoi occhi. Il giocatore è diametralmente opposto al flâneur: il primo cerca di far passare il tempo vuoto della noia, il secondo «accoglie il tempo perdendosi in quei passages che sono per eccellenza luoghi di sogno», scrive Chitussi.

Il giocatore «è fuori dall’economia, dal tempo e dalla storia», nota Missaac, a differenza di figure che hanno a che fare con il rischio ma interpretano la modernità come opportunità, quali lo speculatore finanziario o l’agente di borsa.

Estratto dall‘intervento: M. Pedroni, “Sociologia del gioco d’azzardo”, Università di Perugia, 3 dicembre 2019 [Slide template by hislide.io]

É invece un contesto di aperta «devianza» quello in cui il sociologo statunitense Robert Merton inserisce la sua riflessione sul gioco d’azzardo. Riprendendo un tema classico della sociologia durkheimiana, l’anomia, Merton si interroga sul «sogno americano», orizzonte culturale di una società in rapida espansione, che rappresenta uno scopo cui non corrispondono adeguati mezzi legittimi per raggiungerlo. L’anomia è, in estrema sintesi, una situazione di incongruità tra le mete proposte dalla società e la possibilità di conseguirle effettivamente.

Merton distingue tra società non anomiche, nelle quali si riscontra un equilibrio tra mete proposte e mezzi per raggiungerle, e società anomiche, in cui tale equilibrio viene a mancare, generando un alto tasso di frustrazione tra gli individui. Molte sono le strategie poste in atto dagli attori sociali per reagire alla condizione di anomia (conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia e ribellione); Merton inserisce il gioco d’azzardo tra le forme di adattamento innovativo, descrivendolo come uno strumento (illusorio) mediante il quale tutti gli individui possono rapidamente raggiungere la meta dell’affermazione economica.

La più articolata riflessione sull’azzardo come categoria sociologica è senza subbio alcuno quella di Erving Goffman, che non solo dedica all’argomento il saggio Where the Action Is, ma fa del rischio connesso all’interazione quotidiana uno dei temi ricorrenti della sua intera produzione. «Dovunque si può trovare azione, vi è, con ogni probabilità, azzardo». Il termine action, in Goffman, indica qualcosa di più della sua traduzione letterale in «azione», avvicinandosi al significato di «vita». Con questa precisazione possiamo ampliare la portata della frase goffmaniana fino ad affermare che ovunque vi sia vita vi è azzardo. L’attore sociale è un giocatore che scommette una posta e, nell’interazione quotidiana, si gioca continuamente le proprie chance di vittoria o perdita. Goffman insiste sulla natura ambivalente del gioco: «Nella misura in cui il gioco è un mezzo per conquistare un premio esso costituisce una opportunità; nella misura in cui esso costituisce una minaccia per ciò che si è scommesso esso è un rischio».

Estratto dall‘intervento: M. Pedroni, “Sociologia del gioco d’azzardo”, Università di Perugia, 3 dicembre 2019 [Slide template by hislide.io]

Altra intuizione centrale è l’associazione tra azzardo e impegno: «Possiamo parlare di azzardo quando il soggetto si trova (o è spinto) in una posizione in cui deve completamente lasciarsi andare e perdere ogni controllo della situazione per effettuare […] un impegno. Se non vi è impegno, non esiste azzardo». Gioco d’azzardo e vita quotidiana si somigliano in quanto l’attore sociale corre rischi e scommette ogni giorno: attraverso le decisioni sulla sua vita lavorativa e personale ognuno di noi «punta» le proprie risorse emotive e/o materiali attendendosi un esito che non può mai essere totalmente certo, come quando, esemplifica Goffman, si cambia lavoro o ci si trasferisce in una nuova città.

L’azione sociale ricorda il lancio della moneta perché le probabilità di indovinare il risultato, in entrambi i casi, «possono essere valutate solo in maniera molto imprecisa sulla base di connessioni vaghe con l’esperienza empirica e (ulteriore complicazione) colui che effettua la stima ha spesso ben poche possibilità di valutare sino a che punto la sua valutazione sia esatta».

2. Un approccio sociologico allo studio del gioco d’azzardo

L’analisi e la comprensione del gioco d’azzardo, nota Gerda Reith, passa generalmente attraverso il filtro di una visione commerciale (l’azzardo come industria) o medica (l’azzardo come normalità o patologia). Quest’ultima ha consolidato una distinzione del gioco d’azzardo in tre categorie:

  • sociale (non patologico, ha funzione socializzante; è incentivato e approvato);
  • problematico: esagerazione del precedente (spesso ignorato nelle sue manifestazioni, finché non diventa patologico);
  • patologico: forma di dipendenza senza sostanze, come lo shopping compulsivo e l’uso smodato di Internet; è «socialmente condannato» e molto notiziabile, come è facilmente osservabile considerando come i media, se parlano del gioco, lo fanno prevalentemente in chiave allarmistica, interessandosi ai casi di patologia o devianza.

Uno dei primi contributi sociologici allo studio del gioco d’azzardo è il saggio di Herbert Bloch, The Sociology of Gambling, che delinea alcune delle principali linee di riflessioni sul tema, tra cui:

  • la dimensione ricreativa del gioco d’azzardo, occasione di interazione ludica tra gli attori sociali;
  • la dimensione storica, che ne evidenzia la presenza in tutte le civiltà antiche, dai Sumeri ai Cinesi, dai Greci ai Bantu in Africa);
  • la dimensione rituale del gioco come sistema di credenze in cui le convinzioni dei giocatori si configurano come modalità di costruzione di senso;
  • la dimensione sociale dell’accettabilità del gioco, condannato nelle società che si fondano sull’etica della produttività e del lavoro, dove il giocare in Borsa è al contrario approvato, pur presentando caratteristiche di rischio, perché fondato almeno in parte sulla competenza e le conoscenze del giocatore (dimensione che ovviamente va letta parallelamente a quella della normalità/devianza, e che produce la situazione ibrida di una devianza istituzionalizzata in cui il gioco è permesso e regolato mentre il sistema sociale gli oppone una «facciata formale di disapprovazione»;
  • il peso dell’appartenenza di classe nel determinare le pratiche di gioco (es. la speranza nel big win per le classi subalterne, che nella vincita vedono l’unica chance di avanzamento sociale all’interno di società complesse e altamente competitive);
  • la dimensione pubblica: l’ambivalenza del pubblico e dello Stato, che condanna il gioco mentre lo tollera o lo incentiva;
  • la dimensione individuale (le debolezze personali che espongono al gioco);
  • la dimensione etica, che colloca il gioco al centro di riflessioni legate alla propria morale personale e/o religiosa;
  • la dimensione regolativa, che pone alle istituzioni il dilemma tra proibizione del gioco (che però comporterebbe la proliferazione del gioco illegale) e sua regolamentazione.

Mikal Aasved insiste sulle motivazioni non economiche che spingono al gioco, inquadrabile tra le pratiche improduttive del loisir. Il gioco è un’esigenza generata non solo dal tentativo di guadagno, ma anche da bisogni di tipo espressivo-simbolico (socialità, autorealizzazione e divertimento), già intuito da Veblen (elemento di cui gli operatori del gioco d’azzardo sono sempre più consapevoli, come dimostra il tentativo di conversione del gambling in gaming). Letto in una prospettiva di integrazione sociale, il gioco d’azzardo è un ammortizzatore di tensioni individuali e collettive, attraverso il quale bisogni non soddisfatti trovano sfogo in modo socialmente accettabile; in prospettiva conflittuale, un elemento del lifestyle che contribuisce a definire i confini di ceto e l’opposizione ingroup/outgroup (chi gioca e chi non gioca).

Infine, Aasved sintetizza le tre principali conclusioni delle survey sul gioco condotte dagli anni Settanta soprattutto nel mondo anglosassone:

  • gender hypothesis: maggior propensione al gioco degli uomini;
  • rural-urban residence hypothesis: maggior propensione al gioco nelle città, minore in aree rurali e centri minori;
  • availability and exposure hypothesis: relazione direttamente proporzionale tra occasioni di gioco (numero e frequenza dei concorsi e dei luoghi di gioco) e volume di spesa della popolazione per il gioco.

Ma è proprio la numerosità di queste survey a mostrare come la sociologia del gioco d’azzardo è troppo spesso ridotta alla sua componente socio-statistica, a scapito di ricerche qualitative che potrebbero meglio evidenziare i vissuti dei giocatori in relazione ai contesti sociali di gioco.

3. La costruzione sociale del giocatore problematico

La maggior parte dei contributi scientifici dedicati al gioco d’azzardo problematico (problem gambling) rivela un predominio di interpretazioni psicologiche, psichiatriche e mediche.

La sociologia, in un primo tempo, si è raramente occupata dei giocatori eccessivi; tra i lavori germinali, ricordiamo quelli di Devereux, che studia le razionalizzazioni degli scommettitori nelle gare ippiche, e di Livingston e Lesieur, che introducono nella sociologia del gioco d’azzardo le categorie di «giocatore patologico» e «carriera del giocatore», quest’ultimo per indicare una traiettoria evolutiva negativa nei comportamenti di eccesso ludico.

Il giocatore problematico contemporaneo è, da un punto di vista culturale, una figura inedita, emblematica delle contraddizioni presenti nelle società consumistiche tardomoderne, ma anche una costruzione sociale emersa nella seconda metà del XX secolo in seguito all’espansione dell’industria dell’azzardo e alla conseguente preoccupazione che questo fenomeno ha generato nell’opinione pubblica.

La costruzione sociale del gioco problematico ha interpretato l’azzardo come un’attività improduttiva, strutturalmente incapace di creare benessere e rea di ridistribuire la ricchezza sulla base di criteri non meritocratici, fattore di degrado morale della popolazione, spinta al vizio e alla sregolatezza.

Gli approcci critici hanno ostacolato lo studio del «gioco normale» come categoria di azione distinta rispetto al «gioco problematico», asserendo implicitamente che tutto il gioco d’azzardo è potenzialmente pericoloso.

La costruzione sociale del giocatore patologico passa attraverso lo sviluppo di un sistema di classificazione e di una nomenclatura con cui la psicologia e la medicina delineano, a partire dagli anni ’70, gli idealtipi del giocatore problematico, le sue caratteristiche, i tratti di personalità. La tabella seguente elenca alcune di queste classificazioni particolarmente suggestive.

Gioco problematico e tipologie di giocatori. Mia elaborazione di Guerreschi (2000), Scimecca (1971), Lewy (1994), Blaszczynski (2000).

Sorprendentemente, evidenzia Gerda Reith, proprio al culmine di un periodo di proliferazione commerciale e di deregolamentazione economica, al principio degli anni ’80, il gioco problematico è discusso non in termini di comportamento di consumo ma nel quadro di una «epistemologia riduttiva e materialistica della malattia e del disturbo», significativamente riassunta dall’American Psychiatric Association che, nel 1980, introduce nel suo Diagnostic ans Statistical Manual of Mental Disorder (DSM-III) la voce «pathological gambler».

La costruzione sociale del giocatore problematico, notano Rachel Volberg e Matt Wray enfatizza la responsabilità individuale insieme alla necessità di un trattamento di «disintossicazione» dall’addiction, e anche quando individua segmenti di popolazione che, per caratteristiche anagrafiche, di genere, razziali o di status risultano più esposti alle ludopatie, presta meno attenzione a come le differenze culturali ed economiche nelle pratiche di gioco rispecchino meccanismi di dominio sociale ed emarginazione di più ampio respiro. In quest’ottica può essere evidenziato che i membri di minoranze sociali e gruppi subalterni, oltre ad essere più fragili di fronte al rischio del gioco eccessivo, hanno minori probabilità di ottenere aiuto per uscire dalla gabbia della ludopatia, trovandosi nella triplice condizione di individuo «malato, stigmatizzato e ignorato». Considerare il gioco come patologia individuale piuttosto che come problema sociale deresponsabilizza implicitamente lo Stato, che può promuove azioni di contrasto alle addiction individuali mentre rimane promotore e beneficiario del gioco legalizzato.

La narrazione del gioco eccessivo ha prodotto una tipologia piuttosto definita del giocatore problematico, che Gerda Reith schematizza in quattro figure idealtipiche:

  • il giocatore senza controllo, caratterizzato da un comportamento di gioco compulsivo e reiterato;
  • il giocatore irrazionale, vittima di fallacie cognitive che gli danno l’illusione di controllare il gioco; in un territorio dai confini spesso porosi, vengono a incontrarsi credenze magico-mistiche e credenze scientiste basate su una «giddensiana fiducia in saperi “esperti” di lottologi, di maghi, di riviste specializzate che elaborano sistemi di ogni tipo e prezzo, tabelle statistiche con previsioni e probabilità di estrazione dei numeri ritardatari»;
  • il giocatore dipendente, soggetto ad una forma di addiction che assimila il gioco d’azzardo ad altre dipendenze quali fumo, droga, alcool, e che come tale ha generato una ricerca delle basi biochimiche, genetiche e neurologiche del comportamento di gioco patologico;
  • il soggetto a rischio, media statistica di variabili sociodemografiche comuni ai giocatori eccessivi; la necessità di prevenzione delle ludopatie, in un’ottica di salute pubblica, ha spinto ad affrontare lo studio del gioco con strumenti statistici, individuando fasce di popolazione più soggette alle derive del gioco (adolescenti, uomini, classi di bassa estrazione socio-economica) o tipologie di giochi più dannosi (le slot machines).

4. Il gioco d’azzardo come industria culturale

La sociologia non può accontentarsi delle dicotomie giocatore sociale/problematico o giocatore ricreativo/compulsivo, che riducono la complessità del fenomeno producendo un contesto stigmatizzante e deresponsabilizzante, nonché una profezia che si autoavvera.

Il gioco d’azzardo andrebbe piuttosto studiato come fenomeno della contemporaneità analizzandone i processi che lo compongono: democratizzazione, massificazione, liberalizzazione, modernizzazione, nelle sue componenti positive (introiti fiscali usati per servizi pubblici, effetti di socializzazione) e negativi (costi sociali, patologie).

Incrociando la riflessione sul gioco con la riflessione sulle classi sociali, l’azzardo è stato letto come meccanismo di dominio sociale, strumento di distrazione di massa e valvola di sfogo per i ceti subalterni, ma anche forma di consumo resistenziale in cui i gruppi sociali oppressi o marginalizzati possono sperimentare forme di libertà dai vincoli sociali di genere e di classe.

L’analisi sociologica allarga invece lo sguardo e si concentra sul gioco d’azzardo come settore dell’industria culturale in forte espansione nel tardo XX secolo e all’inizio del XXI, sospinto da ragioni economiche e politiche (il sostegno degli Stati nel quadro di una regolamentazione parallela all’espansione dei profitti), ma anche e soprattutto culturali (il processo di secolarizzazione che affievolisce l’aura di «immoralità» del gioco e lo sdogana come attività «normale» anche nelle abitudini della classe media, da sempre la più avversa al gioco d’azzardo).

L’espansione dell’industria passa anche attraverso la diversificazione dei contesti di gioco, con una progressiva colonizzazione di spazi precedentemente preclusi o estranei al gioco d’azzardo, quali bar e tabaccherie, ristoranti, hotel, club, centri commerciali o, al contrario, l’inserimento di servizi di ristorazione negli ambienti di gioco (come accade nella WinCity di piazza Diaz a Milano o nelle sale Bingo), ma anche la creazione di vere e proprie cittadelle del gioco (es. PlayCity).

La spettacolarizzazione del gioco diventa un potente strumento di stimolo dei consumi, come mostra l’emblematico caso di Las Vegas, la cui economia usa l’azzardo come crocevia e volano di servizi alberghieri, di ristorazione e di amusement in generale.

La crescente presenza del gioco nella vita quotidiana, ben fotografata dall’etichetta «McGambling» coniata da Robert Goodman, e che prosegue parallelamente online e offline, ha come conseguenza la normalizzazione del gioco nella pubblica opinione e nelle pratiche di attori sociali in precedenza insensibili al fascino dell’azzardo, quali i membri della classe media, all’interno di un quadro normativo segnato da una transizione globale dal proibizionismo alla legalizzazione, soprattutto negli ultimi due-tre decenni.

Il gioco, elemento della cultura mediato dagli orientamenti valoriali e religiosi, nelle società occidentali è stato a lungo letto in contrapposizione al lavoro e come tale rigettato dall’etica della classe media orientata all’impegno e alla responsabilità.

Il gioco d’azzardo come mainstream leisure activity conquista la classe media con il supporto di una comunicazione pubblicitaria che non fa riferimento ai concetti di azzardo e rischio, ma usa un linguaggio eufemizzato basato su gioco, partecipazione, edonismo e gratificazione istantanea.

Il mercato dei giochi sta vivendo una trasformazione sia quantitativa (aumenta la facilità di accesso ai giochi e il numero di giochi disponibili) sia qualitativa (l’immissione di giochi con crescente potenziale dipendentogeno, come le slot machines).

L’aumentata disponibilità dei giochi e la parallela crescita della sua legittimazione e accettazione sociale ha molteplici conseguenze politiche ed economiche:

  • Gli Stati sviluppano una crescente dipendenza dalle entrate provenienti dal gioco d’azzardo, utilizzate per l’erogazione di servizi ai cittadini, trasformando il gioco in uno strumento fiscale e redistributivo; parallelamente assumono il duplice e ambiguo ruolo di regolatore che da un lato promuove il gioco d’azzardo incamerandone ingenti entrate e dall’altro tenta di contrastarne le derive patologiche, in un circuito che promuove l’azzardo come forma di intrattenimento priva di rischi e, così facendo, crea un mercato dell’azzardo e normalizza le occasioni di gioco per potenziali addicted. In altri termini, lo Stato sembra posizionarsi contemporaneamente come beneficiario della produzione e generatore del consumo di gioco, contraddittorio agente di protezione e sfruttamento dei cittadini[17]. Un’ambiguità di difficile soluzione perché il calcolo dei costi/benefici del gioco d’azzardo è materia di dibattito[18]: fino a che punto i costi in termini di patologie, dipendenze e benessere collettivo sono compensati dai benefici del gioco, forma di tassazione volontaria usata per la spesa pubblica e terreno di contrasto al gioco illegale?
  • Si sviluppa un indotto che comprende consulenti, avvocati, progettisti di spazi per il gioco d’azzardo, pubblicitari, servizi di sicurezza, servizi commerciali e operatori della ristorazione e del turismo, dando consistenza al gioco come settore economico in espansione e capace di creare occupazione.
  • L’industria del gioco, dipendente dalla politica per quanto riguarda la regolamentazione e contemporaneamente fonte di entrate per i governi, può diventare un importante agente di lobbying, oltre che fonte di finanziamento per partiti e campagne elettorali.

5. L’etica del consumo e l’ideologia dell’alea

L’emergere del gioco d’azzardo come problema socialmente percepito deve dunque essere letto nel quadro delle trasformazioni delle società occidentali e, in particolare, della transizione da un’etica della produzione a un’etica del consumo, nei termini di Zygmunt Bauman, in cui il desiderio di autorealizzazione dell’individuo trova concretizzazione nei comportamenti d’acquisto, strumenti di costruzione dell’identità personale e sociale e non più meri artefatti.

Il consumatore tardomoderno è descritto quasi unanimemente dalla sociologia degli ultimi venti anni come un soggetto competente, anche se non necessariamente razionale, che conosce il valore simbolico dei beni di consumo e li assembla in un paniere che riproduce e comunica il suo stile di vita.

In quest’ottica, il gioco d’azzardo normale può essere letto come una tessera nel mosaico dei consumi e dei lifestyle, mentre quello eccessivo si configura come una forma di «consumo inappropriato» in cui l’autocontrollo e la consapevolezza sono rimpiazzate da irresponsabilità, dipendenza e perdita di controllo sulla propria vita economica e relazionale.

Ciò che a giuste dosi potrebbe essere analizzato, in una visione priva di pregiudizi, una forma di consumo e un medium di relazione, diventa nella sua variante patologica un comportamento alienante, paradossalmente estraneo all’etica del consumo nonostante le ingenti somme di denaro consumate. Il giocatore problematico è «immorale» perché viola contemporaneamente l’etica della produzione (è improduttivo, con crea ma distrugge risorse) e quella del consumo (non è un consumatore creativo e consapevole, ma irresponsabile ed eterodiretto).

I giocatori sono consumatori onnivori; in particolar modo quelli problematici «giocano a più giochi rispetto agli altri giocatori, non sono interessati a, e non praticano, un unico gioco; rispetto ai giocatori non problematici prediligono scommesse, giochi su cavalli, giochi di carte, slot machines e videolottery, casinò e Bingo», nota Barbaranelli.

Un’ulteriore categoria largamente impiegata per descrivere la condizione della società contemporanea, e che riveste un certo interesse anche per l’analisi del gioco d’azzardo, è quella di «rischio». L’alea, nota Martin Young, occupa una dimensione centrale nelle economie simboliche del nostro tempo, fondate sulla produzione del desiderio, tanto da elevare il «big win» a prodotto ultimo del capitalismo, piena realizzazione di tutti i sogni del consumatore.

Tratto fondamentale della modernità è, secondo la nota proposta di Ulrich Beck, la gestione del rischio, tanto che la stessa organizzazione sociale ha conosciuto un passaggio dalla gestione del benessere alla distribuzione e gestione dei rischi, percepiti sempre più come globali e generalizzati.

Lo Stato si muove in questa cornice trasferendo ai cittadini il rischio della sicurezza sociale, rendendoli azionisti delle chance offerte dal mercato globale piuttosto che beneficiari dell’azione di protezione delle istituzioni. In altre parole, il modello di intervento statale cambia da agonistico a aleatorio. Emerge, secondo Young, una contraddizione tra l’esigenza individuale di minimizzare l’esposizione ai rischi globali e il contemporaneo coinvolgimento spontaneo nel mercato di massa dell’alea.

Contraddizione a partire dalla quale Young sviluppa un ragionamento articolati in tesi, antitesi e sintesi, vale a dire una vera e propria dialettica della società del rischio. Il rischio è una categoria concettuale che contiene in una relazione dialettica la dimensione del rischio globale indifferenziato, fonte di ansia, e quello del rischio individuale differenziato, fonte di piacere. L’antitesi della società del rischio globale sono i rischi aleatori, quali quelli derivanti dal gioco d’azzardo, che si presentano come «scelta personale» fatta nell’ambito delle pratiche di consumo consapevoli del cittadino (ad eccezione, ovviamente, dei casi di gioco problematico); l’alea è una «scelta del consumatore» consistente nell’abilità di assumere un rischio controllabile.

I due poli della dialettica (società del rischio globale vs. domanda di rischio individuale sotto controllo) trovano sintesi nel meccanismo della società aleatoria «in cui lo Stato converte le ansie globali in piaceri individuali». L’alea come ideologia dominante si manifesta nel consumo di massa del gioco d’azzardo, espressione di un’accettazione dell’etica del rischio. L’alea (consumo) prevale sull’agon (produzione; la competizione tra giochi e operatori). L’alea globale, in cui domina la componente di rischio, nel trasferimento al piano individuale mitiga il rischio a beneficio della chance.

Per saperne di più

I cinque argomenti qui sviluppati, in modo del tutto frammentario, sono il frutto di un percorso di riflessione che porto avanti da qualche anno.

Per un’articolazione più sistematica del tema rimando a questi testi:

  1. M. Pedroni, The «Banker» State and the «Responsible» Enterprises: Capital Conversion Strategies in the Field of Public Legal Gambling, Rassegna Italiana di Sociologia, a. LV, n. 1, 2014, pp. 71–97. ISSN: 0486–0349. Questo saggio descrive il campo del gioco d’azzardo legale in relazione alla dialettica tra due dei suoi principali agenti (Stato e imprese), nel quadro di una deriva neoliberista che trasforma i rischi del gioco in apparenti opportunità per il cittadino-consumatore. Download.
  2. L. Lombi, M. Pedroni, Rethinking the Approach to Gambling Disorder: The Case of the Italian Healthcare Services, Italian Sociological Review, vol. 9, n. 3, 2019, pp. 383–412. DOI: http://dx.doi.org/10.13136/isr.v9i3.265. L’articolo analizza la risposta del sistema sanitario nazionale al problema della ludopatia, secondo l’ipoteso socio-costruzionista che il gioco patologico sia una costruzione sociale. Download.
  3. M. Pedroni, Much More than a Game: The Role of Commercial Advertising in the Struggle between the Advocates and Opponents of Gambling, in A. Ocaña (ed), Clashing Wor(l)ds: From International to Intrapersonal Conflict, Inter-disciplinary, Oxford (2016), ebook, pp. 83–96. ISBN: 9781848883642. Il capitolo, espandendo le tesi di The «Banker» State and the «Responsible» Enterprises, studia il ruolo della pubblicità nel processo di legittimazione dell’azzardo quale pratica di consumo mainstream. Download.
  4. M. Pedroni, ‘Let Me Dream with the Betting Sheet in my Hand’: Gambling Advertising Narratives and the Destigmatisation of Gamblers, in P. Bray, M. Rzepecka (eds), Communication and Conflict in Multiple Settings, Brill Press, Leiden (2018), pp. 183–202. ISBN 9789004371255. Questo testo è una versione espansa del precedente Much More than a Game. Download.
  5. M. Pedroni, Extreme Losers: On Excess and Profitless Expenditure of Male Gamblers, Journal of Extreme Anthropology, vol. 1, n. 3, 2017, pp. 61–82. ISSN: 2535–3241. DOI: 10.5617/jea.5574. L’articolo, facendo tesoro delle tesi di Georges Bataille sull’eccesso, analizza il gioco d’azzardo come forma di resistenza ai valori utilitaristici che stanno alla base della logica di mercato. Download.

In questi saggi sono reperibili i riferimenti bibliografici usati per la redazione di questo post.

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Marco Pedroni

Proudly a sociologist, whatever that means. I write about digital media, cultural industries, artificial intelligence, and academia