L’umanità aggrappata alla Vlora

A Bari 25 anni fa, lo sbarco di migliaia di profughi albanesi. La storia di Teledurazzo, la sitcom ispirata alla vicenda della nave Vlora. Per non dimenticare

Mariangela Savoia
7 min readAug 8, 2016

Di Mariangela Savoia

La Vlora a Bari, 8 agosto 1991. Foto: Luca Turi / Wikipedia

Esattamente venticinque anni fa, l’8 agosto del 1991, la Vlora attraccò al porto di Bari con un carico di circa 20.000 profughi albanesi. Non si era mai visto un esodo di tali dimensioni, le istituzioni italiane furono colte impreparate. L’episodio segnò particolarmente la città di Bari, il ricordo di quello sbarco oggi è ancora vivo. Molti furono i cittadini solidali, colpiti dalle condizioni di ristrettezze in cui i profughi riversavano.

La mattina del 7 agosto durante le operazioni di scarico nel porto di Durazzo, la Vlora (una nave mercantile di ritorno da Cuba) fu presa d’assalto da un’immensa folla di persone. In città si apprese la notizia che i cancelli di recinzione del porto erano stati abbattuti e che non c’era la polizia a presidiarne l’ingresso: in migliaia decisero all’istante di fuggire. Si diressero al porto e vi trovarono diverse navi, tra cui la Vlora, la più grande di tutte. Salirono come poterono, senza pensarci due volte. Uomini, donne, bambini. Halim Milaqi, il comandante, cercò invano di fermarli: un piccolo gruppo armato lo costrinse a salpare per l’Italia. Volevano andare via, volevano una vita migliore.

Le persone a bordo non avevano né cibo né acqua. Il carico era tale da mettere il radar fuori funzione e Milaqi conduceva la nave lentamente, senza vedere nulla. La Vlora giunse in condizioni disastrose al porto di Brindisi ma la capitaneria le impedì di sbarcare. A Brindisi non avevano i mezzi per gestire così tante persone, costrinsero perciò il comandante a proseguire fino al porto di Bari. Ci vollero sette ore per raggiungere Bari a causa delle condizioni della nave. Quando il mattino dell’8 agosto arrivarono a destinazione, in molti si buttarono in acqua per raggiungere la riva a nuoto.

Da Roma arrivò l’ordine di stipare i profughi nello Stadio della Vittoria. A quest’ordine si oppose fermamente il sindaco di allora, Enrico Dalfino; per questo motivo Cossiga lo apostrofò ingiustamente come un cretino. Il piano era di rispedirli un po’ per volta tutti a casa.

I profughi furono trasportati fino allo stadio con gli autobus di linea della città, dopo poche ore dallo sbarco. In molti tentarono la fuga, perciò lo stadio venne completamente chiuso e circondato da esercito e polizia. L’unico modo di distribuire cibo, dopo aver sbarrato lo stadio, era di lanciarlo a pacchi dall’alto, tramite gru ed elicotteri. Inutile dire che all’interno scoppiò la guerriglia per accaparrarsi un panino o una bottiglia d’acqua. La tensione cresceva a dismisura fino a quando riuscirono a forzare il blocco ed uscire. Alcuni riuscirono a disperdersi in città, altri furono ripresi e caricati su navi per Venezia, o almeno così dissero loro. La verità era un’altra: li stavano rimpatriando. Molti dei rimpatriati tentarono la fuga in Italia molte altre volte: lo sbarco della Vlora non fu infatti il primo e nemmeno l’ultimo. Quell’8 agosto — e più tardi la fuga dallo stadio—rappresenta per i cittadini di Bari un evento memorabile. I profughi, compreso i fuggitivi, erano soccorsi e rifocillati dalla gente comune, in alcuni casi persino ospitati.

1991–2011 da Vlora ad oggi. Intervista al comandante D’alonzo.

Nel video in alto, il racconto del Comandante D’alonzo, che all’epoca guidò il corpo di Polizia Municipale nelle operazioni di soccorso. Questa mattina a Bari, durante una cerimonia per il 25esimo anniversario dello sbarco della Vlora, gli è stata conferita la Stele Nicolaiana della Solidarietà.

Molti dei profughi erano in grado di parlare l’italiano grazie alla tv: in Albania si guardava la televisione italiana, persino soap opera come Dinasty e Santa Barbara erano seguite nella versione con doppiaggio italiano. E poi c’era il calcio, i mondiali di Italia ’90. C’era Roberto Baggio, idolo indiscusso di italiani ed albanesi. Sulle sue spalle ricadevano i sogni di vittoria di milioni di telespettatori.

Kledi Kadiu, il noto ballerino televisivo, era uno dei migliaia giunti a Bari a bordo della Vlora. Kledi ha vissuto in Italia, riuscendo anche a coronare il suo sogno più grande: fare della danza il suo mestiere. Ecco una sua bellissima intervista di qualche anno fa in cui egli racconta la sua esperienza del viaggio (dalla stessa serie dell’intervista precedente: 1991—2011 da Vlora ad oggi, su Youtube ne trovate altre). Come Kledi, in molti si stabilirono definitivamente in Italia, riuscendo ad integrarsi e a condurre una vita normale.

1991—2011 da Vlora ad oggi. Intervista a Kledi Kadiu.

Il 5 aprile 1993 andò in onda su Telenorba la prima puntata di Teledurazzo, il cui obiettivo era di insegnare la lingua e la cultura italiana agli albanesi. Teledurazzo si rivelò invece un programma di satira su avvenimenti di portata locale e nazionale. Tramite domande di cultura e attualità, lo show quiz italo-albanese introduceva punti di vista più che azzardati su avvenimenti di cronaca o personaggi famosi. Nel corso del quiz, vari personaggi irrompevano in studio per disturbarne il suo svolgimento.

La sitcom fu ideata da Gennaro Nunziante, autore di molti programmi e sitcom di Toti e Tata, al secolo Emilio Solfrizzi ed Antonio Stornaiolo. Solfrizzi e Stornaiolo, all’epoca poco più che trentenni, erano ben noti al pubblico di Telenorba ed erano seguiti con molta affezione. Grazie a personaggi ispirati alla realtà barese (e non solo), contavano tra i loro fan migliaia di telespettatori sparsi tra Puglia, Basilicata, Molise e parte della Calabria e della Campania. Sitcom quali Filomena Coza Depurada, Il Polpo, Melensa, sono ormai considerate il punto di svolta nella cultura pop meridionale. Il duo si è sciolto nel 1998; da allora Telenorba non ha ancora smesso di proporre le repliche di alcuni programmi di culto.

Il sig. Mazza e il compagno della FGCI

In generale, l’aria che si respirava a Teledurazzo era di assoluta precarietà e mancanza di mezzi. Lo studio era infatti una specie di scantinato con impalcature, lamiere e assi di legno fuori posto, l’arredamento era poverissimo e sembrava composto da pezzi raccattati per strada. I concorrenti erano sempre gli stessi, riciclati via via con nomi diversi. Non c’era il pubblico in studio, solo sedie vuote. Non c’erano le telefonate da casa e i premi in gettoni d’oro. Non c’era nemmeno la valletta seminuda. Non c’era insomma nessuno degli elementi chiave degli show televisivi italiani, tanto seguiti anche in Albania. Per milioni di albanesi la televisione era l’unico mezzo per sbirciare l’Italia, da quella prospettiva probabilmente più simile al paese dei balocchi. Teledurazzo mostrava invece una realtà molto diversa: povera, corrotta, mediocre, ma in salsa Toti & Tata. Stornaiolo interpretava il sig. Mazza, il presentatore, mentre Solfrizzi ricopriva i ruoli più disparati, dal posteggiatore abusivo alla star del programma, il mitico Piero Scamarcio.

Ogni puntata iniziava con il consueto saluto del presentatore, interrotto fin da subito dal compagno della FGCI. La domanda che egli rivolgeva a Mazza, citando i grandi della filosofia e della letteratura, era sempre la stessa: Che tipo di messaggio volete trasmettere? Il presentatore rispondeva scocciato: Noi non vogliamo dare nessun messaggio! Altre volte, ad irrompere in studio è proprio il posteggiatore abusivo, figura chiave della piccola criminalità di strada, non poteva di certo mancare a Teledurazzo.

I resti dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli

La sigla musicale veniva suonata da i resti dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli. Lo storico teatro di Bari fu distrutto da un incendio doloso nell’ottobre del 1991. A Teledurazzo ben cinque (pessimi) musicisti scampati al disastro si divertivano in sketch fuori programma, rigorosamente in abiti sporchi e strappati. Dopo la sigla suonata dal vivo, iniziava il quiz vero e proprio. I concorrenti erano sempre gli stessi—Romano e Giacinto—ma in versioni sempre diverse.

Tra una puntata e l’altra Romano si presentava infatti come Romano Barbato (un giornalista, provate a ricordavi di Andrea Barbato e delle sue cartoline; capirete), Romano Bono Vox, Romano Baggio, oppure come Romano Gagarin, in assoluto il mio preferito (sosteneva di essere un’astronave e di viaggiare nello spazio con il pendolino Bari-Luna, poiché la domenica bisogna uscire, lo devi girare l’Universo). Giacinto a sua volta si presentava come Giacinto Lee, Giacinto Marceau, Giacinto Casanova, oppure come Giacinto Malcom X 1-2 (il leader della protesta nera in Basilicata, a mio parere Giacinto nella sua versione più assurda).

Giacinto Casanova, il sig. Mazza e Romano Baggio

I concorrenti non erano per niente credibili nei ruoli che fingevano, per questo venivano continuamente insultati e minacciati dal presentatore. Le loro postazioni erano bidoni della spazzatura: per segnare il punteggio dei disturbanti sacchetti neri venivano tirati fuori dalla propria postazione. A quanto pare quest’idea non piacque affatto ai telespettatori albanesi, tanto che alcuni inviarono lettere di protesta all’emittente televisiva.

A Teledurazzo non c’era la soubrette; al suo posto l’assistente Ciro Ciuffino veniva introdotto come la nostra splendida valletta. Ciro entrava in studio esibendosi in balletti scoordinati tutt’altro che sexy. Durante lo show si alternavano inoltre Mino Pausa — il poeta dalle atmosfere oscure— e Carmelo Meglio — l’attore di teatro continuamente interrotto dalla madre.

Piero Scamarcio canta Billie Jean di M. Jackson. Sullo sfondo, i resti dell’Orchestra del Petruzzelli

La vera star dello show era il già citato Piero Scamarcio, un autentico cozzalo (tamarro in barese) che cantava in playback. Piero Scamarcio indossava una tuta acetata con zip aperta sul petto, una collana d’oro e una birra Peroni, proprio come i tanti “personaggi” di strada baresi e non solo. Egli cantava i successi dal suo album Ricover: re-interpretazioni di brani stranieri famosi, riproposti però in italiano. Le canzoni di Piero, come Messaggio nella bottiglia, La pioggia viola, La Cocaina, Io non riesco ad avere alcuna soddisfazione, oltre a risultare comiche e prive di senso, sono tuttora hit conosciute in tutto il Sud Italia.

Ciro Ciuffino e il sig. Mazza nell’angolo dei bambini

Per i telespettatori più piccoli c’era invece nomi, cose e città. Nessuno chiamava da casa perciò al povero Ciro Ciuffino toccava fingere di essere un bambino desideroso di giocare al quiz. Ciro attirava le ire del sig. Mazza perché non ne azzeccava mai una. I premi erano davvero tristi, come copertoni usati e custodie vuote di vecchi LP. Ciro chiedeva sempre i biglietti per il cinema o per gli spettacoli di Rossana Doll; ovviamente non gli venivano mai concessi. La sigla finale di Teledurazzo era altrettanto significativa: nelle immagini in bianco e nero, lo sbarco della Vlora di quell’8 agosto del 1991. In sottofondo Meraviglioso di Domenico Modugno.

La sigla di chiusura. In sottofondo, Meraviglioso di Domenico Modugno

Questa storia è per ricordare lo sbarco della Vlora, la precarietà dei profughi e la solidarietà della città di Bari. È anche un omaggio alla genialità di Gennaro Nunziante e di Toti e Tata, capaci di trarre ispirazione da avvenimenti locali e di trasformarli in sitcom memorabili. Se questa storia vi è piaciuta, cliccate il e condividetela. Grazie!

Cliccando sulle gif nel testo, potrete guardare alcune puntate di Teledurazzo che ho selezionato. Su Youtube cercate Teledurazzo puntate intere.

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Mariangela Savoia

Graphic designer based in Bologna, Italy. Founder of Orlo, the bookzine of practical culture. https://medium.com/orlo-bookzine